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Orban

Ungheria, come si muove Orban su economia ed energia. Report Ispi

L'analisi di Antonio Villafranca e Matteo Villa dell'Ispi sullo stato di salute dell'economia ungherese

A prima vista, l’Ungheria di oggi appare come un paese economicamente sano: tasso di disoccupazione che dopo la crisi è tornato rapidamente a uno dei valori più bassi in Europa (dal 11,3% del 2010 al 3,8% attuale), crescita economica dai ritmi sostenuti (+3,2% nel 2017) e finanze pubbliche piuttosto solide (il rapporto debito/PIL è al 73%, in discesa rispetto all’81% toccato all’apice della crisi).

ECONOMIA UNGHERESE, NUMERI E CONFRONTI

La realtà, tuttavia, non è così rosea. Gli ungheresi sono i cittadini europei che tra il 1990 e oggi hanno visto i minori progressi dal punto di vista dell’aumento della speranza di vita, che resta oggi tra le più basse d’Europa (nel 2016 era 76,2 anni; persino inferiore a quella dell’Albania, che arriva a 78,5 anni). Ciò fa il paio con una crescita economica che non ha tenuto il passo degli altri tre paesi del gruppo di Visegrád (Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia) con cui l’Ungheria è solita confrontarsi. Infatti, malgrado il PIL pro capite ungherese sia oggi quasi raddoppiato rispetto a quello di venti anni fa (da 15 mila a 27 mila dollari), nel 1997 i cittadini ungheresi erano secondi solo a quelli cechi, mentre nel 2007 erano stati superati da quelli slovacchi, e nel 2017 anche da quelli polacchi. In particolare, negli otto anni di governo Orbán la crescita complessiva dell’Ungheria è stata la più lenta tra quella dei paesi del gruppo di Visegrád.

LA STRATEGIA DI ORBAN

Per ovviare a tutto ciò, nella costruzione del consenso interno Orbán ha adottato una classica strategia “paternalista”. Tra il 2010 e oggi Fidesz ha approvato una serie di concessioni e benefit, diretti in particolare al ceto medio e medio-basso. Le misure varate includono l’innalzamento delle pensioni, il taglio dei costi per l’energia, l’aumento del salario minimo e agevolazioni fiscali per le coppie con figli numerosi o che abbiano appena acquistato una casa. Una sorta di ricostruzione in senso conservatore del welfare state nazionale: un’inversione di rotta rispetto alla rapida liberalizzazione degli anni Novanta.

LA VICINANZA CON LA RUSSIA

In dai primi mesi di governo, e poi con maggior decisione dal 2014 in avanti, l’Ungheria di Orbán si è avvicinata alla Russia di Putin. Il miglioramento dei rapporti ha tanto più rilievo se si considera che i cittadini ungheresi non hanno ancora dimenticato la repressione di Mosca scatenata dalla rivoluzione ungherese del 1956. Ancora oggi una delle feste nazionali ungheresi si celebra il 23 ottobre, giorno d’inizio della rivoluzione ungherese. Inoltre Budapest è uno dei paesi che più dipende dalla Russia per le importazioni di gas naturale, e nel corso della “crisi del gas” tra Russia e Ucraina del 2009 il paese aveva risentito di una forte riduzione delle forniture.

DOSSIER ENERGIA

Mosca ha concesso all’Ungheria per il raddoppio della capacità di produzione elettrica della centrale nucleare di Paks, che attualmente soddisfa il 40% della domanda di elettricità del paese. L’investimento è stato al centro delle polemiche tra UE e Ungheria, non da ultimo perché Budapest ha assegnato il contratto di espansione alla società russa Rosatom senza bandire un’asta pubblica, e il Parlamento ungherese ha votato per tenere segreto il contratto con Rosatom per 30 anni.

IL RUOLO DELLA NATO

Tuttavia, l’Ungheria resta anche un membro molto attivo della NATO e collabora in missioni militari a guida statunitense. Truppe ungheresi partecipano a missioni NATO in Kosovo e in Afghanistan, e più di un centinaio hanno partecipato alla missione a guida americana Inherent Resolve contro lo Stato islamico. Orbán ha talvolta giocato questa carta per controbilanciare le influenze russe, ma anche per rassicurare le cancellerie occidentali. Negli ultimi anni, per esempio, l’Ungheria è stata tra i paesi che più di altri si sono schierati a favore di un rapido accesso nell’Alleanza atlantica di Albania e Macedonia. Una posizione di certo non gradita a Mosca, che da sempre considera i Balcani occidentali una delle proprie aree di influenza.

(estratto di un’analisi più ampia che si può leggere sul sito dell’Ispi)

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