Mentre l’allegro suono della campanella inesorabilmente si avvicina, sono palpabili le preoccupazioni di cittadini, operatori e famiglie perché Governo e regioni pongano in essere tutti gli opportuni accorgimenti per una ripresa sicura delle attività scolastiche: non casualmente, hanno ricordato alcune scienziate sul Corriere della Sera, il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, durante il lancio della campagna “Save the future”, ha parlato di catastrofe generazionale, ricordando che la priorità di tutti i Governi è quello di riaprire le scuole.
Comprensibile, quindi, alla luce delle esigenze di sicurezza, il momento di particolare inquietudine che politica e informazione stanno attraversando, anche per la pressione delle opinioni pubbliche che attendono decisioni certe e il più possibile rapide. In questo quadro assai complicato e in continuo fermento ha fatto capolino una notizia assai curiosa, rilanciata, fra gli altri, dai siti del Corriere della Sera e di TGCom24, secondo cui, sulla base di indicazioni fornite dal Ministero dell’istruzione relativamente ad una campagna di screening del corpo docente dal 24 agosto al 7 settembre, un terzo degli insegnanti in Italia si sarebbe rifiutato di effettuare i test sierologici per entrare in sicurezza in classe.
La notizia, scarna e senza troppi dettagli, viene ripresa su Twitter da autorevoli commentatori come Carlo Cottarelli (“Cari insegnanti […], il Corriere dice che un terzo di voi non vuole fare i test sierologici. Non so se è vero ma, se lo è, ripensateci per favore”) o Antonio Polito del Corriere (“Un insegnante su tre non vuole fare il test sierologico. Un alunno su tre rischierà di portare il virus a casa”) e comincia a diventare virale sui social network, dove le reazioni indignate contro gli insegnanti non tardano a farsi sentire.
Un qualche dubbio, tuttavia, inizia a prender corpo: possibile che in quattro e quattr’otto gli oltre ottocentomila insegnanti Italiani siano stati contattati uno per uno e sia stata loro richiesta la disponibilità a effettuare il test? Sono state acquisite tutte le risposte? Processate? E come? Ma, soprattutto: da chi? Arriva in soccorso Twitter dove, lanciata la richiesta, giunge puntuale la risposta (grazie, fra i tanti, a @Anglod3, @aelledesign, @marco_beccaria e @paoloaccardi), rimandando ad una dichiarazione rilasciata a Open Online dal vicesegretario della FIMMG (Federazione Italiana Medici di Medicina Generale), Domenico Crisarà, secondo cui molti docenti si rifiutano di fare i test sierologici sul Coronavirus prima di tornare in classe.
Lo studio di Crisarà, che è medico e opera in Veneto, riporta il pezzo, assicura aperture straordinarie dedicate unicamente all’attività di screening per i docenti, che vengono chiamati direttamente a casa dalla segreteria dello studio per fissare l’appuntamento: “Non che mi aspettassi grande entusiasmo – ha dichiarato Crisarà – ma nemmeno che un terzo degli insegnanti si rifiutasse. E non mi sembra normale che una categoria come quella dei docenti, che dovrebbe essere intellettualmente superiore, non si renda conto che così facendo si ledono dei diritti costituzionali fondamentali della Costituzione, come quello alla salute e all’istruzione”. Tra un clic e l’altro, ecco l’approdo alla dichiarazione rilasciata il 25 agosto all’Adnkronos da parte del Segretario nazionale della FIMMG, Silvestro Scotti, che specifica: “è una nostra iniziativa, utile per organizzare il lavoro e inserire i test. Personalmente, per esempio, dedico a questa attività una seduta fuori dall’orario di studio, con i dovuti distanziamenti. La mia segretaria ha già chiamato tutti. E il 30% ha rifiutato”.
Traduzione: i medici della FIMMG si attivano per effettuare i test sierologici nell’ambito di una iniziativa che, partita il 24 agosto, si concluderà solo due settimane dopo. Dopo 48/72 ore, sulla base delle esperienze registrate da due studi medici, viene letteralmente fabbricata la notizia che il 33% degli insegnanti Italiani, a spanne 280.000 individui, si è rifiutato di fare il test. Una non-notizia, dunque, da ogni punto di vista, lanciata da Agenzie di stampa e ripresa da testate nazionali (buon’ultima Repubblica) e notiziari televisivi che preferiscono evidentemente solleticare, come accade sempre più spesso, la pancia del Paese, a scapito di una accurata verifica delle fonti e della solidità delle informazioni offerte alle opinioni pubbliche.
Tutto a posto? Quando ormai, dopo ore di bufera mediatica, appare chiaro che il dato ha una valenza prossima allo zero, arriva, raggelante, la risposta di Antonio Polito ad un utente che su Twitter richiamava l’opportunità dell’onere della prova circa la fondatezza della notizia data: “L’onere della prova spetta agli insegnanti: fate il test e avrete fatto il fact checking, dimostrando che il dato era falso. Io ne gioierò (sic!)”. Fine. Applausi. Sipario.