È un conto alla rovescia che non promette niente di buono. E le ultime mosse del presidente statunitense Donald Trump, deciso a favorire il “made in Usa” tassando le importazioni europee con nuovi e alti tributi, suscitano più preoccupazione che non speranze.
Intanto, le offerte della Casa Bianca ai suoi alleati dell’Ue sarebbero del tipo “prendere o lasciare”: pochi margini di trattativa. E all’incertezza (10, 17, 25% di imposte? Chi lo sa), s’aggiunge il mistero dei Paesi presi di mira.
Quasi un giallo dei dazi, perché Trump ha già firmato dodici lettere partite senza rivelare la loro destinazione.
Dunque, da Palazzo Chigi all’Eliseo, al Palazzo del cancelliere tedesco dovranno tutti fare attenzione al postino. Se suona due volte, vorrà dire che saranno dazi amari per gli ignoti e ignari riceventi.
A rischio tasse sono tutti i settori, ma in particolare l’agroalimentare e l’automobilistico, in parte già sottoposto alle nuove misure. Per questo l’Unione europea punta a un negoziato globale e di reciproco interesse, posto che, in mancanza di accordo, ai dazi americani fatalmente seguirebbero contro-dazi europei. Una guerra commerciale destinata a lasciare sul campo molti vinti e nessun vincitore.
Danni ricadrebbero soprattutto sul nostro Paese per l’eccellenza del riconosciuto “made in Italy”. Secondo l’allarme lanciato da Confindustria, se i dazi fossero al 10% – soglia che il nostro governo considera economicamente sostenibile -, insieme con la svalutazione del dollaro l’impatto concreto sui prodotti italiani sarebbe del +23,5% con una perdita stimabile in 20 miliardi di export e 118mila posti di lavoro entro il prossimo anno.
Non verrebbe perciò colpito il solo e pur trainante settore del lusso italiano, come si credeva, ma anche ambiti quali la pelletteria, i macchinari, i mezzi di trasporto. Grave, dunque, sarebbe sottovalutare il contraccolpo durissimo per l’industria nazionale e tutto il suo vasto indotto. Anche Confagricoltura mette in guardia il governo, sperando che si tratti “solo di una boutade” l’ipotesi di dazi al 17% – l’ultima minaccia di Trump -, e “restando fortemente critici anche se fossero al 10%”.
Tuttavia, mentre sale il nervosismo dei mercati a causa di tale e tanta incertezza, anche il recente viaggio del commissario europeo per il commercio, Maros Sefcovic, a Washington s’è rivelato infruttuoso.
In ballo c’è il tentativo europeo di dar vita almeno a una cornice politico-economica di intesa di massima, anche per evitare il “dividi e comanda” perseguito da Trump con le sue dodici lettere enigmatiche, una per Paese.
Può stupire che una simile sfida agli europei arrivi dal principale alleato d’America. Ma questo, oltre a costringere Bruxelles a mobilitarsi per tutelare la propria economia e fonte di lavoro, deve spingere l’Ue a trovare nuovi interlocutori commerciali in altre parti del mondo.
(Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova)
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