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Francia Ucraina

Perché l’Ucraina flirta con Cina e Turchia?

L'articolo di Pietro Romano pubblicato su Aeronautica & Difesa.

A sostegno dell’Ucraina fin dal 2014 si è mobilitato tutto l’Occidente. Rimettendoci notevoli risorse economiche a causa del congelamento dei rapporti con la Russia e rischiando addirittura uno scontro militare con Mosca. Come ringraziamento, però, Kiev non solo continua a flirtare con la Cina, con la quale intratteneva storiche relazioni, ma di recente si è trovata un nuovo alleato scomodo (per l’Ovest) e ingombrante: la Turchia. Mettendo a disposizione di entrambe avanzate tecnologie in settori quali l’aeronautica e la difesa, ruoli di primo piano all’interno di industrie sensibili, forse postazioni strategiche sul Mar Nero e in Europa.

UNA REDDITIZIA EREDITÀ

Una parte consistente dei passi da gigante di Pechino nell’aeronautica militare (e non solo) è dovuta proprio alla consulenza e alle forniture dell’industria ucraina, forgiatasi negli anni dell’Unione sovietica e rimasta di qualità elevata anche in seguito. E sulle orme di questo rapporto ora vorrebbe procedere anche Ankara, che però non si accontenterebbe del mero ruolo di committente ma mira a un’alleanza più organica. Nel segno, come Lucio Caracciolo ha scritto su Limes, di una strategia per la quale al presidente turco Recep Tayyip Erdogan non importa l’orientamento politico degli interlocutori ma interessa solo che la Turchia stia al centro del gioco, servendosi delle risorse altrui senza preconcetti: siano americani o cinesi, arabi o israeliani, europei o russi o ucraini poco importa. Conta l’utilità al suo Paese e a se stesso, stante la dimensione imprenditoriale della larga famiglia sultan-presidenziale. Con un obiettivo principale a breve termine: il 2023, l’anno delle elezioni presidenziali e del centenario del Trattato di Losanna, il “de profundis” dell’Impero ottomano. Una posizione, quindi, potenzialmente ancora più insidiosa per Ue e Nato. Sebbene Kiev non sia un membro della Nato, l’Ucraina ha ottenuto comunque armi occidentali di assoluto peso, come il missile anticarro “Javelin”. E il segretario generale dell’Alleanza atlantica, Jens Stoltenberg, ha spiegato che la Nato sta fornendo aiuti alle forze armate ucraine non solo in termini di mezzi per modernizzare la dotazione di Kiev ma anche di addestramento ed esercitazioni congiunte. A sua volta, il capo della diplomazia Usa, Antony Blinken, pare si sia impegnato a fornire gratuitamente all’Ucraina aiuti in armi “letali” per un importo, al momento, di circa 125 milioni di dollari. Eppure non si sa se tutto ciò sarà utile alla causa occidentale.

UN’AMICIZIA WIN-WIN

Grazie all’Ucraina (e alla Russia) la Cina ha recuperato in pochi anni un pluridecennale divario con l’Occidente nel settore dell’aeronautica militare. Attualmente, la cooperazione tra Kiev e Pechino è concentrata nella motoristica. Grazie ai motori forniti dal gruppo Motor Sich, l’aviazione militare cinese ha avuto a disposizione in gran numero aerei da addestramento avanzato (e da combattimento) Hongdu JL-10/L-15 (l’aereo che, tramite lo Yak-130, è imparentato con l’italiano M-346 di Leonardo, ndr). Ed è grazie ai motori progettati dal gruppo Ivchenko-Progress e realizzati in stabilimenti ucraini che la Cina ha potuto produrre l’addestratore di base Hongdu K-8 “Karakoram”, il più grande successo sui mercati internazionali della sua giovane industria aeronautica. Kiev ha venduto a Pechino anche i missili da crociera Kh-55 così come le ha fornito in maniera rocambolesca la prima portaerei, la Liaoning (ex-Variag sovietica, vedi Aeronautica & Difesa n. 419, settembre 2021, a pag. 64), e il prototipo di un velivolo in grado di decollare e atterrare su di essa, il Su-27 (“Flanker D” per la Nato), sulla scorta dei quali la Cina ha avviato progettazione e produzione nazionali che hanno portato allo Shenyang J-15 (“Flanker-X2” per la Nato). L’ufficio progettazione del gruppo Antonov, inoltre, ha svolto un ruolo significativo nel programma cinese per la costruzione dell’aereo da trasporto Shaanxi Y-8 e dei suoi derivati Shaanxi Y-9 e Xian Y-20 che assicurano a Pechino la capacità di trasferire personale ed equipaggiamento militare anche a lunghe distanze. Ancora nello scorso gennaio Motor Sich ha stipulato un accordo per fornire oltre 400 motori turboventola per equipaggiare la versione supersonica del JL-10/L-15. In barba alle rigide sanzioni imposte sulle forniture militari a Pechino e alle proteste di Washington.

L’ASSEDIO CINESE

Considerate le difficoltà nelle quali s’imbatte la Cina per sviluppare l’industria motoristica non è difficile da comprendere l’assedio a Motor Sich della società cinese Skyrizon Aircraft Holdings Limited, controllata dal Beijing Xinwei Technology Group, che secondo il Dipartimento di Stato Usa avrebbe stretti contatti con i vertici delle forze armate cinesi. Un assedio durato anni ma coronato dal successo e dall’acquisizione da parte di Skyrizon del 75% di Motor Sich. Immediatamente dopo questa operazione la nuova proprietà avrebbe trasferito tecnologie di punta della società ucraina in un nuovo stabilimento in Cina. Una situazione contro la quale è insorta l’amministrazione Usa che, nel marzo scorso, ha spinto il presidente ucraino Volodymir Zelensky a nazionalizzare Motor Sich “per la sua importanza strategica per la sicurezza nazionale”. Ma, secondo quanto risulta ad Aeronautica & Difesa, le controversie sulla proprietà di Motor Sich non sarebbero finite. L’Ucraina, in sostanza, ha paura di perdere un mercato fiorente quale quello cinese dopo aver tagliato ogni legame con la Russia. Kiev, inoltre, non ha digerito il sostanziale via libera di Washington al gasdotto diretto Russia-Germania che taglierà fuori l’Ucraina, attraverso la quale attualmente passano i tubi, mettendo a rischio sia i diritti monetari riconosciuti a Kiev sia la sicurezza delle forniture di gas da parte di un Paese quale la Russia con cui è ai ferri corti. E così Motor Sich sarebbe finita di nuovo sul mercato. Proprio l’Ucraina avrebbe offerto alla Turchia il 50% (e non il controllo, quindi) della società ora nazionalizzata. E sembra che Ankara stia studiando il dossier ma avrebbe già dato il suo sostanziale via libera all’operazione. Al momento, però, ancora non si sa attraverso quale veicolo societario avverrebbe l’investimento. Di certo, in caso positivo, i cinesi cacciati dalla porta rientrerebbero dalla finestra visti i rapporti sempre più stretti tra Ankara e Pechino.

CUSCINETTO DI RITORNO

L’Ucraina è storicamente un cuscinetto tra Turchia e Russia, un ruolo che è tornata a rivestire negli ultimi lustri. Con l’annessione russa della Crimea i rapporti tra Kiev e Ankara si sono andati rafforzando nel comune interesse di tenere sotto controllo le ambizioni russe e, nel caso turco, di allargare la propria sfera d’influenza e di proteggere le popolazioni tatare turcofone della Crimea. Una intesa che ha avuto il suo culmine nella visita in Turchia del presidente Zelensky nella scorsa primavera allorquando Erdogan ha espresso pubblicamente il suo sostegno a Kiev nelle dispute con la Russia.
Oltre che sul piano economico-commerciale i rapporti tra i due Paesi si vanno rafforzando sul piano industrial-militare. Per ora Ankara aiuta Kiev nella guerra tecnologica sferrata dai separatisti pro-russi del Donbass trasferendo in maniera massiccia e crescente tecnologie adatte a contrastare questi rischi. Ma in proiezione sarà l’industria ucraina maggiormente necessaria alla Turchia. Saranno, infatti, i motori di Kiev a far ripartire la produzione dei droni armati “Bayraktar” TB2 dell’azienda turca Baykar fermata dalle sanzioni inflitte dopo il loro utilizzo contro le forze curde in Siria e armene nell’Alto Karabakh. Alla austriaca Rotax (controllata da Bombardier Recreational Products, del gruppo Bombardier) si sta infatti sostituendo l’ucraina Ivchenko-Progress. Una cooperazione cara a Erdogan per più motivi. Industriali: il “Bayraktar” potrebbe diventare un successo sui mercati internazionali. Politici: questo drone, che si è dimostrato finora molto efficace, potrebbe essere non solo uno strumento di rafforzamento sul terreno militare ma anche un oggetto di scambi para-diplomatici a livello internazionale. Personali: suo genero Selcuc Bayraktar è dirigente della Baykar e figlio del fondatore e numero uno dell’azienda, Ozdemir Bayraktar. Secondo un rapporto della televisione qatariota Al Jazeera, fin dal 2018 l’Ucraina ha cominciato ad acquistare in misura crescenti armi dalla Turchia, droni armati inclusi. Allo scopo di verificare l’efficienza sul campo dei droni armati “Bayraktar” TB2, osservatori militari ucraini sono stati condotti nelle zone che hanno visto affrontarsi truppe azere e truppe armene nel Nagorno-Karabakh. Secondo indiscrezioni, “Bayraktar” TB2 sarebbero stati schierati nell’area del Donbass. Come in una replica del teatro di guerra armeno-azero, dove già Russia e Turchia si sono affrontate per interposti avversari.
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