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Tutti i subbugli (non solo in Italia) su Cina e Hong Kong

Che cosa succede a Hong Kong e come in alcuni Paesi come l'Italia (ma non solo) si parla e non si parla dei rapporti con la Cina. L'articolo di Andrea Mainardi

 

I Cinquestelle continuano a stringere mani alla Cina. Settimana scorsa il garante Beppe Grillo ha cenato con l’ambasciatore cinese a Roma.

Una manciata di giorni dopo il ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti ha incontrato a Pechino il ministro della Scienza cinese esprimendo una dichiarazione congiunta per la “Settimana dell’innovazione Cina-Italia”.

LA DELUSIONE DEGLI ATTIVISTI PER LA DEMOCRAZIA DI HONG KONG

Su Repubblica Joshua Wong, uno dei leader del movimento pro democrazia di Hong Kong, al quale Pechino ha recentemente negato il visto per l’Italia, ha scritto la delusione “nel leggere le osservazioni indifferenti del ministro degli Esteri Luigi Di Maio sulla terribile situazione dei diritti umani a Hong Kong”. Ministro che a Shanghai aveva detto: ‘Non vogliamo interferire nelle questioni altrui’, “riflettendo la tipica mentalità di chi pensa solo agli affari suoi”.

Appelli che non fanno breccia. Né per Hong Kong né per lo Xinjiang. Lì dove – tra l’altro il New York Times – si documentano repressioni e campi di detenzione, Beppe Grillo accredita invece la tesi di “una campagna mediatica sui diritti umani volta a screditare l’operato del governo cinese”.

 

È un rapporto Cinquestelle-Cina che arriva da lontano. Come ricorda Nicola Biondo, ex capo comunicazione alla Camera dei pentastellati:

 

INDIFFERENZA DELLA GRAN BRETAGNA VERSO LA SUA EX COLONIA

Non è solo l’indifferenza dell’Italia. Una delegazione di attivisti democratici di Hong Kong ha accusato i principali leader britannici di aver abbandonato milioni di persone cresciute nel territorio quando era una colonia britannica. Emily Lau, la prima donna eletta al Consiglio legislativo di Hong Kong, ha criticato il primo ministro Boris Johnson e il leader del partito laburista Jeremy Corbyn per il loro fallimento nell’offrire ai residenti di Hong Kong il diritto di risiedere nel Regno Unito: “Ci sono oltre 2 milioni di cittadini britannici che vivono a Hong Kong e molti di loro sono molto nervosi e ansiosi per il loro futuro. Spero che la Gran Bretagna prenda in considerazione l’idea di dare loro la vera cittadinanza”. Il Regno Unito ha controllato Hong Kong per oltre 150 anni fino al 1997, quando è stato restituito alla Cina. Ai residenti di Hong Kong è stata offerta la designazione British National (Overseas) come parte dei negoziati per restituire il territorio, ma questo status nega di fatto loro il diritto ad abitare nel Regno Unito.

L’IRA DI PECHINO VERSO WASHINGTON

Di più si muove per Hong Kong dagli Stati Uniti. Scatenando ire. Il viceministro degli Esteri cinese Zhemg Zeguang ha convocato l’ambasciatore Usa a Pechino, Terry Branstad, chiedendo il ritiro dell’Hong Kong Human Rights and Democracy Act of 2019, la normativa a favore del movimento pro-democrazia dell’ex colonia, approvata giovedì dal Congresso e in attesa della firma di Donald Trump. L’atto, tra le altre misure, autorizza sanzioni contro i funzionari cinesi. Zheng ha sollecitato la correzione “immediata degli errori” e la fine delle interferenze negli affari interni della Cina. Altrimenti, Washington dovrà “farsi carico di ogni conseguenza”.

LE ELEZIONI DI DOMENICA CONFERMANO LO SCONTENTO VERSO LA CINA, MA NON PROMETTONO CAPOVOLGIMENTI

La schiacciante vittoria ottenuta domenica dal fronte anti governativo nelle elezioni per il rinnovo dei consigli distrettuali di Hong Kong segna un quasi 90% dei seggi. Il voto, considerato una sorta di referendum sulle proteste degli ultimi mesi, è chiaro. I consigli però non hanno potere: sono solo organi consultivi. Ma è un segnale forte, che non piega minimante Pechino. Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi si è affrettato a commentare: “Hong Kong è parte integrante della Cina, a prescindere dal risultato elettorale. Qualsiasi tentativo di danneggiare il livello di prosperità e stabilità della città, non avrà successo”.

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