I Cinquestelle continuano a stringere mani alla Cina. Settimana scorsa il garante Beppe Grillo ha cenato con l’ambasciatore cinese a Roma.
Sabato scorso, l'Ambasciatore Li Junhua ha cenato con il sig. Beppe Grillo. Un'occasione per scambiare le proprie vedute sull’ulteriore approfondimento dell'amicizia tradizionale e della cooperazione pragmatica tra #Cina e #Italia. pic.twitter.com/O4wnpFw7oU
— Ambasciata Repubblica Popolare Cinese in Italia (@AmbCina) November 25, 2019
Una manciata di giorni dopo il ministro dell’Istruzione Lorenzo Fioramonti ha incontrato a Pechino il ministro della Scienza cinese esprimendo una dichiarazione congiunta per la “Settimana dell’innovazione Cina-Italia”.
Incontro oggi a Beijing tra Il Min. della Scienza e Tecnologia cinese Wang Zhigang e l’On. @lofioramonti, Min. dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca. I due hanno espresso apprezzamento per la "Settimana dell'innovazione Cina-Italia" firmando una Dichiarazione Congiunta pic.twitter.com/C2WToMsTbs
— Ambasciata Repubblica Popolare Cinese in Italia (@AmbCina) November 25, 2019
LA DELUSIONE DEGLI ATTIVISTI PER LA DEMOCRAZIA DI HONG KONG
Su Repubblica Joshua Wong, uno dei leader del movimento pro democrazia di Hong Kong, al quale Pechino ha recentemente negato il visto per l’Italia, ha scritto la delusione “nel leggere le osservazioni indifferenti del ministro degli Esteri Luigi Di Maio sulla terribile situazione dei diritti umani a Hong Kong”. Ministro che a Shanghai aveva detto: ‘Non vogliamo interferire nelle questioni altrui’, “riflettendo la tipica mentalità di chi pensa solo agli affari suoi”.
Appelli che non fanno breccia. Né per Hong Kong né per lo Xinjiang. Lì dove – tra l’altro il New York Times – si documentano repressioni e campi di detenzione, Beppe Grillo accredita invece la tesi di “una campagna mediatica sui diritti umani volta a screditare l’operato del governo cinese”.
Lo #Xinjiang è coinvolto in una campagna mediatica sui diritti umani volta a screditare l’operato del governo cinese, accusato ripetutamente di violare i diritti umani della etnia musulmana uigura. Facciamo il punto con Fabio Massimo Parenti. https://t.co/eOVjzhQmKF
— Beppe Grillo (@beppe_grillo) November 19, 2019
È un rapporto Cinquestelle-Cina che arriva da lontano. Come ricorda Nicola Biondo, ex capo comunicazione alla Camera dei pentastellati:
La storia dei rapporti tra il sistema Casaleggio e la Cina parte da questa foto del giugno 2013. L’ambasciatore cinese Wei affermava di aver incontrato i fondatori del M5s «con i quali ha scambiato vedute sui temi di comune interesse».
Qui l'intera storia https://t.co/IrcYdrLZRv pic.twitter.com/PD61wfChfa— Nicola Biondo (@BiondoNik) November 25, 2019
INDIFFERENZA DELLA GRAN BRETAGNA VERSO LA SUA EX COLONIA
Non è solo l’indifferenza dell’Italia. Una delegazione di attivisti democratici di Hong Kong ha accusato i principali leader britannici di aver abbandonato milioni di persone cresciute nel territorio quando era una colonia britannica. Emily Lau, la prima donna eletta al Consiglio legislativo di Hong Kong, ha criticato il primo ministro Boris Johnson e il leader del partito laburista Jeremy Corbyn per il loro fallimento nell’offrire ai residenti di Hong Kong il diritto di risiedere nel Regno Unito: “Ci sono oltre 2 milioni di cittadini britannici che vivono a Hong Kong e molti di loro sono molto nervosi e ansiosi per il loro futuro. Spero che la Gran Bretagna prenda in considerazione l’idea di dare loro la vera cittadinanza”. Il Regno Unito ha controllato Hong Kong per oltre 150 anni fino al 1997, quando è stato restituito alla Cina. Ai residenti di Hong Kong è stata offerta la designazione British National (Overseas) come parte dei negoziati per restituire il territorio, ma questo status nega di fatto loro il diritto ad abitare nel Regno Unito.
L’IRA DI PECHINO VERSO WASHINGTON
Di più si muove per Hong Kong dagli Stati Uniti. Scatenando ire. Il viceministro degli Esteri cinese Zhemg Zeguang ha convocato l’ambasciatore Usa a Pechino, Terry Branstad, chiedendo il ritiro dell’Hong Kong Human Rights and Democracy Act of 2019, la normativa a favore del movimento pro-democrazia dell’ex colonia, approvata giovedì dal Congresso e in attesa della firma di Donald Trump. L’atto, tra le altre misure, autorizza sanzioni contro i funzionari cinesi. Zheng ha sollecitato la correzione “immediata degli errori” e la fine delle interferenze negli affari interni della Cina. Altrimenti, Washington dovrà “farsi carico di ogni conseguenza”.
LE ELEZIONI DI DOMENICA CONFERMANO LO SCONTENTO VERSO LA CINA, MA NON PROMETTONO CAPOVOLGIMENTI
La schiacciante vittoria ottenuta domenica dal fronte anti governativo nelle elezioni per il rinnovo dei consigli distrettuali di Hong Kong segna un quasi 90% dei seggi. Il voto, considerato una sorta di referendum sulle proteste degli ultimi mesi, è chiaro. I consigli però non hanno potere: sono solo organi consultivi. Ma è un segnale forte, che non piega minimante Pechino. Il ministro degli Esteri cinese Wang Yi si è affrettato a commentare: “Hong Kong è parte integrante della Cina, a prescindere dal risultato elettorale. Qualsiasi tentativo di danneggiare il livello di prosperità e stabilità della città, non avrà successo”.