In ogni accordo c’è un contenuto esplicito, manifesto; tuttavia è sempre presente anche un “non detto”, un implicito, che tutte le parti conoscono e di cui tengono conto nella modulazione dell’aggressività durante la trattativa. Il sottaciuto, quest’inespresso, nel caso dell’incontro tra von der Leyen e Trump, si chiama Ucraina.
L’Europa ha il fianco Est sotto attacco da più di tre anni a questa parte, e non ha le armi per difendersi. Mezzi militari di cui invece dispongono gli USA e da cui, quindi, dipendiamo. Questo è il punto che non si vuole vedere o accettare. Dopodiché, sul fatto che Draghi sarebbe stato un interlocutore più robusto, maggiormente assertivo, nulla quaestio. Tuttavia, è necessario fare attenzione ai dati seguenti.
Primo. I cittadini europei hanno votato nel 2024 e gli esiti elettorali hanno segnato una sonora sconfitta per la formazione più europeista, ‘Renew Europe’, che ha ottenuto soltanto il 10% circa dei suffragi e di conseguenza ha perso 26 parlamentari rispetto alla legislatura europea precedente.
Secondo. Il bilancio dell’Unione Europea corrisponde all’1,26% di quello dei 27 Stati membri della UE: un’inezia finanziaria, che non permette praticamente margini di manovra politica.
Terzo. L’accordo raggiunto rappresenta un’intesa di massima, una sorta di compromesso, un “guscio vuoto” che dovrà essere riempito, ridefinito, specificato dai rispettivi tecnici, dalle “terze e quarte linee” (cit. Sabino Cassese). I capi, i leader, spesso non sanno niente della materia su cui negoziano: sono rari i casi di politici di alto livello competenti e formati in diritto e economia. La vera battaglia si svolge sempre dietro le quinte.
Quarto. Il risultato commerciale finale, il consuntivo effettivo dei costi e dei benefici, è tutt’altro che scontato. In queste partite subentrano molti fattori. Ad esempio: come si comporteranno i consumatori statunitensi di fronte al prodotto “daziato”? Si verificherà per alcune merci un effetto c.d. “bene di Veblen”? O piuttosto si avrà un effetto c.d. “bene di Giffen”? O, ancora, un effetto “frutto proibito”? Che ruolo avranno i c.d. mercati neri e grigi? Come evolverà l’evidente paradosso della Trumpnomics di voler trarre aggio fiscale dai dazi e, contemporaneamente, aumentare la produzione interna di beni succedanei a quelli “daziati”? E noi acquirenti europei, come reagiremo di fronte a questo bullismo economico? Solo per citare alcune ipotesi relative alla microeconomia.
L’economia comportamentale, ovvero la psicologia dell’economia, mette in guardia da facili previsioni sull’andamento futuro degli agenti economici, dei mercati.
In conclusione, voglio ricordare un aneddoto attribuito al Primo Ministro britannico Neville Chamberlain all’epoca della Conferenza di Monaco del settembre 1938. A chi lo accusava, come Churchill, di disonore e di vigliaccheria per l’accordo con Hitler, pare che egli rispose: “si gioca con le carte che si hanno in mano”.
La Storia negli ultimi anni sta rivalutando positivamente la strategia negoziale di Chamberlain, grazie alla quale il Regno Unito “guadagnò” un anno di tempo prima dello scontro fatale con la Germania nazista, consentendo così al Paese di prepararsi e di attrezzarsi per resistere e respingere l’invasione tedesca. Al netto dell’impatto umorale immediato, delle reazioni istintuali, il gioco commerciale mondiale (e non solo) è ancora più aperto che mai. Una tattica apparentemente debole e rinunciataria di breve periodo può risultare una mossa strategicamente vincente se osservata nel lungo periodo. Chamberlain docet.