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Tutti gli sciami sismici nel centrodestra

La nota di Paola Sacchi.

 

Nel “processo” a Matteo Salvini, anche con punte di veleno, per la sua conduzione giudicata troppo movimentista, da campagna elettorale, per le elezioni quirinalizie, non si tiene conto di un fatto politico oggettivo, decisivo per la rielezione di Sergio Mattarella. La presenza anche della Lega è stata determinante per quella quasi coralità di consensi dell’arco parlamentare che la conferma del Capo dello Stato necessitava sul piano politico non solo numerico, dopo che la situazione si era definitivamente avvitata.

Un Presidente rieletto con la cosiddetta “maggioranza Ursula”, ovvero solo con Forza Italia dei partiti di centrodestra, non sarebbe stata la risposta adeguata all’eccezionalità dell’evento. Sarebbe stata una maggioranza comunque estesa, che magari ne avrebbe prefigurato altre sul futuro dell’assetto politico. Ma non sarebbe stata quella richiesta quasi corale all’altezza della straordinarietà della richiesta del “sacrificio” di restare a un Presidente che in più occasioni aveva già manifestato, citando suoi predecessori, dinieghi e perplessità sul secondo mandato.

Che dopo Silvio Berlusconi il punto di svolta sia stato determinato da Salvini lo riconosceva, con obiettività, in via riservata, poco prima che fosse proclamata l’elezione, nei corridoi di Montecitorio, anche qualche parlamentare di quel Pd che aveva sempre opposto no giudicati pregiudiziali dal centrodestra. La spaccatura del centrodestra, dopo il duro no di Giorgia Meloni, e anche le forti tensioni e divisioni tra Lega e Forza Italia, è sotto tutti i riflettori. Del terremoto continuano gli sciami sismici, seppur ieri ci sia stato uno spiraglio importante nell’incontro di due ore, definito “affettuoso”, di Salvini e Berlusconi a Arcore.

Gli sciami sismici continuano con strascichi di dettagli e gossip sui media del romanzo Quirinale di rottura per il centrodestra. Si potrebbe osservare che Salvini non avesse altra scelta, e cioè che se avesse seguito Meloni avrebbe messo a rischio l’esecutivo di emergenza nazionale, mettendone in discussione la partecipazione leghista. Ma è un fatto che anche sulla rielezione del Capo dello Stato Salvini abbia fatto prevalere il profilo della Lega di governo. Come fece un anno fa entrando nell’esecutivo di Mario Draghi. Scelte prese non a cuor leggero, sfidando le proteste anche via social di elettori e militanti. Con l’obiettivo, come ha spiegato Salvini sabato scorso ai grandi elettori leghisti, di essere la forza vincitrice delle Politiche del 2023.

Oggi Salvini ne tornerà a parlare nel Consiglio federale con i suoi. All’ordine del giorno il futuro del centrodestra. Per il quale ieri in una lettera a Il Giornale ha proposto una federazione sul modello del Partito repubblicano Usa. I principi che ne sono al centro sono molto in comune con quelli di Forza Italia. Ma dentro FI, che, con il coordinatore nazionale Antonio Tajani, orgogliosamente rivendica di essere il centro detentore dei valori liberali, cristiani, garantisti, europeisti, forti perplessità restano. Anche sulla collocazione in Europa della Lega. Ed è soprattutto evidente la sfida per la leadership. Tajani ribadisce: è di Berlusconi.

Il tentativo su Pier Ferdinando Casini, da cui sabato scorso lo stesso Casini si è sfilato, al quale Salvini ha detto di no per la contrarietà di settori del suo elettorato, ha però messo in moto un dialogo tra FI e le forze centriste minori della quasi ex coalizione. Il bivio è tra maggioritario e ritorno a un proporzionale cui Salvini si conferma contrario. Quel proporzionale che non è nelle corde neppure del Cav fondatore con il centrodestra del bipolarismo. Resta il fatto che anche la Lega intende far “centro”, non nel senso proporzionalista del termine ma in quello di forza che ambisce a essere guida di governo, sulla base dei numeri della sua rappresentanza anche di ceti medi e imprenditoriali. Trovare la “quadra”, se si troverà, non sembra questione di giorni.

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