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Germania

Tutti gli effetti della svolta a sinistra della Spd su governo Merkel e imprese

Quali saranno le conseguenze in politica economica dello sconvolgimento al vertice della Spd con la sconfitta della linea incarnata dal ministro delle Finanze, Scholz. L'approfondimento di Pierluigi Mennitti da Berlino

 

Lo sconvolgimento al vertice del partito socialdemocratico tedesco Spd non porterà forse alla caduta del governo di Grosse Koalition, ma aggiungerà turbolenze e tensioni che promettono di rendere ancora più travagliata la fase conclusiva dell’era politica di Angela Merkel.

Il risultato a sorpresa dell’elezione della nuova coppia di leader, di fatto due illustri sconosciuti come Saska Esken e Norbert Walter-Borjans, cambia ancora una volta lo scenario politico tedesco, già sopravvissuto ai rinnovamenti dirigenziali nei due partiti cristiani della coalizione: la Cdu e la Csu.

IL NUOVO DUO DELL’SPD METTE NEL MIRINO LO SCHWARZE NULL

In attesa che nel fine settimana il congresso Spd ratifichi l’elezione e fissi alcuni nuovi punti programmatici, è già chiaro che il partito svolterà a sinistra. La nuova leadership chiuderà la lunga stagione del riformismo schröderiano (che nell’Spd si è protratta fino a oggi, ben oltre gli anni della sua cancelleria) per riscoprire temi sociali e attenzioni verso le fasce più deboli e legherà la permanenza al governo Merkel all’adozione di concrete misure specifiche. E dietro i generici auspici finora circolati di miglioramenti al pacchetto sul clima, innalzamento del salario minimo a 12 euro l’ora, investimenti nell’ordine di aggiuntivi 45 miliardi di euro in infrastrutture, scuola e clima, emerge il vero obiettivo della nuova Spd: scardinare lo Schwarze Null, sgretolare il vincolo del pareggio di bilancio tanto caro agli ultimi due ministri delle Finanze, Wolfgang Schäuble e Olaf Scholz. Una battaglia in salita: lo Schwarze Null è il feticcio della politica di bilancio merkeliana cui difficilmente la Cdu può rinunciare in questa fase, ed è anche un feticcio molto popolare fra gli elettori di ogni orientamento politico, giacché nutre la narrazione tedesca della disciplina e del rigore nella gestione dei conti pubblici. Ma è anche la bussola cui si è orientata platealmente la politica fiscale di Olaf Scholz, il socialdemocratico riformista che dovrebbe ingoiare così la seconda sconfitta personale in sette giorni. Se la componente riformista non riuscirà a controbilanciare l’offensiva dei nuovi vincitori, si aprirà un conflitto difficilmente gestibile all’interno del governo. E per Scholz sarebbe impossibile mantenere i ruoli di ministro delle Finanze e vice-cancelliere, una volta che il suo partito, dopo averlo bocciato come candidato presidente, ne mettesse in discussione la sua linea di politica fiscale.

Ecco perché, nonostante l’ammorbidimento dei toni di Esken e Walter-Borjans dopo la vittoria (erano partiti sostenendo la fuoriuscita dalla Grosse Koalition, ora sembrano accontentarsi di aggiornare il programma di governo), l’evoluzione politica resta aperta a qualsiasi esito, anche a quella di una fine anticipata della Grosse Koalition.

LA SVOLTA A SINISTRA ALLARMA GLI INDUSTRIALI

Nel frattempo, l’annuncio di una revisione in senso socialdemocratico dell’agenda governativa ha allarmato il mondo imprenditoriale. La cosa di per sé non meraviglia. Quel che sorprende è la rapidità e la durezza di toni con cui gli industriali si sono gettati nel confronto politico, prima ancora che esso prenda in qualche modo forma. È un segno della profonda sfiducia con cui il mondo dell’economia segue i passi del quarto governo Merkel, nei confronti del quale le critiche si sono fatte negli ultimi tempi sempre più sferzanti.

Il primo monito è giunto dal presidente degli industriali tedeschi Dieter Kempf. “Non possiamo permetterci un noioso stallo nell’azione di governo”, ha detto in un’intervista alla Welt. Il timore è che i partiti della coalizione si impantanino in una lunga fase di rinegoziazione del contratto di governo al termine della quale, pur di giungere alla fine della legislatura, si introducano ulteriori misure penalizzanti per l’economia.

Da qui l’appello “alla responsabilità di tutti i politici interessati affinché recuperino velocemente comportamenti chiari per gestire le grandi sfide che ci attendono”. Lo scenario descritto dal capo degli industriali è cupo: “L’economia ristagna e il ritmo con cui il governo introduce le riforme necessarie è da tempo al di sotto delle nostre attese”.

Dal canto suo, anche il presidente dell’associazione che rappresenta le aziende metalmeccaniche, Thilo Brodtmann, ammonisce l’Spd a non modificare la propria azione di governo: “Le idee di Esken e Walter-Borjans sono esattamente il contrario di quel che serve alle piccole e medie imprese per restare competitive e salvaguardare i posti di lavoro. In questo modo i socialdemocratici si allontanano dai principi dell’economia sociale di mercato e propongono sempre più dirigismo”.

Infine Reinhold von Eben-Worlée, presidente della potente Unione delle aziende familiari, organizzazione tradizionalmente vicina alla Cdu: “L’Spd avrà sempre meno attenzione nei confronti di coloro che ogni giorno pagano le tasse e generano i contributi previdenziali”, ha scritto in un commento apparso sulla Rheinische Post, “è tempo che l’Spd si svegli e decida se far parte o uscire dalla Grosse Koalition”. Le imprese hanno bisogno di scelte e riforme per non perdere terreno nella competitività internazionale, ha aggiunto Eben-Worlée, concludendo: “L’uscita dal governo sarebbe per la Germania un male minore rispetto al fatto di proseguire in questo modo”.

ANCHE L’SPD TEME LA FINE DEL GOVERNO E IL VOTO ANTICIPATO

Un’ipotesi che spaventa tanto i cristiano-democratici quanto i socialdemocratici governisti, una componente che come si è visto è minoritaria nella base del partito ma sempre molto forte nelle strutture dirigenziali. La mediazione all’interno di una Spd spaccata, da qui al congresso di questo fine settimana, deciderà le sorti del governo. Sullo sfondo il timore dei partiti della maggioranza di un bagno elettorale in caso di voto anticipato (ma non è detto che fra due anni le prospettive siano migliori) e gli obblighi di presidenza dell’Ue nel secondo semestre del 2020.

Una Angela Merkel sempre più debole dovrebbe trovare uno scatto d’ala dopo mesi di compromessi al ribasso. Finanche un economista da sempre favorevole al superamento del vincolo del pareggio di bilancio come Marcel Fratzscher, presidente dell’istituto di ricerca economica berlinese Diw (Deutsches Institut für Wirtschaftsforschung), esprime a voce alta i dubbi sulla capacità del governo di definire gli orientamenti di base: “Alla coalizione manca il coraggio di affrontare le grandi questioni di questo tempo, dalla difesa del clima alla digitalizzazione, dall’istruzione fino alla riforma del fisco e agli investimenti per il futuro”. Questioni peraltro sulle quali il governo ha in buona parte già legiferato. In maniera tuttavia insufficiente, stando al giudizio di esperti e operatori economici.

LA PAURA DI ALTERNATIVE ALIMENTA LA SPIRALE DELL’IMMOBILISMO

Ma anche la posizione degli industriali appare confusa e figlia delle incertezze del momento. A mettere in discussione il totem dello Schwarze Null era stata nei mesi scorsi una curiosa alleanza di imprenditori, sindacati ed economisti di primo piano, pronti a chiedere al governo un maggiore impegno dello Stato nel finanziamento di misure anticicliche per affrontare la crisi. Se è comprensibile dal punto di vista imprenditoriale il timore di maggior dirigismo da parte del governo e di misure che penalizzino le imprese, appare tuttavia paradossale il tifo per la continuità di un governo di cui quotidianamente si criticano le iniziative. La paura di alternative e l’incertezza del quadro politico ed economico sembra aver risucchiato nella spirale dell’immobilismo tanto i partiti di maggioranza quanto gli uomini delle imprese. Fra questi ultimi c’è chi si sta già attrezzando per dialogare con i Verdi e chi magari ritiene un male minore la soluzione di passaggio di un governo di minoranza della Cdu.

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