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TuttI gli affari turchi di Erdogan in Libia

L'analisi di Gianandrea Gaiani, direttore di AnalisiDifesa

 

Dopo aver respinto l’Esercito nazionale libico (LNA) del generale Khalifa Haftar lontano da Tripoli e ormai fuori dalla Tripolitania, Ankara presenta il conto al Governo di accordo nazionale (GNA) di Tripoli.

Alle notizie sulle compensazioni economiche che vedranno compagnie petrolifere e società turche assicurarsi gran parte dei contratti per la ricostruzione post-bellica della Tripolitania e per la ricerca di gas e petrolio nella Zona Economica Esclusiva turco-libica proclamata a novembre e contestata dagli altri Stati rivieraschi, si aggiungono le informazioni circa il consolidamento della presenza nella ex colonia italiana delle forze armate di Ankara, “passate all’incasso” per consolidare le loro posizioni nel Mediterraneo Centrale.

Ankara ha schierato al fianco del GNA non meno di 1.500 militari e contractors, 11 mila mercenari siriani oltre a decine di droni, blindati, artiglieria, sistemi di difesa aerea e navi da combattimento e continua a far affluire armi, mezzi e munizioni inclusi carri armati M-60.

A quanto scrive il quotidiano filo governativo Yeni Safak, citando fonti regionali, la Turchia occuperà due basi militari in Libia: il grande aeroporto di al-Watiya (non lontano dal confine tunisino 125 chilometri a Sud-Ovest di Tripoli, espugnato un mese or sono all’LNA che la controllava dal 2014) e nel porto di Misurata.

L’utilizzo delle basi rientrerebbe nell’ambito dell’accordo bilaterale di cooperazione militare sottoscritto lo scorso novembre tra Ankara e il GNA.

Ad al-Watiya verrebbero basati droni, aerei da trasporto e caccia F-16 e la base verrebbe protetta da sistemi di difesa aerea a corto e medio già oggi schierati a Mitiga (Tripoli) e Misurata.

Non è da escludere che al-Watya possa venire utilizzata, forse non a tempo pieno, anche dalle forze statunitensi dell’Africa Command (Africom) dopo le intese tra Ankara e Washington dei giorni scorsi e il colloquio tra Donald Trump e Recep Tayyp Erdogan.

Colloquio con cui di fatto Washington si affida ad Ankara per stabilizzare la Tripolitania e la crisi libica due anni dopo aver riposto (invano) fiducia nell’Italia attribuendo a Roma la leadership della crisi libica nell’estate 2018.

Del resto era stato lo stesso ministro dell’interno del GNA, Fathi Bashaga, a offrire nei febbraio scorso una base militare agli Stati Uniti definita utile alla stabilizzazione della Libia.

A Misurata verrebbe invece creata una base navale ma i turchi avrebbero accesso anche all’aeroporto della città che già ospita installazioni militari e droni Bayraktar TB-2 turchi, oltre all’Accademia Aeronautica libica.

“Alla luce delle crescenti provocazioni greche nel Mediterraneo orientale, e dell’importanza strategica delle forze navali – scrive il quotidiano – è fondamentale mantenere nell’area la presenza navale turca”. Anche perchè, ha aggiunto, “la presenza di navi turche è considerata essenziale per la sicurezza delle attività di perforazione (petrolio e gas) nella regione”.

Nei giorni scorsi del resto la Turchia ha mostrato pesantemente bandiera in quelle acque con una massiccia esercitazione militare aerea e navale battezzata “Mare aperto” che ha coinvolto,  secondo quanto reso noto dal  ministero della Difesa di Ankara, 8 tra fregate e corvette e 17 velivoli decollati dalla base di Eskisehir, nell’Anatolia occidentale, tra cui caccia F-16.

Secondo media locali, l’attività si è svolta al largo della Libia, dove il 10 giugno navi militari turche hanno impedito la perquisizione di un cargo carico di armi, partito dalla Turchia e diretto a Misurata, da parte da parte della fregata greca Spetsai dell’operazione navale Ue Irini, impegnata in teoria a far rispettare l’embargo di armi verso il Paese.

 

Articolo pubblicato su analidifesa.it

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