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Facebook Irlanda META IVA

Tutti contro Facebook negli Stati Uniti?

Ormai è partita e non si ferma più la valanga di guai che ha investito Facebook dopo il datagate che lo vede coinvolto insieme a Cambridge Analytica. L’approfondimento di Chiara Rossi per Start Magazine con le ultime iniziative di Apple, Tesla e… Dopo la conferma che la Federal Trade Commission ha aperto un’indagine su Facebook,…

Dopo la conferma che la Federal Trade Commission ha aperto un’indagine su Facebook, scrive Quartz, le azioni della piattaforma di Mark Zuckerberg sono crollate di nuovo di circa il 7% ieri. Sono poi rimbalzate a 160,06 dollari, appena sopra il prezzo di apertura ma da quando è scoppiato lo scandalo Cambridge Analytica le azioni della compagnia sono scese del 17% dal picco massimo registrato il 1° febbraio. Se la Ftc proverà che Facebook abbia violato l’accordo del 2011 sulla condivisione dei dati degli utenti, potrebbe sanzionare la società di Zuckerberg con pesanti multe. Ma questa è soltanto la punta dell’iceberg contro cui si sta per abbattere il titanico social network.

FACEBOOK A PROCESSO E TRASCINA GOOGLE E TWITTER

Prima convocazione in tribunale per Mark Zuckerberg: la contea di Cook, quella che comprende la città di Chicago in Illinois, ha fatto causa a Facebook a Cambridge Analytica, come riportato dal Chicago Tribune. L’accusa sostiene che le due società abbiano violato la legge usando dati di milioni di utenti senza il loro consenso, in particolare il social blu sarebbe colpevole di non aver tutelato i dati personali dei propri iscritti. Si tratta della prima causa contro Facebook da parte di una istituzione americana, da quando è scoppiato lo scandalo Cambridge Analytica.

Dopo le richieste inviate al fondatore Zuckerberg dalla commissione per l’Energia e il commercio della Camera prima e dalla commissione Commercio del Senato Usa poi, anche la commissione Giustizia del Senato ha fissato per il 10 aprile un’udienza sul futuro della privacy dei dati e sui social media. La comissione ha dichiarato inoltre che esplorerà nuove “regole” per le aziende tecnologiche, si legge sul Wahington Post. Diversamente dalle altre due commissioni, stavolta l’obiettivo non è puntato soltanto su Mark Zuckerberg ma anche su altri due giganti tecnologici. Il risultato potrebbe essere un’audizione che espone i numeri uno di Google e Twitter – rispettivamente Sundar Pichai e Jack Dorsey – a domande scomode sulla misura in cui traggono profitto dai dati personali dei loro utenti. Tuttavia, finora non è emerso che Cambridge Analytica abbia usato dati di Google e di Twitter.

LA RIVOLTA DEGLI STATI A STELLE E STRISCE

Sempre nella giornata di ieri, una coalizione dei procuratori generali di 37 Stati americani ha chiesto a Facebook risposte su come Cambridge Analytica possa aver impropriamente ottenuto i dati di 50 milioni di utenti per influenzare risultati elettorali. Gli avvocati dello Stato vogliono sapere da Mark Zuckerberg nello specifico quali siano i termini per la cessione di informazioni a parti terze, quali siano i dati raccolti e quali misure di tutela sono state messe in piedi fino ad oggi. “In passato Facebook ha promesso di tutelare la privacy degli utenti ma dobbiamo essere certi che gli utenti possono fidarsi di Facebook. Con le risposte ottenute finora questa fiducia è venuta a mancare”, si legge nella lettera inviata dal gruppo di procuratori alla società di Zuckerberg.

I COMPAGNI TECH VOLTANO LE SPALLE A MARK

Primo è stato Elon, poi Tim. Alla fine della scorsa settimana il fondatore e ceo di SpaceX e Tesla Elon Musk ha rimosso da Facebook le proprie società, lasciando inattive le pagine ufficiali, chiara presa di posizione contro il social pietra dello scandalo sui dati. Sabato ci ha pensato invece il numero uno di Apple a esprimere tutto il suo dissenso sulla vicenda: intervenuto al forum annuale per lo sviluppo della Cina a Pechino, Tim Cook ha affermato: “Penso che questa determinata situazione sia così terribile ed è diventata così grande che probabilmente è necessario un regolamento ben congegnato. Per anni ci siamo preoccupati che le persone in molti Paesi stessero rinunciando ai dati probabilmente senza sapere a fondo ciò che stessero facendo ed eravamo certi che un giorno sarebbe successo qualcosa che avrebbe notevolmente offeso queste stesse persone. Sfortunatamente questa predizione si è avverata più di una volta”. Come ha riportato ieri il Sole 24 Ore, anche la ceo di Ibm, Ginny Rometty, ha in un convegno pubblico si è espressa su questa scia: “Se vuoi usare certe tecnologie devi far sapere agli utenti che le usi. Non deve essere una sorpresa. Le persone devono avere la possibilità di aderire o rifiutare con le modalità di “opt in” e “opt out”, e deve essere chiaro che la proprietà dei dati è di chi li crea”.

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