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Putin Germania

Tutte le ultime mosse di Merkel su Cina, Biden e deficit

Che cosa sta cambiando Merkel in Germania su Usa, Cina e non solo. L'approfondimento di Tino Oldani per Italia Oggi

Non da oggi, per scoprire dove andrà l’Europa è buona regola seguire le mosse di Angela Merkel. Anche se mancano appena otto mesi al suo addio alla cancelleria, è sempre lei a stabilire la direzione di marcia della Germania, e di riflesso quello dell’Unione europea. Un esempio? Basta osservare ciò che ha fatto martedì scorso: in un solo giorno ha risposto «nein» a Joe Biden, annunciando che la Germania non si schiererà contro la Cina come vorrebbe il nuovo presidente Usa; poi, tramite il suo braccio destro alla cancelleria, ha dato il più clamoroso colpo di piccone all’ordoliberismo tedesco, annunciando che anche nei prossimi anni la Germania continuerà a spendere in deficit per uscire dalla crisi post Covid-19. Una scelta a dir poco rivoluzionaria nel paese culla dell’ordoliberismo, che ha sempre considerato il debito una colpa, e nello stesso tempo una mossa politica sorprendente, destinata a pesare sulle prossime elezioni politiche e sulla successiva scelta dell’eventuale alleato di governo, in caso di vittoria della Cdu. Collegata via web al Forum economico mondiale di Davos (Svizzera), Merkel ha risposto in termini molto chiari all’appello con cui Joe Biden sta cercando di raggruppare in un unico blocco le democrazie occidentali per contenere l’espansionismo della Cina: «Vorrei davvero evitare la costruzione di blocchi. Non credo che renderemmo giustizia a molte società se dicessimo questi sono gli Stati Uniti e laggiù c’è la Cina, e che ci stiamo raggruppando attorno all’uno o all’altro. Questa non è la mia visione di come le cose dovrebbero essere». Ancora più chiara, la cancelliera ha aggiunto: «Il presidente cinese Xi Jinping ha parlato ieri al Forum, e io e lui siamo d’accordo su questo: vediamo la necessità di un multilateralismo». In pratica, l’annuncio che la Germania giocherà un ruolo autonomo rispetto al contrasto tra Usa e Cina, con l’ambizione di essere trainante per l’Unione europea.

Giocando d’anticipo rispetto a chi l’accusa di privilegiare i rapporti economici con la Cina a scapito dei diritti umani, la Merkel ha precisato: «C’è una questione su cui non siamo d’accordo con la Cina. Riguarda i modelli sociali, che sono diversi. Da qui la domanda su dove inizia e dove finisce l’interferenza, e su quali sono i valori elementari indivisibili da difendere». In ogni caso, la cancelliera si è dichiarata «molto soddisfatta» per il recente accordo commerciale tra Ue e Pechino, che prevede reciprocità, trasparenza sui sussidi statali cinesi e un accesso più prevedibile alle tecnologie d’avanguardia in Cina.

Mentre la Merkel parlava via web con Davos, in Germania l’attenzione del mondo politico era concentrato sull’editoriale del quotidiano economico Handelsblatt, firmato da Helge Braun, deputato Cdu e suo braccio destro alla Cancelleria. In sintesi, vi si annuncia che anche nei prossimi anni il governo federale aumenterà di molto la spesa pubblica in deficit, abbandonando il freno all’indebitamento (Schuldenbremse) scritto nella Legge fondamentale, ovvero nella Costituzione tedesca. «La Schuldenbremse non sarebbe sostenibile nei prossimi anni, anche se cercassimo di essere più disciplinati nella spesa», ha scritto Braun, avanzando una proposta che non avrebbe mai potuto permettersi senza l’avallo della cancelliera: «Sarebbe molto più ragionevole collegare una strategia di ripresa economica con un emendamento costituzionale, che preveda un affidabile corridoio per il nuovo indebitamento, sia pure in scala decrescente e limitato per alcuni anni, specificando anche una data per tornare alla regola del freno sul debito».

Giova ricordare che il governo tedesco, per fare fronte alla crisi da pandemia, con due manovre ha messo in campo un bazooka da 550 miliardi, più 800 miliardi di garanzie statali, indebitandosi per 130 miliardi di euro nel 2020, più altri 180 miliardi di deficit quest’anno. Il tutto in base alla sospensione del freno costituzionale all’indebitamento deciso nella primavera scorsa, con l’intento di riattivarlo nel 2022. La proposta di Braun, con l’avallo della Merkel, sposta ancora più in avanti la politica del deficit spending, addirittura con una modifica della Costituzione.

Questo significa l’abbandono, in un colpo solo, di due totem dell’ordoliberismo tedesco: il freno all’indebitamento (Schuldenbremse), e il pareggio di bilancio (Schwarze null). Una scelta a dir poco rivoluzionaria se si considera che il pareggio di bilancio è stato negli ultimi sei anni un vanto della politica della Merkel, nonché un pilastro della politica di austerità imposta da Berlino agli altri paesi dell’eurozona. Non per nulla l’Italia, sotto il governo di Mario Monti, apportò una modifica alla Costituzione, inserendovi l’obbligo del pareggio di bilancio. Un obbligo puramente ideologico, talmente assurdo che dal 2012 nessun governo italiano lo ha rispettato, a cominciare da quello di Monti. Il quale, tuttavia, a sentire le sue ultime uscite, non vede l’ora di rispristinare l’austerità, con più tasse e tagli di spesa, fermo ai desiderata di Berlino di quasi dieci anni fa.

La Merkel, intanto, guarda avanti e prepara il terreno per il suo successore alla cancelleria. La Cdu, data per vincente insieme alla Csu nelle prossime elezioni politiche, dovrà scegliere con chi allearsi al governo. E l’apertura a sorpresa sul deficit spending pone in concorrenza tra loro, come possibili alleati, i socialdemocratici della Spd e i Verdi, entrambi favorevoli a tale politica da sempre. Per paradosso, le maggiori resistenze alla nuova strategia della Merkel provengono dall’interno della Cdu e dal partito liberale, dove non pochi esponenti continuano a dichiararsi in difesa del vincolo costituzionale sul freno del debito, un dogma dell’ordoliberismo che dura da 70 anni, ha influito sulla formazione dei politici di tre generazioni e difficilmente sparirà di colpo dalla scena.

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