Forse con un eccesso di enfasi, il premier ceco Petr Fiala (nella foto) ha inquadrato le consultazioni politiche di questo 3 e 4 ottobre come una vera e propria battaglia per l’avvenire geopolitico della nazione. Al di là dell’emotività, tale affermazione coglie nel segno una verità incontrovertibile: il conflitto ucraino ha trasformato l’Europa centrale in un teatro di vulnerabilità crescente, particolarmente per quei paesi che hanno reciso i legami con l’ex blocco sovietico attraverso le storiche rivoluzioni del 1989. In questo scenario, ogni appuntamento elettorale assume contorni cruciali, configurandosi come un crocevia decisivo tra l’ancoraggio definitivo all’Occidente (o a quel che ne resta) e il pericolo di un ritorno nell’orbita nebulosa del neo-imperialismo moscovita.
È accaduto in Moldavia, appena qualche giorno fa, quando le forze europeiste hanno trionfato con un risultato sorprendente nelle elezioni parlamentari, doppiando il partito filorusso e consolidando il percorso che porterà nell’Ue.
VOTO ALL’OMBRA DELLA DISINFORMAZIONE
La posta in gioco è dunque alta. Non solo per Praga, ma pure per Mosca. Non sorprende pertanto che la Repubblica Ceca sia stata anch’essa investita da un’ondata senza precedenti di disinformazione filorussa, fenomeno che gli osservatori descrivono come parte integrante di una strategia bellica ibrida più ampia.
L’eventuale ritorno al potere del populista Andrej Babiš, attualmente favorito dai sondaggi, comporterebbe l’ingresso ai tavoli europei di un nuovo alleato in un triangolo più o meno ufficiale con Viktor Orbán e Robert Fico erodendo ulteriormente la compattezza comunitaria sulla questione ucraina.
Il panorama informativo ceco appare compromesso da questa campagna di destabilizzazione. Dal febbraio 2022, coincidente con l’invasione russa dell’Ucraina, il flusso di contenuti falsificati ha registrato un’escalation costante, toccando il picco record di circa cinquemila articoli mensili, secondo le rilevazioni del giornalista investigativo Vojtěch Boháč dell’agenzia Voxpot riprese dal sito di informazione Politico. Un’inchiesta recente ha svelato che sedici principali portali di disinformazione producono collettivamente più materiale dell’intera galassia mediatica tradizionale ceca.
La gamma narrativa spazia dalle consuete critiche antieuropee e antiatlantiche fino a teoremi complottistici estremi. Gli specialisti sottolineano come questa offensiva informativa non punti tanto a sostenere candidature specifiche quanto piuttosto a destabilizzare l’intero sistema-paese.
La Repubblica Ceca è oggi un ostacolo per le ambizioni del Cremlino. Il governo Fiala ha promosso iniziative militari per accelerare le forniture di munizioni a Kiev, accogliendo simultaneamente un numero considerevole di profughi ucraini che oggi rappresentano circa il 5% della popolazione nazionale. Tale supporto incondizionato ha inevitabilmente provocato una reazione sotto forma di intensificazione delle attività dei servizi di intelligence russi sul territorio ceco, compresi attacchi cibernetici.
UN POPULISMO CHE CONQUISTA
Il programma di Babiš prevede invece l’abolizione degli aiuti militari, mentre in diverse interviste l’ex premier ha auspicato un compromesso per terminare le ostilità. Più che compiacere direttamente Putin, la strategia elettorale di Babiš punta sui timori di cittadini preoccupati che l’incremento delle spese militari possa penalizzare i servizi locali. L’ex premier è più un populista pragmatico che modella i propri messaggi per conquistare consensi, che un filorusso, come testimonia la fermezza che mostrò contro Putin all’indomani dell’invasione ucraina. Questo però non semplifica le cose e la sua attuale convergenza di interessi con Mosca rende anche questa elezione una mossa delicata nella più generale partita a scacchi geopolitica nel cuore d’Europa.