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Tutte le sferzate dei vescovi che hanno (forse) convinto Conte a riaprire le chiese

Come si discute fra Cei e governo - ma anche all'interno della Chiesa con alcune voci dissonanti rispetto alla linea della Cei - per riaprire le chiese. Il punto di Fabrizio Anselmo

Quando, alla fine di maggio di due anni fa, il Movimento 5 Stelle e la Lega proposero al Capo dello Stato Sergio Mattarella il nome di Giuseppe Conte, la maggior parte degli italiani non aveva mai sentito parlare di questo professore di diritto privato che, improvvisamente, si trovava catapultato alla guida del Paese. Oltretevere, messa da parte la sorpresa iniziale, non pochi tirarono un sospiro di sollievo. Nei Sacri Palazzi, quello di Conte non era proprio un nome sconosciuto. Il professore, fin dai tempi degli studi universitari, quando iniziò a frequentare la residenza universitaria Villa Nazareth, poteva vantare un rapporto molto stretto, di grande fiducia, con il cardinale Achille Silvestrini, per decenni deus ex machina della diplomazia della Santa Sede e scomparso poco meno di un anno fa.

Una doccia fredda

La decisione del Governo di prolungare la sospensione delle messe è arrivata come una vera e propria doccia fredda per la Cei. Un qualcosa che i vescovi di certo non si aspettavano da un cattolico come Conte, che della sua professione religiosa non ha mai fatto mistero e che più volte ha ribadito nel corso delle conferenze stampa di questi due mesi. Tutti ricordano la gaffe “biblica” sulla Pasqua del presidente del Consiglio, parlando di “passaggio e riscatto dalla schiavitù all’Egitto”. Uno scivolone, che se ha fatto ridere i più, non è passato inosservato in Vaticano, dove sicuramente è stata apprezzata la sua vicinanza ai fedeli “sofferenti” per non poter partecipare alle cerimonie religiose. Qualcosa, quindi, qualche giorno fa dev’essere andato storto, con Conte che probabilmente ha ceduto alle pressioni del comitato tecnico-scientifico.

L’attacco della Cei

Poco dopo la fine della conferenza di Conte, la Cei ha diramato una dota durissima contro la decisione del Governo. Probabilmente era stata avvertita in anticipo della decisione, visto che la nota è stata emessa con l’approvazione della Segreteria di Stato, un passaggio che richiede comunque un certo tempo. Toni forti, quelli usati dai vescovi italiani. Al Governo viene mossa l’accusa di avere agito “arbitrariamente” e di non saper distinguere tra la sua responsabilità e quella della Chiesa, arrivando a parlare addirittura di “compromissione della libertà di culto”. Una frattura che se protratta potrebbe diventare insanabile, per un presidente quotidianamente in bilico, tanto che nel giro di poco tempo il Governo torna sui propri passi ipotizzando il ripristino delle messe a partire dall’11 maggio. Una posizione, comunque, quella della Cei, “ridimensionata” dalle parole di Papa Francesco, per il quale “bisogna obbedire alle disposizioni perché la pandemia non torni”. E il Corriere della Sera oggi con Massimo Franco scrive: “E’ circolata la voce secondo la quale lunedì, poche ore dopo la dura presa di posizione della Conferenza episcopale contro le misure del governo nella fase 2, ci sarebbe stato una telefonata tra il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e Casa Santa Marta, residenza papale dentro il Vaticano. Da lì sarebbero nate l’ipotesi di «un protocollo per svolgere le messe in sicurezza», all’aperto, dall’11 maggio”. Conclusione di Franco: “Il Papa si è ripreso la scena a spese della Cei”.

Conte sotto attacco

Non è però soltanto la Cei ad attaccare la scelta del Governo. Numerosi sono gli esponenti di primo piano della gerarchia ecclesiastica che fanno sentire la loro voce. In un’intervista a Il Giornale, l’ex presidente dei vescovi italiani, Camillo Ruini, ha accusato il Governo di essersi arrogato “competenze non sue riguardo alla vita della comunità cristiana. Bene ha fatto quindi la Cei a protestare con forza”. Anche il cardinale Angelo Bagnasco, presidente del Consiglio delle conferenze dei vescovi d’Europa e successore proprio di Ruini alla guida della Cei, parla di “disparità di trattamento inaccettabile nei confronti dei cristiani”. Sulla stessa linea d’onda il patriarca di Venezia Francesco Moraglia che, in un’intervista a La Repubblica, riflette su come i cattolici siano stati “discriminati rispetto ad altre realtà che possono ripartire”. Don Davide Milani, oggi parroco a Lecco ma per molti anni strettissimo collaboratore del Cardinale Angelo Scola, sostiene che “la ripartenza non potrà avvenire se non riparte l’uomo prima che il consumatore”.

Qualche voce fuori dal coro

Non tutti, però, sono allineati con la posizione della Cei. Sempre su La Repubblica, il vescovo di Pinerolo Derio Olivero, risultato positivo al test del coronavirus, ha invitato i vescovi alla “prudenza. Non sapete fino in fondo cosa sia questa malattia. Non è finita ancora, non forzate la mano”. Sempre in Piemonte si è alzata una voce contraria a quella della Cei. E’ quella di don Giovanni Ferretti, filosofo e teologo, oggi rettore della real Chiesa di San Lorenzo di Torino, che in un’intervista a La Stampa ha dichiarato che “la Chiesa non ha privilegi nello Stato democratico: giusto vietare la frequentazione delle Messe”. A far discutere, soprattutto in curia a Milano, è poi il post, dal titolo eloquente di “Non ne avevamo bisogno”, del Cappellano dell’Università Bicocca nel capoluogo lombardo Don Cristiano Mauri, per il quale “parlare di compromissione della libertà di culto è oggettivamente sproporzionato e, a mio parere, ingannevole”, anche perché “denunciare una aggressione alla libertà di culto è irrispettoso verso coloro che nel mondo realmente non ne godono”. Con una stoccata a quella che può essere vista come una sorta di “fissazione” dei vescovi per la messa, visto che, per Don Mauri, “la Messa non è l’unica risposta ai “bisogni spirituali” dei credenti. Chi lo sostiene dimostra una visione di Chiesa e di vita cristiana estremamente limitata e riduttiva”.

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