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Inflazione Biden

Tutte le putinate di Biden sull’Iran

Biden si sta affidando alla Russia di Putin per concludere un accordo con l'Iran. L'analisi di Federico Punzi, direttore editoriale di Atlantico Quotidiano.

 

Mentre in Ucraina si combatte, mentre Occidente e Russia si affrontano a colpi di durissime sanzioni e contro-sanzioni, mentre il presidente Usa Joe Biden assicura che Putin è “più che mai isolato dal resto del mondo” e, promette, “sarà un paria sulla scena internazionale”, lo stesso Biden si affida proprio a Putin per portare a casa l’accordo sul nucleare iraniano, riconoscendo la centralità di Mosca in Medio Oriente.

I negoziati in corso a Vienna, nella quasi totale indifferenza dei media, concentrati sul conflitto ucraino, sono entrati nella fase conclusiva.

Consapevoli di quanto l’amministrazione Biden fosse alla disperata ricerca di un accordo, gli iraniani hanno giocato duro, alzando la posta e rifiutandosi di trattare direttamente con i negoziatori Usa. E a chi si sono rivolti gli americani, nella persona di Robert Malley, rappresentante speciale Usa per l’Iran e già capo negoziatore del disastroso accordo del 2015? Sì, hanno chiesto proprio ai russi di fare da intermediari per trovare un’intesa con gli iraniani – una scelta che non può che destare stupore e inquietudine alla luce di quanto sta avvenendo in Ucraina (e non da oggi, ma da mesi, come si ricorda proprio da Washington). Insomma, mentre Europa e Stati Uniti sono sull’orlo di un conflitto armato con la Russia, e hanno intrapreso una costosissima guerra economica contro di essa, in Medio Oriente l’amministrazione Biden corteggia i russi per farsi aiutare con gli iraniani e le sue politiche nei confronti di Teheran sono coordinate con gli emissari di Mosca.

“Quello che sta accadendo a Vienna è un disastro totale”, ha avvertito su Twitter Gabriel Noronha, ex funzionario del Dipartimento di Stato: l’intero negoziato è stato filtrato ed “essenzialmente condotto” dal diplomatico russo Mikhail Ulyanov. Proprio Ulyanov due giorni fa ha riferito che l’accordo è a sole 24-48 ore dall’essere chiuso. Secondo l’analista Reza Zandi, verrà firmato nelle prossime 72 ore. Ma se anche dovesse volerci qualche giorno in più, sembra ormai certo che l’intesa sarà raggiunta. Ottimista, ieri, anche l’alto rappresentante Ue per gli affari esteri, Josep Borrell: “Spero che durante questo weekend possiamo arrivarci”.

E, guarda caso, l’accordo è imminente proprio nel momento in cui la Russia è stretta nella morsa delle sanzioni economiche e finanziarie, e l’Occidente nella morsa energetica. Non poteva esserci momento migliore per il ritorno sui mercati del petrolio e del gas iraniani, che verranno venduti a prezzi record. L’Iran è pronto ad aumentare la sua produzione di greggio “quando le sanzioni Usa saranno tolte alla fine del negoziato”, ha annunciato il ministro del petrolio iraniano. Il segretario ai trasporti Usa, Pete Buttigieg, si è spinto a dichiarare che l’opzione di acquistare petrolio da Teheran è “sul tavolo”.

E come impiegherà Teheran i profitti e i benefici della ripresa del suo export, petrolifero e non solo? Comprando armi e materiali dalla Russia, sostenendone così l’economia.

L’accordo sul nucleare iraniano, oltre a non impedire a Teheran di dotarsi della bomba, è un premio ai nemici – Russia e Iran – e una punizione agli amici – Israele e Paesi del Golfo. Non mancano infatti segnali di freddezza da questi ultimi.

Respinte dall’Opec le richieste Usa di aumentare la produzione di petrolio per allentare le tensioni sui mercati che stanno facendo schizzare alle stelle i prezzi. Né c’è da stupirsi che in Consiglio di Sicurezza Onu gli Emirati Arabi Uniti si siano astenuti, insieme alla Cina, sulla risoluzione di condanna dell’aggressione russa.

La relazione tra Usa ed Emirati sta attraversando uno “stress test”, ha spiegato l’ambasciatore emiratino a Washington, Yousef al Otaiba, dicendosi fiducioso che i due Paesi lo supereranno. Ma certo lo stop alla vendita degli F-35 e l’imminente accordo sul nucleare iraniano non aiutano.

Il principe ereditario saudita Mohammed bin Salman, in un’intervista a The Atlantic, ha detto che “non gli importa” se il presidente Biden lo ha frainteso e ha avvertito che ridurre gli investimenti sauditi negli Usa, che ammontano a 800 miliardi di dollari, è un’opzione, mentre cresce la cooperazione di Riyad con la Cina anche in campo militare.

Come riportato dal Wall Street Journal, citando consiglieri e funzionari sauditi che hanno familiarità con l’intelligence Usa, l’Arabia Saudita ha importato una tecnologia missilistica sensibile dall’esercito cinese e sta producendo propri missili balistici. Lungi dallo scongiurare una corsa agli armamenti nella regione, l’accordo del 2015 con Teheran e i negoziati attuali la stanno evidentemente innescando.

Ciò che sia i nemici che gli amici dell’America stanno vedendo è la sua debolezza: prima il caotico ritiro dall’Afghanistan, poi l’abbandono dell’Ucraina. Se la Russia riesce a sfidare gli Usa, nonostante la sua economia sia più piccola di quella spagnola, è perché è ricca di gas e petrolio ed è una potenza nucleare. Esattamente lo status a cui mira l’Iran: diventare tra qualche anno una potenza nucleare oltre che importante fornitore di gas e petrolio.

Da qui la miopia dell’amministrazione Biden: nel breve termine, sbloccare il petrolio e il gas iraniani può raffreddare i prezzi, ma nel medio termine il rischio è di favorire la nascita di una piccola Russia in Medio Oriente, l’Iran, guidato da un regime che esattamente come quello putiniano avrebbe in mano sia cospicue risorse energetiche che, tra non molto, anche l’arma nucleare. Si riproporrebbe dunque in Medio Oriente, sebbene in scala ridotta, lo stesso dilemma che viviamo oggi in Europa con il conflitto ucraino: come difendere un Paese aggredito da un Iran dotato sia della leva energetica che della deterrenza nucleare?

Sarebbe già grave se l’amministrazione Biden rianimasse il disastroso accordo dell’era Obama. Ma i suoi negoziatori stanno riuscendo a peggiorarlo, spianando ulteriormente la strada di Teheran verso il nucleare e la ripresa delle sue attività destabilizzanti nella regione, che hanno subito una battuta d’arresto proprio per la mancanza di finanziamenti. Quello che si sta preparando a Vienna sarà, secondo l’ex consigliere della sicurezza nazionale Usa Richard Goldberg, “il nuovo peggior accordo della storia”.

I possibili benefici per Teheran del nuovo accordo li ha delineati Noronha. L’amministrazione Biden si sta preparando a revocare l’ordine esecutivo dell’Ufficio del Leader Supremo, che non è nemmeno legato al programma nucleare iraniano, rimuovendo dalle sanzioni quasi tutte le 112 persone ed entità coinvolte, tra cui alcuni dei peggiori terroristi, torturatori e funzionari di spicco nelle infrastrutture di armi di distruzione di massa. Sanzioni revocate anche ad ampi settori economici e finanziari del regime, inclusa la National Iranian Oil Company (NIOC). Oggetto dei negoziati anche la rimozione dei Guardiani della Rivoluzione, i Pasdaran, dalla lista delle organizzazioni terroristiche e, di conseguenza, la revoca delle relative sanzioni. È attraverso di essi che Teheran finanzia e fornisce armamenti a Hezbollah, Hamas e Houthi per alimentare le sue proxy-war contro i nemici regionali, Israele e Arabia Saudita, ma anche le operazioni in Iraq, Siria e in tutto il Medio Oriente.

Ricordiamo le principali falle dell’accordo del 2015: aver mantenuto l’Iran su un percorso verso l’atomica, pur ritardandolo di una decina di anni (ammesso che Teheran avesse rispettato le limitazioni concordate); non includere il programma di missili balistici, che ha continuato a sviluppare indisturbato; aver ignorato il ruolo del regime iraniano come principale sponsor mondiale del terrorismo. Ma violando l’accordo, da allora Teheran ha compiuto enormi progressi: dal 3 per cento circa consentito, attualmente sta arricchendo l’uranio con una purezza fino al 60 per cento e sta nascondendo scorte di materiale fissile all’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea). L’Aiea ritiene che l’Iran abbia aumentato in modo significativo le sue scorte di uranio altamente arricchito, in violazione dell’accordo del 2015, sebbene non sia in grado di quantificarle a causa delle limitazioni imposte da Teheran agli ispettori.

Un rapporto della Foundation for Defense of Democracies afferma che da quando il presidente Biden è entrato in carica l’Iran ha aumentato il suo arricchimento di uranio, il che avrebbe dovuto provocare una “forte reazione” da parte dell’amministrazione Usa e dell’Aiea, che invece non c’è stata. “Prolungando i negoziati a Vienna, la Repubblica islamica si è avvicinata alla costruzione della bomba, nel frattempo guadagnando miliardi di dollari dalle esportazioni di petrolio grazie all’allentamento delle sanzioni Usa come gesto di buona volontà”.

(Estratto di un articolo pubblicato su Atlantico Quotidiano, qui la versione integrale)

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