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Cina Venezuela

Tutte le prove del flirt Venezuela-Cina orchestrato da Maduro. Parola di Trump

L'intervento pubblicato da Marco Valerio Lo Prete, giornalista del Tg1, per l'agenzia stampa Public Policy 

(Quello che segue è lo stralcio di un intervento pubblicato da Marco Valerio Lo Prete, giornalista del Tg1, per l’agenzia stampa Public Policy diretta da Leopoldo Papi )

(…) La complementarità economica tra Cina e Venezuela, la vicinanza ideologica tra le rispettive leadership e soprattutto i piani congiunti di espansione strategica nell’area latinoamericana sono vissuti con crescente insofferenza a Washington. Lo ha ben sintetizzato di recente il Centro studi del Congresso statunitense: “Sotto le Amministrazioni di George W. Bush e di Obama, i funzionari statunitensi, pur senza nascondere alcune preoccupazioni sull’influenza della Cina, hanno generalmente visto in maniera positiva il coinvolgimento di Pechino in ragione del suo contributo alla crescita economia della regione. L’obiettivo di fondo della politica statunitense era che la Cina contribuisse dal punto di vista economico allo sviluppo dell’area in un modo trasparente, attendendosi alle regole internazionali e rispettando le normative locali sulle condizioni ambientali e lavorative”. Tanto che, dal 2006 al 2015, Stati Uniti e Cina hanno organizzato tra loro sette incontri bilaterali che avevano ufficialmente in agenda l’America latina. “Diversamente – scrivono i ricercatori del Congresso – l’Amministrazione Trump ha visto il protagonismo cinese in America latina con sospetto crescente. Nella National Security Strategy stilata nel 2017 dall’attuale Amministrazione, c’è scritto che ‘la Cina sta tentando di attrarre la regione nella propria orbita attraverso investimenti e prestiti messi in campo dallo Stato’, e nello stesso documento si esprime preoccupazione per il sostegno di Pechino ‘alla dittatura in Venezuela’”. Nella crisi politica venezuelana di queste settimane, non a caso, la Cina – insieme alla Russia – è una delle potenze mondiali che si sono schierate con il governo di Maduro e non invece con l’opposizione di Guaidó sostenuta da Stati Uniti, Canada e dalla maggior parte dei Paesi americani.

Il giovane leader democratico venezuelano, per il momento, ha comunque mantenuto un atteggiamento possibilista nei confronti di Mosca e Pechino: “Io personalmente non ritengo che Russia e Cina siano dalla parte di Maduro – ha dichiarato Guaidó – Stanno semplicemente proteggendo i loro investimenti qui in Venezuela”.

Se nelle prossime settimane gli Stati Uniti (e il mondo democratico) perdessero la loro scommessa sull’opposizione venezuelana, l’asse sino-sudamericano uscirebbe sicuramente rafforzato nel breve termine. Rimarrebbe però, nel medio-lungo termine, un problema di sostenibilità del pilastro venezuelano di tale asse, considerata la crisi economica generalizzata del Paese e in particolare le difficoltà crescenti del suo settore petrolifero prostrato dalle inefficienze interne e dalle sanzioni esterne decise da Washington.

Se invece il regime change auspicato dall’opposizione venezuelana avesse esito positivo, gli Stati Uniti segnerebbero un indiscutibile successo nel breve termine. Nel medio-lungo termine, come lasciano intendere i contatti informali che già sarebbero avvenuti tra gli emissari di Pechino e l’opposizione democratica locale, la Repubblica popolare cinese con realismo cercherebbe un’intesa per non compromettere del tutto la sua esposizione economico-finanziaria in Venezuela. La leadership comunista probabilmente riuscirebbe nell’intento, ma la sua proiezione internazionale uscirebbe parzialmente ridimensionata per il fatto di aver dovuto subire l’iniziativa e la tempistica stabilite a Washington. Assistiamo dunque a una sorta di riedizione della dottrina Monroe con la quale, all’inizio del XIX secolo, gli Stati Uniti dichiararono di voler tenere fuori dal proprio emisfero sia gli europei sia i russi. Considerato che gli europei da qualche tempo paiono perlopiù ipnotizzati dal proprio ombelico, questa “dottrina Monroe 2.0” non poteva che avere i soliti russi e i nuovi arrivati cinesi come principali obiettivi.

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