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Di Maio

Tutte le prime scintille a 5 stelle fra Di Maio, Crimi e Grillo. I Graffi di Damato

Reazioni, commenti ed effetti (ancora incerti) sul governo Conte dopo il passo di lato di Luigi Di Maio nel Movimento 5 Stelle. I Graffi di Damato

Il vice ministro dell’Interno Vito Crimi, già infelicemente famoso per una foto che lo riprese in sonno al Senato e per la definizione di “gerarca minore” che ne diede il compianto Massimo Bordin durante la “guerra” a Radio Radicale, da lui dichiarata e condotta quando era sottosegretario a Palazzo Chigi con la delega della comunicazione e dell’editoria, ha avuto un problematico impatto, diciamo così, con la funzione di “reggente” del Movimento 5 Stelle.

A rivelarlo o rilevarlo, come preferite, è stato un giornale insospettabile come Il Fatto Quotidiano: lo stesso peraltro che anticipò fra le imprudenti smentite dell’interessato la rinuncia di Di Maio, poi definita nella titolazione voluta dal direttore Marco Travaglio a evento compiuto, come “la mossa del cavallo” sulla scacchiera grillina. Ciò ha lasciato intravvedere uno spostamento di lato del ministro degli Esteri sulla scacchiera grillina in una partita tutta ancora da giocare, in vista dei cosiddetti Stati Generali, o idi, di marzo e della “rifondazione” del movimento.

Proprio l’autore di quello scoop, Luca De Carolis, depositario evidentemente di notizie di prima mano nel campo pentastellato, ha precisato nelle sue cronache equine, diciamo così, su Di Maio che la notizia data da Crimi della cessazione anche del suo incarico di capo della delegazione grillina al governo è tutta ancora da verificare.

“Non è così, almeno non ancora”, ha precisato il giornalista del Fatto, effettivamente confermato dalla lettura del testo del discorso di Maio nel tempio di Adriano, pubblicato dal blog ufficiale delle 5 Stelle, in cui effettivamente ci sono solo le dimissioni da capo del movimento. Ma oltre al testo del discorso gioca contro l’annuncio di Crimi quel “ne parleremo” detto da Di Maio prima del suo intervento pubblico a chi gli chiedeva notizie a questo riguardo, dopo l’incontro propedeutico al discorso pubblico da lui avuto con i ministri e i sottosegretari del secondo governo Conte, o almeno quelli reperibili o disponibili al momento.

Questa del capo o no della delegazione al governo – non necessariamente dipendente dai gradi ministeriali perché a guidare, per esempio, la delegazione del Pd è il ministro dei beni culturali Dario Franceschini anziché quello dell’Economia Roberto Gualtieri, di grado istituzionalmente maggiore all’altro – non è una questione di lana caprina. E’ una questione dannatamente seria sul piano politico perché sottintende i rapporti, sempre politici e per niente personali, tra Di Maio e il presidente del Consiglio Giuseppe Conte. Che già erano diventati difficili, al di là e contro gli apprezzamenti pubblici espressi dallo stesso Di Maio verso il titolare di Palazzo Chigi anche nel discorso di rinuncia alla guida del suo movimento, e potrebbero diventare addirittura irrilevanti se l’annuncio o il proposito, non credo casuale o capriccioso, di Crimi dovesse rivelarsi fondato.

Si potrebbe ben intravvedere, sia pure con la malizia non certamente inusuale nelle cronache e rappresentazioni politiche, un mezzo desiderio del pur sempre “garante”, “elevato” e quant’altro del movimento, cioè Beppe Grillo, di potenziare ulteriormente il ruolo e la rappresentatività stellare, diciamo così, del presidente del Consiglio. Dal quale Di Maio, pur – ripeto – fra i tanti elogi riservatigli, ha tenuto a precisare di avere avuto occasioni di contrasto, disparità di vedute e cose del genere sulla soluzione dei problemi controversi, compresa la disputa sulla visione strategica o temporanea, di lunga durata o momentanea, dell’alleanza col Pd subentrata nella scorsa estate a quella con la Lega di Matteo Salvini.

Se il primo interlocutore grillino di Conte nel governo diventasse davvero, come attribuito a Crimi, l’attuale ministro dell’augurabile Sviluppo Economico Stefano Patuanelli, ex capogruppo del movimento al Senato, il presidente del Consiglio avrebbe sicuramente meno problemi o più spazio, o entrambi. Lo stesso avverrebbe affidando il ruolo di capo della delegazione al ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che introdusse Conte nel movimento grillino, Il ministro degli Esteri, pur con funzioni istituzionali superiori, brillerebbe ancora di meno, come una stella in crisi irreversibile.

Non è quindi – ripeto – una questione minore quella che col suo annuncio ha posto Crimi, peraltro nella presunzione appena ribadita con orgogliose interviste al Corriere della Sera e al Messaggero di avere “tutti i poteri del capo politico”, ma anche promettendo che “non farò alcuno strappo”. O, quanto meno, non lo farà rispetto ai progetti, agli umori e quant’altro di Grillo, proposto dal vignettista del Fatto Quotidiano Riccardo Mannelli nelle vesti di un mezzo profeta pentito di quello che ha detto e ha fatto creando un partito, o quasi partito, come quello che Crimi ha appena ereditato formalmente da Di Maio.

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