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Tutte le polemiche virali fra Ue, Usa e Cina sul vaccino anti Covid-19

Come si muovono (in ordine sparso) Ue, Usa e Cina sul vaccino anti Covid-19. Il punto di Marco Orioles “Oggi il mondo ha dimostrato una straordinaria unità per il bene comune. I governi e le organizzazioni globali della Salute hanno unito le forze contro il Coronavirus. Con un simile impegno, siamo sulla strada giusta per…

“Oggi il mondo ha dimostrato una straordinaria unità per il bene comune. I governi e le organizzazioni globali della Salute hanno unito le forze contro il Coronavirus. Con un simile impegno, siamo sulla strada giusta per sviluppare, produrre e distribuire a tutti un vaccino”.

È più che comprensibile l’entusiasmo con cui la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen ha salutato il successo della conferenza (virtuale) di ieri cui hanno partecipato i vertici di mezzo mondo mettendo sul piatto circa 8 miliardi di dollari per lo sviluppo di un vaccino contro il Covid-19 da distribuire in modo universale.

Per oltre tre ore, dall’impianto di videoconferenza si sono alternati i discorsi di presidenti e primi ministri come il francese Emmanuel Macron, la tedesca Angela Merkel, il britannico Boris Johnson, il nostro Giuseppe Conte, il giapponese Shinzo Abe, il canadese Justin Trudeau, il turco Recep Tayyip Erdogan, l’australiano Scott Morrison e tanti altri leader di paesi piccoli e grandi.

Ognuno, al termine di brevi parole, ha annunciato l’impegno finanziario del proprio Paese per un progetto promosso dall’Organizzazione Mondiale della Sanità i cui programmi e relativi fondi saranno gestiti da organizzazioni come la Global Alliance for Vaccines and Immunizations (GAVI), la Coalition for Epidemic Preparedness Innovations e la Fondazione Bill e Melinda Gates, in un impegno collettivo volto a garantire – come recita lo slogan semi-ufficiale dell’iniziativa – “l’accesso globale ed equo a strumenti innovativi per combattere il virus Covid-19”

Se c’era un’occasione in cui mostrare la propria generosa attenzione ai problemi del mondo, non poteva che essere questa. E i generosi assegni staccati dall’ospite norvegese (1,3 miliardi di dollari), dall’Ue (1,1 miliardi) ma anche da Canada (598) Germania (570 milioni) Francia (553), Gran Bretagna (483), dimostrano senz’altro la volontà del mondo di far fronte comune contro un nemico che non guarda in faccia a nessuno.

Tanta munificenza e sollecitudine non sono tuttavia riuscite a celare le due ombre proiettate sulla conferenza dalle mani vuote della Cina, peraltro rappresentata alla kermesse dal solo ambasciatore nell’Ue Zhang Ming, e soprattutto dall’assenza di qualsivoglia esponente degli Stati Uniti.

Chi ha letto i resoconti di stampa si sarà tuttavia accorto di come il disimpegno cinese sia passato letteralmente sotto traccia, mentre tutta l’attenzione – e il biasimo – di media e commentatori era concentrato sul Paese che, a dispetto delle inestimabili risorse, ha scelto la diserzione.

Che la delusione tra i partecipanti per la sedia vuota degli Usa fosse palpabile lo dimostra la dichiarazione di una portavoce della Commissione Ue, che pur lodando un Paese che sta “investendo ampiamente in ricerca e innovazione per lo sviluppo di un vaccino”, ha deciso di snobbare l’invito – “ed è chiaro”, ha sottolineato la portavoce, “che quando si invita qualcuno ad un evento si vorrebbe che partecipasse”.

Alla richiesta di chiarimenti telefonici da parte della stampa, alcuni rappresentanti dell’amministrazione Trump si sono rifiutati di illustrare i motivi dell’assenza.

Ma quando questi stessi esponenti governativi hanno spiegato ai reporter che “gli Stati Uniti e il presidente Trump stanno guidando gli sforzi globali per combattere questa pandemia” e che “molte delle organizzazioni e dei programmi che questa conferenza vuole sostenere hanno già ricevuto cospicui fondi e supporto dal governo Usa”, hanno fornito, sia pur indirettamente, le delucidazioni richieste.

La verità infatti è che la Casa Bianca, oltre a non nutrire alcun interesse a sostenere iniziative multilaterali promosse da attori ritenuti discutibili come l’Oms, hanno già un progetto tutto loro sui vaccini che è stato innaffiato con miliardi di dollari e procede come un treno.

Si chiama, in omaggio alle passioni cinematografiche degli ideatori, “Operation Warp Speed” , ed è stata lanciata alla fine di aprile senza rivelare null’altro – a partire dall’entità dei fondi, identità dei vertici e soprattutto aziende private coinvolte – che l’obiettivo finale: realizzare in tempi record centinaia di milioni di dosi del tanto agognato vaccino.

I pochi dettagli non ignoti dell’iniziativa sono il coinvolgimento di varie agenzie federali, tra cui i Dipartimenti della Salute, della Difesa, dell’Agricoltura e degli Affari dei Veterani; che il suo direttore dovrebbe essere nominato questa settimana (anche se Trump, durante una recente conversazione coi reporter, ha confidato di essere lui il vero boss: “You know who is in charge of it? Honestly? I am“); e soprattutto, che il presidente l’ha benedetta con quello che la CNN ha definito “un assegno in bianco”.

Nonostante l’aura di mistero che la circonfonde, l’ultima creatura della Casa Bianca ha le idee chiare sulla direzione di marcia: come confidava la settimana scorsa a CNN un “senior administration official”, l’obiettivo è di mettere a disposizione del popolo americano 100 milioni di dosi già a partire da novembre, cui seguiranno altre 200 milioni nel mese successivo e altre 300 nel gennaio 2021.

Una marcia a tappe forzate, dunque, che ha suscitato l’inesorabile scetticismo della stessa comunità scientifica, convinta che la tempistica per sviluppare con tutti i crismi un vaccino e passare alla fase della produzione e commercializzazione non possa essere compressa in questo modo.

Ciononostante, anche uno scienziato prudente come Anthony Fauci, lo scienziato capo della task force anticoronavirus del governo Usa, non ha escluso che “se tutto andrà nel verso giusto” (e, ha aggiunto, sono “nume(ose le cose che potrebbero andare male”) il vaccino potrebbe davvero essere pronto a gennaio.

E anche la sua collega Deborah Birx, che della task force di Fauci è la coordinatrice, ha ammesso, sia pur con mille riserve, che “sulla carta è possibile” centrare quell’ambizioso obiettivo.

Malgrado le perplessità, la Casa Bianca ci crede e lo stesso The Donald, pochi giorni fa, ha giurato nuovamente che l’America “avrà un vaccino entro la fine dell’anno”.

Del resto, dalle poche informazioni filtrate nella stampa sappiamo che l’operazione sta procedendo davvero speditamente.

NBC ha rivelato ad esempio che sono già stati passati al vaglio 93 tipi di vaccini sviluppati da 80 diverse case farmaceutiche e che ne sono stati selezionati 14 da avviare alle fasi successive della sperimentazione. Fasi che ridurranno ulteriormente il numero dei candidati a otto o sei: un novero che sarà infine sfoltito a tre o quattro vaccini che sono quelli che saranno sottoposti ai test finali in vista dell’impiego sull’uomo.

Tra chi partecipa all’operazione sembra dominare l’ottimismo. Sebbene in forma anonima, una di queste ha dichiarato pochi giorni fa a The Hill che, sebbene non si possa essere certi al 100% che i 14 vaccini attualmente sotto esame riescano a superare tutte le fasi sperimentali e cliniche, “vi è una ragionevole probabilità che uno o più di uno di questi vaccini sia” quello giusto.

Resta però un altro mistero che riporta direttamente alla notizia da cui si era partiti: se l’operazione della Casa Bianca partorirà alla fine il tanto ambito vaccino, sarà messo o no a disposizione del popolo americano a titolo gratuito, come invece puntano a fare, su scala globale, i contraenti del patto siglato durante la conferenza di ieri?

Su questo punto purtroppo scarseggiano le certezze. Se da un lato infatti un esponente del governo ha spiegato a The Hill che non vi è alcuna garanzia che il vaccino scaturito dall’Operazione sarà accessibile a tutti gli abitanti degli States, dall’altro lato NBC ha fatto notare che la Casa Bianca potrebbe aver concordato con le aziende farmaceutiche un approccio compassionevole quale contropartita delle robuste iniezioni di fondi pubblici.

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