A raccontarci la campagna elettorale Usa sin dai primi giorni sul quotidiano La Verità è il giornalista Stefano Graziosi, autore di un libro profetico sui guai del presidente Biden dato alle stampe prima del cambio della guardia con Kamala Harris. In questa intervista a Start Magazine, Graziosi mette a fuoco gli ultimi sforzi di Trump per aggiudicarsi una vittoria che anche i sondaggi più recenti ritengono non improbabile e anticipa quali saranno le prime mosse di una eventuale seconda amministrazione guidata da The Donald.
Cosa dicono i sondaggi a una settimana dal voto?
Ci dicono che Trump è in leggero vantaggio, prendendo ad esempio a riferimento la media dei sondaggi elaborata da RealClearPolitics. Nel momento in cui parliamo l’ex presidente risulta avanti dello 0,1% nel voto nazionale, e questo non era mai successo per lui. Ma Trump risulta avanti, anche se di pochissimo, in tutti e sette gli Stati in bilico. Non è tutto. Anche molti modelli predittivi statistici, come quello di The Hill Decision Desk, gli attribuiscono il 54% di probabilità di vittoria.
Quindi cosa dobbiamo dedurre?
I sondaggi ci stanno dicendo che siamo di fronte a quello che gli americani definiscono un momentum e che se questo trend persiste Trump ha buone probabilità di farcela. Naturalmente di qui a sette giorni la situazione potrebbe cambiare, ma quel che è certo è che queste elezioni sono un testa a testa e verranno decise da poche sacche di elettori indecisi nei sette Stati chiave. Stiamo parlando di Stati che nel 2016 e nel 2020 furono vinti per pochissimi voti.
Qual è il segreto di questo momentum? Una campagna elettorale efficace? Abbiamo visto il candidato friggere patatine al McDonald’s…
Quella del McDonald’s è una delle due immagini iconiche di questa campagna elettorale, l’altra è quella dell’attentato di Butler. In queste due immagini ritroviamo l’essenza della campagna elettorale di Trump. In quella di Butler abbiamo una straordinaria prova di leadership e di carisma, un gesto che potremmo definire molto americano nel voler sfidare la morte. Credo che l’episodio abbia generato un forte impatto nella psicologia americana, senza parlare di quelli convinti che Trump sia stato salvato da un intervento divino.
E l’operazione McDonald’s?
Ne parlerei come di uno stratagemma efficace e non solo per attirare simpatie. Quel che Trump ha voluto comunicare in realtà è di essere il vero candidato della working class. Del resto la sua strategia elettorale punta sullo sfondamento nella cintura elettorale della Rust Belt, ossia in Stati operai dove Kamala Harris è in fortissima difficoltà in questo momento.
Quali potrebbero essere le prime mosse di un Trump rieletto? Quali i primi atti di governo?
Quando sono andato alla Convention repubblicana in Wisconsin una fonte molto autorevole della campagna elettorale di Trump mi ha detto che una seconda amministrazione Trump esordirà con un segnale forte sul fronte dell’immigrazione. Del resto Trump stesso lo sta ripetendo sistematicamente in queste settimane, promettendo una stretta su quelle che vengono definite deportazioni ma che tecnicamente sono rimpatri. D’altronde un recente sondaggio vedeva al 54% gli americani favorevoli ai rimpatri di massa, e questa è la prima volta.
E poi cosa farà, soprattutto sul fronte economico?
L’altro tema forte sarà l’inflazione che lui vuole aggredire intervenendo soprattutto nel campo dell’energia. Trump ha promesso di togliere tutte le restrizioni e di smantellare le politiche green dell’amministrazione Biden. Del resto qui ci si gioca i voti di Stati chiave come la Pennsylvania, e non è un caso che la stessa Harris sia stata costretta a fare marcia indietro rispetto alle sue precedenti posizioni sul fracking.
E la pace in Ucraina?
Mi assumo la responsabilità di andare controcorrente affermando che le posizioni di Trump e di Harris non sono poi così distanti. Non dobbiamo d’altronde dimenticare che dopo lo stallo di mesi al Congresso sul pacchetto di aiuti all’Ucraina di 60 miliardi di dollari dovuto all’opposizione repubblicana ci pensò proprio Trump a sbloccare la situazione facendo approvare il provvedimento.
Non è passato inosservato come molti esponenti della comunità arabo-americana siano schierati a favore di Trump.
Questo è uno degli aspetti più interessanti di questa campagna elettorale se teniamo conto che gli arabo-americani storicamente votavano massicciamente per i democratici. A scatenare la rivolta è stata la guerra a Gaza, che ha visto gli arabo-americani mettere sotto accusa Biden. Tra l’altro la comunità si fece promotrice del boicottaggio delle primarie democratiche, facendo mancare alla candidatura di Biden decine di migliaia di voti. Adesso anche secondo un recente sondaggio il voto per Trump risulta prevalente tra i membri della comunità.