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Tutte le manovre di Salvini fra Ppe, Draghi e Quirinale

Parole, obiettivi e strategie della Lega di Matteo Salvini. La nota di Paola Sacchi

 

Con tre mosse, che il Pd non aveva messo in conto, prima tra tutte il lancio di fatto della candidatura di Mario Draghi per il Colle (seppur con tutta la cautela del caso “non sono io che decido”), poi la raccolta di firme con i Radicali per i referendum sulla giustizia e infine l’annuncio di una riunione di tutto il Centrodestra, dopo le polemiche interne, per le candidature nelle città, Matteo Salvini rilancia e spariglia. Lo fa nella maggioranza di governo, per rovesciare così la narrazione di Enrico Letta che aveva cercato di metterlo nelle parti di chi remerebbe contro Draghi, ma Salvini contemporaneamente spariglia anche nel centrodestra dove rilancia la sua leadership. Anche occupando quegli spazi sulla riforma della giustizia, con temi come la separazione delle carriere, l’altro quesito da sottoporre a referendum insieme con quello della responsabilità civile dei magistrati, finora di fatto esclusiva bandiera di Forza Italia, nella coalizione.

Non a caso, particolare passato inosservato nell’intervista di due giorni fa al quotidiano spagnolo El Pais, il leader leghista, che si è subito complimentato per la vittoria della governatrice popolare spagnola di Madrid, Isabel Diaz Ayuso, tiene a precisare che lui non è un leader di destra, ma “di centrodestra”. Da Ayuso e il suo modello “salute-lavoro-libertà”, che lo ritiene vicino al suo nella battaglia contro il Covid, Salvini di fatto torna a non escludere l’avvicinamento della Lega ai Popolari europei. Ma non al Ppe come è stato finora (“Se tutti i Popolari europei fossero come Isabel Diaz Ayuso… “) , l’obiettivo è quello di un nuovo centrodestra europeo, che, come aveva detto in altre occasioni prenda anche “il meglio del Ppe e degli altri partiti”, come quelli dell’ungherese Orban e del premier conservatore polacco Morawiecki.

Anche qui l’intento è rovesciare l’etichettatura da parte della sinistra di “inaffidabilità” in quanto alleato della destra estrema nella Ue. La vittoria della governatrice popolare spagnola e la visita in Umbria, a Terni, “un passaggio per me portatore sempre di buone cose” (l’Umbria resta la regione simbolo della vittoria leghista due anni fa sull’alleanza Pd e Cinque Stelle, con lo stacco di Donatella Tesei di oltre 20 punti) sembrano tonificare Salvini. Che rilancia smarcandosi dal tentativo di logoramento subito da un lato da sinistra – con ” le provocazioni quotidiane contro la Lega, che in realtà sono contro il governo Draghi perché vorrebbero restare soli nell’esecutivo, ma noi non ci smuoveremo di un centimetro “- e dall’altro lato da destra, dall’insidiosa competizione da parte di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni, rimasta all’opposizione.

Salvini ribadisce che solo stando al governo si può incidere per cambiare le cose e non lesina critiche agli alleati, che suonano in particolare rivolte a FdI, per i no e i tentennamenti venuti finora sui nomi di Gabriele Albertini a Milano e Guido Bertolaso a Roma. In settimana è annunciato ora un vertice di tutto il centrodestra. Ma comunque andranno le cose sia nella coalizione, sia per le candidature, è evidente che quella del leader leghista è intanto anche una battaglia politica tutta interna alla coalizione per colmare una certa assenza di iniziativa che si nota da parte di Forza Italia e quindi per occupare un oggettivo vuoto al centro della coalizione.

Del resto, nomi come quelli di Albertini e di Bertolaso non possono certo essere etichettati come nomi di destra, vengono proprio dal mondo liberale e azzurro. E anche se le due candidature, come sembra finora, seppure in politica mai dire mai, non si dovessero concretizzare, intanto un messaggio a un mondo liberale, cosiddetto “moderato”, il leader leghista lo ha dato. E comunque ci ha provato.

Tornando a Draghi, che “se si presenterà come candidato alla presidenza della Repubblica noi lo sosterremo fermamente”, ora è Salvini che lancia la sfida al Pd, che sarebbe in difficoltà a dire di no. Ma il leader leghista, pur aggiungendo che non è lui che decide e che ora il governo deve andare avanti sulle riaperture, dice al tempo stesso anche un no a una eventuale proroga del Capo dello Stato Sergio Mattarella per un altro anno. E del resto lo stesso Mattarella ha già detto con nettezza che questo è il suo ultimo anno al Quirinale.

Perché quindi Salvini torna su questa ipotesi? Spifferi di Transatlantico dicono che la sinistra, non solo per evitare il rischio di elezioni anticipate se Draghi fosse candidato al Colle nel 2022, ma anche per impedire che il centrodestra possa avere sia il Capo dello Stato indicato sia il presidente del Consiglio se vincerà le elezioni nel 2023, potrebbe ricorrere all’ultima carta di pregare in extremis Mattarella intanto di restare. La battaglia per la corsa al Colle è solo all’inizio.

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