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Tutte le fesserie a 5 stelle dei dem su Meloni e Trump

C'è da restare basiti dalla miseria morale delle opposizioni quando rimproverano a Giorgia Meloni di essere sottomessa a Donald Trump sui dazi. Il commento di Cazzola

La lotta politica non è mai un pranzo di gala. È nell’ordine delle cose che le opposizioni critichino il governo e la maggioranza che lo sostiene. Ma un po’ di onestà intellettuale non guasterebbe. Da vecchio signore che si è occupato di politica per tutta la vita, rimango basito dalla miseria morale delle opposizioni quando rimproverano Giorgia Meloni di baciare le chiappe di Donald Trump in materia di dazi.

Riporto un florilegio di stupidaggini che debordano dalle agenzie di stampa: “La strategia della genuflessione di fronte all’amico Trump, apertamente sostenuta da Giorgia Meloni, è miseramente fallita. Ora bisogna cambiare verso e raddrizzare la schiena”, concorda Antonio Misiani, responsabile economico del Pd.” È tempo che Meloni guarisca dall’afasia selettiva da cui è stata colpita e dica di fronte al Parlamento cosa pensa di fare”. “”Dov’è finita la sbandierata autorevolezza internazionale di Meloni?”, si chiede Debora Serracchiani, sempre del Pd. La presidente del Consiglio “venga in aula con urgenza a riferire su una situazione che evidentemente le è completamente sfuggita di mano”, aggiunge.

Sabato la segretaria Elly Schlein aveva auspicato “una presa di posizione netta e forte, che fin qui non c’è stata, da parte del governo e di Giorgia Meloni”. Per Conte “Italia e Europa non si sono fatte rispettare”, mentre dovevano “mostrare la schiena dritta”. Sembra che anche l’avvocato del popolo si sia convertito al “celodurismo” della Lega ai tempi del senatur.

In che cosa dovrebbe consistere questo cambio di passo? Come potrebbe influire diversamente la premier sulle intemerate di “Belli Capelli” Trump? Deve venire in Aula a Montecitorio a coprirlo di insulti? Deve convocare l’ambasciatore americano e consegnargli una nota di protesta? Deve mandare i carabinieri a sgombrare le basi americane cosparse per l’Italia? Deve riconsegnare Cecilia Sala agli ayatollah per non avere motivi di riconoscenza nei confronti del bullo inquilino della Casa Bianca? Deve mandare a Villa Taverna un motociclista con un assegno per rimborsare l’hotdog assaggiato le sera del 3 luglio? Oppure da patriota deve battere i pugni sul tavolo a Bruxelles per convincere l’Unione a rispondere ai dazi con i dazi (s’ode a destra uno squillo di tromba, a sinistra risponde uno squillo)?

La sinistra ha sposato la linea di Macron? Eppure la lettera che il presidente della Repubblica ha inviato al collega francese è molto ferma nella critica severa al protezionismo, ma incalza i due «membri autorevoli» della Ue e dell’Alleanza atlantica a superare rivalità e incomprensioni e a concertare le loro mosse, perché le barriere commerciali sono un ostacolo alla stabilità, alla sicurezza e alla pace. In queste parole è presente un richiamo al governo italiano, ma non escludono un invito alla concertazione e ad una maggiore prudenza anche al governo francese.

Giorgia Meloni si è certamente resa conto che per lei e per l’Italia fare da ponte con gli Usa è divenuto più complicato che costruire il ponte sullo Stretto di Messina e si è rassegnata a stare al gioco della Ue, che peraltro ha la competenza esclusiva in questa materia e che ha scelto una linea di condotta improntata a utilizzare ogni minuto per un possibile accordo. Ma tocca alle istituzioni della Ue individuare una strategia adeguata. A meno che le opposizioni non finiscano – magari senza neppure rendersene conto – per condividere nei fatti la strategia – in dispetto verso la Ue – di Matteo Salvini riassunta così dai suoi fratelli De Rege: “Auspichiamo che il governo trovi una strada per evitare che il nostro Paese sia vittima di una ritorsione per le pratiche commerciali aggressive portate avanti da altri”.

Il Conducator rientrato da Giappone col piglio del samurai era stato ancor più netto: «Non siamo noi l’obiettivo di Trump» ha affermato il leader leghista, che ha poi aggiunto che «l’Italia è in una posizione che le può permettere di dialogare con gli Stati Uniti». Sottinteso: scavalcando l’Europa e aprendo un dialogo bilaterale.

La correzione di rotta, però, è arrivata dalla stessa premier Giorgia Meloni che, nonostante non abbia mia nascosto la ricerca di una intesa sempre più illusoria con Trump, ha riportato la questione sul piano comunitario: «Il negoziato si fa con l’Europa», ha detto in risposta alle parole del suo vicepremier. Non è una posizione abbastanza chiara, questa?

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