skip to Main Content

Salvini

Tutte le contraddizioni del Pd

Tesi e capriole del Pd guidato da Enrico Letta

Dal fattore K al fattore Pd? Il Pd, come anche i suoi ex del piccolo centro “terzo polo“, stando alla raffica di attacchi con cui ha avviato la campagna elettorale, sembra non riconoscere in partenza la regola tutta occidentale dell’alternanza. Cercando cosi di bloccare il ricambio fisiologico nelle democrazie liberali. Forse, il paragone è forzato, se non altro perché allora il sistema politico italiano era bloccato dal mondo diviso in due parti, da un lato l’URSS, dall’altro la libertà dell’Occidente e un Pci collegato all’Unione Sovietica, pur avendo scelto con Berlinguer la Nato, salvo però attaccare anche con marce della pace poi Craxi sugli euromissili.

Altri tempi, si dirà. Ma ora, il Pd (ex Pci-Pds-Ds e ex sinistra Dc della Margherita) con Enrico Letta, dopo essersi giustamente subito schierato, nella guerra della Russia all’Ucraina, dalla parte dell’Alleanza Atlantica, poi si è radicalizzato. Fino all’alleanza elettorale con la sinistra profondo rosso di Fratoianni e dei Verdi di Bonelli. Ha fatto ricorso alla vecchia tecnica della demonizzazione dell’avversario, trattato alla stregua del nemico, come ormai da quasi 30 anni, con argomenti e modalità che rischiano di evocare la “disinformatia”.

Lo stesso atlantismo è annegato in un programma dem che mette in primo piano tutti i temi dei diritti civili identitari della sinistra e scelte sull’energia dove il nucleare non esiste proprio. Si attacca Berlusconi , prendendo a pretesto la sua risposta sull’eventuale percorso nel caso fosse approvata la riforma presidenziale, per dire che è un attacco a Sergio Mattarella e alla democrazia. Anche ieri il Cav ha ribadito che non c’è mai stato un assalto al Colle da parte sua, né a Mattarella, “con il quale ho sempre avuto un buon rapporto personale”, dicendosi “amareggiato” oltre che “non interessato a una sua candidatura al Quirinale”.

Ma il Pd e la sinistra rispolverano in tutto questo armamentario, volto a impedire l’alternanza con la vittoria del centrodestra, dato in nettissimo stacco dai sondaggi, una forte polemica anche contro la fiamma rimasta in mini nel simbolo di Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. La presidente di FdI ha gioco facile nel rispondere che sia sul presidenzialismo, “finalmente parliamo di un tema concreto, sul quale siamo compatti” (che è nel programma del centrodestra insieme con l’autonomia, ndr) sia sulla fiamma, tornata ad essere “fascista”, “quelle della sinistra sono polemiche sul nuĺla”.

In effetti, non solo il presidenzialismo è sistema in vigore in Francia (semipresidenzialismo) e negli stessi Usa, ma la famigerata fiamma era il simbolo a tutto campo di quel MSI che nel 1983 il premier Bettino Craxi di fatto sdoganò per la prima volta ammettendolo con una svolta storica alle consultazioni. Ci fu poi la svolta di Fiuggi di Gianfranco Fini dal MSI a AN, con il riconoscimento che “La Shoah è il male assoluto”, nella storica visita a Auschwitz nel 1999. Seguita poi a quelle in Israele. Fini fu vicepremier, ministro degli Esteri dei governi Berlusconi.

Luciano Violante, ex pci, strinse la mano all’ex “ragazzo di Salò”, Mirko Tremaglia. Furono gli anni della pacificazione nazionale. E la fiamma era sempre presente anche allora nel nuovo logo di Alleanza Nazionale. A scagliarsi contro il vecchio simbolo (che ” non è fascista – ha detto Meloni a “Il Corriere della sera” , ma sta a riconoscimento del percorso fatto dalla destra”) ora anche Carlo Calenda. Che in questo modo rende sempre più debole l’appeal che il suo terzo polo con Renzi vorrebbe esercitare nei confronti degli elettori di centrodestra, in particolare di Forza Italia. Ma in questo elettorato la convivenza con gli ex del MSI, poi AN e FdI è ormai dato assimilato da quasi 30 anni.

Le lancette della storia rischiano pericolosamente per la sinistra di fare un improvviso balzo indietro di decenni, motivando l’avversione a Meloni con una narrazione fatta di un mix tra allarmi che ritirano in ballo il fascismo oppure “scivolamenti dell’Italia verso Orban”. Meloni è da tempo anche presidente dei Conservatori europei. Una situazione che fa dire al senatore Gasparri (FI): “Il Pd ha presentato un programma che più di sinistra non si può”.

Ieri Letta è stato anche oggetto di una frecciata del “Washington Post”. Lo storico quotidiano americano gli riconosce il merito di aver cercato di estendere il più possibile il suo “campo largo ” , ma di averlo allungato poi così tanto fino alla rottura con Calenda. Ora, secondo WP, che dà per probabile la vittoria del centrodestra, Letta non può pensare di ricorrere “al fantasma di Draghi”. Quel Draghi bis, da raggiungere con una non vittoria del centrodestra, perseguito anche da Renzi e Calenda. Una situazione per cui, tra accordi fatti e poi disfatti con il Pd, ora il leader di Azione appare una estensione del centrosinistra. Del Pd aveva anche la tessera quando Renzi ne era segretario.

Berlusconi oggi in un’intervista a “Libero” attacca “l’anomalia italiana, dove il Pd è al governo da 11 anni”, ad eccezione del breve periodo in cui ci fu il governo giallo-verde. E questa permanenza dem nell’esecutivo è avvenuta senza che il Pd abbia più vinto le elezioni dal 2006. Il Cav ieri nei suoi interventi social ha parlato della necessità del contrasto all’immigrazione clandestina. Tema su cui ribatte Matteo Salvini, ricordando i risultati ottenuti come ministro dell’Interno con la drastica diminuzione degli sbarchi. Con la campagna dal nome #Credo, in tendenza appena lanciata su Twitter, Salvini batte il tasto su tutti i temi di governo, dallo stop agli sbarchi, alla pace fiscale e Flat Tax al 15 per cento, all’Iva zero per alcuni beni di prima necessità, allo stop alla legge Fornero con l’avvio di quota 41, all’indipendenza energetica con l’avvio del nucleare sicuro come negli altri Paesi europei, all’autonomia regionale.

La Lega, che come tutto il centrodestra ha sempre votato a favore dei provvedimenti per l’Ucraina, a differenza di Fratoianni alleato del Pd, pone nel suo programma la “salda” collocazione nella UE e nella Nato. Ma, nell’anomalia italiana, da sinistra il programma che più spicca sembra proprio quello volto a impedire lo stesso principio dell’alternanza.

Back To Top