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Tutte le berlusconate di berluschini e berlusconiani su Berlusconi

A due anni dalla scomparsa di Silvio Berlusconi, ecco cosa scrivono berlusconiani e berluschini con un occhio attentissimo (forse) all'operazione in Germania con ProSiebenSat visti i bizzarri elogi all'europeismo del Cav... La lettera di Carlo Terzano

Caro direttore,

dobbiamo rivedere i libri di storia e, in particolare, quelli sull’Unione europea. Perché oltre a Spinelli, Schuman e De Gasperi andrà presto o tardi inserito anche il nome di Silvio Berlusconi.

Leggo infatti nel commovente nonché commosso articolo che Alessandro Sallusti verga sul Giornale a proposito del suo recente incontro con Marina Berlusconi – incontro durante il quale “La primogenita ha riletto l’ultimo manoscritto del Cavaliere” che viene ricordato come un europeista convinto (articolo, ti segnalo, ripreso asetticamente anche su Dagospia che ci vede una sorta di “manifesto politico” della figlia) .

In quegli appunti “c’è in effetti la visione di un’Italia e di un’Europa senza muri, che puntano alla collaborazione politica e alla solidarietà sociale. «È stato uno dei più convinti sostenitori di una maggiore unione tra i Paesi europei e già nel ’94 auspicava una politica estera comune e una difesa comune»”, racconta Marina Berlusconi. O forse sarebbe meglio dire ‘rivela’, perché non è del tutto chiaro a tutti (a me in primis, ma forse non c’ero, ero distratto o dormivo) che Berlusconi fosse un simile europeista.

“Oggi – prosegue Sallusti – molti considerano una maggiore integrazione europea come perdita di sovranità nazionale. Cosa direbbe il Cavaliere? «È stato tra coloro che hanno anticipato quella che si potrebbe definire una nuova forma di patriottismo – di cui c’è tanto bisogno – un patriottismo europeo, sempre ovviamente nel quadro di un legame di ferro tra le due sponde dell’Atlantico”.

Sorvolando sulle gaffe più celebri del Cav sul proscenio europeo, come la battuta sul “kapò” che riservò ancora in forze e in perfetto stato di salute all’allora leader socialdemocratico Martin Schulz nel 2003, è difficile riassumere l’eredità politica di Silvio Berlusconi con l’aggettivo “europeista”, così come sarebbe difficile visto il legame personale che lo legava a Vladimir Putin, definirlo esclusivamente “atlantista”.

Intendiamoci, la grandezza che anche i detrattori di Silvio Berlusconi sono costretti a riconoscergli era anche data dal fatto che qualsiasi aggettivo gli stesse stretto e questo perché nella sua lunga carriera politica si fosse barcamenato un po’ in ogni situazione, forse più per il genuino desiderio di piacere realmente a tutti che non per mero tornaconto politico. E mentre con l’ingresso, nel 1999, di Forza Italia nel Ppe il suo partito si saldava ai valori comunitari (molto è stato fatto soprattutto da Antonio Tajani), Silvio Berlusconi (che con riferimento a FI poteva realmente dire “État, c’est moi”, prova ne sia che non ha mai avuto la voglia, nemmeno sul letto di morte mentre pure scriveva di tutt’altro, di individuare il suo delfino) negli anni ha continuato a coltivare un rapporto di amore e odio con Bruxelles, specie in campagna elettorale quando addossava alla povera Ue le origini di tutti i mali che da tempo immemore affliggevano e probabilmente affliggono ancora il nostro Paese.

La realtà è che Silvio Berlusconi ha sempre snobbato l’Europa probabilmente perché non aveva realmente intuito che le venture partite, anche economiche, si sarebbero giocate là. Il Biscione ha iniziato prestissimo a strisciare al di là dei patri confini, stringendo – tra alterne fortune . tra le spire canali francesi e spagnoli (oggi la partita si gioca in Germania), ma Sua Emittenza sembrava aver cura soprattutto del proprio orticello italiano. E l’Europa in tutta risposta ha sempre snobbato Silvio Berlusconi. Gli sguardi complici ma soprattutto ironici e beffardi che la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy, in teoria suoi partner europei nella famiglia del Ppe, si scambiarono in conferenza stampa alla domanda sull’affidabilità del nostro Paese nel rispettare gli impegni presi in tema economico probabilmente gli dettero persino più fastidio della famosa lettera che la Bce gli indirizzò nel 2011 per dettargli le misure necessarie a salvare la nostra economia dalle continue ondate speculative. E questo perché Berlusconi, geniale comunicatore, sapeva bene quanto fossero potenti quelle immagini, comprensibili anche alla ‘casalinga di Voghera’ che invece non ha idea di cosa sia la Bce e se ne infischia dello spread.

Ma è comunque bene ricordare che non c’era solo l’ambivalenza di Berlusconi a far sospettare che non fosse poi così europeista, se si pensa alle posizioni, oggi etichettabili come ‘sovraniste’ – all’epoca bollate di euroscetticismo – di suoi ministri come Antonio Martino o Giulio Tremonti (quest’ultimo forse fu persino tentato di attuare la strategia per l’Italexit di Paolo Savona anche se la vicenda non si è mai capita fino in fondo. Venne presa però molto sul serio dal Quirinale quando Savona fu indicato dal governo Conte I come ministro all’Economia).

E allora forse ha ragione Luigi Bisignani – di professione lobbista, mi pare – quando ricordandolo, dalle colonne del Tempo, sostiene che la sua arte è stata quella di aver “reso presentabile ciò che prima era marginale, portando dentro il sistema pezzi della destra esclusa”. Tutto questo prima di diventare a sua volta – doveroso ricordarlo – impresentabile: la condanna, l’espiazione ai servizi sociali di Cesano Boscone, ma soprattutto quel titolo gridato a caratteri cubitali sulla prima pagina del quotidiano di Confindustria: FATE PRESTO. Silvio Berlusconi era insomma diventato una sorta di pericolo pubblico per gli stessi industriali, il suo mondo (molti lo votarono in massa almeno nel 1994 sperando vi veder attuato il sogno della ‘rivoluzione liberale’. Rimasto tale). Scriveva l’allora direttore Roberto Napoletano – ora alla guida del melonianissimo Mattino di Caltagirone – poche ore prima della capitolazione di Silvio Berlusconi che servisse “garantire all’Italia un governo di emergenza guidato da uomini credibili che sappiano dare all’Italia e agli italiani la cura necessaria ma sappiano imporre anche al mondo il rispetto e la fiducia nell’Italia”.

Capisco che sia inutile ripescare oggi, a 2025 inoltrato, vicende tanto lontane e sbiadite. In fondo, lo stesso quotidiano Repubblica, noto, proprio quest’oggi dedica l’ultima pagina a una enorme pubblicità alla Silvio Berlusconi Editore, recentissima branca editoriale di Mondadori. Il quotidiano fondato da Scalfari, storicamente refrattario a Berlusconi già prima della sua discesa in campo (vicende che si perdono nella Prima Repubblica); il quotidiano delle ’10 domande’ di Giuseppe D’Avanzo a Berlusconi sui casi Noemi e Ruby, contribuisce insomma a rafforzarne l’immagine dello statista.

Il paginone pubblicitario che chiude Repubblica del 12 giugno 2025

La verità forse è che spiace osservare come oggi Silvio Berlusconi continui, alla stregua di un marchio commerciale, a essere tirato qua e là dal doppiopetto blu. Bisignani si spinge a dire che “Berlusconi sarebbe stato un alleato naturale del cancelliere Friedrich Merz: per cultura, stile, tempismo. Non era un teorico dell’integrazione, ma ne capiva il peso storico”. E che “oggi, su Gaza, con ogni probabilità avrebbe preso le distanze dall’attuale operazione israeliana, pur restando fedele al rapporto con Israele”. Siamo insomma all’esegesi post mortem del Berlusconi-pensiero.

Marina, che ha più titolo di appropriarsi della figura ormai evanescente del Cav, si spinge oltre: «Leggere queste righe mentre in tre continenti imperversano violenti conflitti, mi fa pensare che se nel mondo ci fosse un po’ più di Silvio Berlusconi, be’ forse si starebbe meglio: ci sarebbe più buonsenso e meno sofferenza». Con buona pace di chi, negli anni dei governi di suo padre invece diceva: “Non temo Berlusconi in sé, temo Berlusconi in me”. Ma la memoria, si sa, smussa qualsiasi cosa. E gli italiani di memoria ne hanno sempre avuta molto poca. Un dato di fatto che senza dubbio agevola chi oggi è impegnato a riscrivere la storia del nostro Paese, anche quella recentissima.

Un caro saluto,

Carlo Terzano

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