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Istituti Di Ricerca Cinesi

Tutte le armi non convenzionali della Cina contro gli Usa nella guerra commerciale

Il commento di Giuseppe Sersale, Strategist di Anthilia Capital Partners Sgr, sulle prossime mosse della guerra commerciale tra Usa e Cina Riesplode, dopo un periodo di calma relativa, la questione delle frizioni commerciali Usa-Cina. Ieri sera, a mercati Usa chiusi, l’ufficio dell US trade Representative ha divulgato una nuova lista di beni per un totale di…

Riesplode, dopo un periodo di calma relativa, la questione delle frizioni commerciali Usa-Cina. Ieri sera, a mercati Usa chiusi, l’ufficio dell US trade Representative ha divulgato una nuova lista di beni per un totale di 200 miliardi di Dollari, sui quali ha in programma di elevare dazi del 10%.

I MOTIVI DELL’AZIONE E DELLA GUERRA

L’azione è stata giustificata dal Segretario Robert Lighthizer con la circostanza che la Cina, anziché porre rimedio ai comportamenti che preoccupano gli Usa, ha posto in essere delle rappresaglie.

LE PREMESSE DI TRUMP

In verità, la pubblicazione di questa lista non deve sorprendere più di tanto: Trump aveva dichiarato il 18 di giugno scorso di aver dato mandato all’USTR di stilare un nuovo elenco di quest’entità, da porre in essere nel caso la Cina reagisse alle prime imposizioni. Ma l’anticipo con cui quest’azione è stata intrapresa (quando ancora devono entrare in vigore dazi su 16 bln già decisi) ha forse colto alla sprovvista i mercati.

I BENI COLPITI

Le tipologie di beni candidate ad essere tassate mostrano che l’USTR sta cercando di contenere l’impatto sul consumatore americano delle misure. Si tratta per lo più di componentistica PC, mobili, materiali, semilavorati, mentre vi sono pochi beni di consumo, e categorie, come giocattoli e smartphone, in cui la Cina domina il mercato (e quindi la sostituzione con altri fornitori è difficile) sono totalmente assenti. Naturalmente, nella produzione di ulteriori liste di beni da tassare, quest’approccio risulterà più difficile da applicare, ulteriori dazi impatteranno su prezzi, reddito disponibile e quindi consumi, o in alternativa sui margini aziendali.

LA LISTA IN FIERI

La lista sarà come da protocollo, soggetta a discussione, in particolare in udienze pubbliche tra il 20 e il 23 agosto, e la decisione finale avverrà il 30 agosto, quindi i dazi (e relative ritorsioni) entreranno in vigore non prima di settembre inoltrato. USA e Cina hanno quindi oltre 2 mesi per scongiurarne l’applicazione accordandosi.

LE PRIME REAZIONI CINESI

La reazione cinese non si è fatta attendere, il Ministro del Commercio si è detto “shoccato” dell’azione, giudicata dannosa per “la Cina, il mondo e gli USA stessi”. Ha ribadito che la Cina non vuole una trade war, ma non negozierà sotto minaccia e non ha altra scelta che reagire agli attacchi. Aspre critiche sono state rivolte al comportamento di Trump, erratico ed indifferente ai progressi cinesi. Ma si è ribadito l’impegno ad aprire l’economia cinese agli investitori esteri.

CHI E’ PREOCCUPATO DELL’OFFENSIVA DI TRUMP

I Cinesi non sono stati gli unici a mostrare perplessità. Il presidente della Commissione Finanza al Senato US Hatch ha dichiarato che, sebbene le pratiche cinesi in termini di proprietà intellettuali non possano essere ignorate, quest’azione è “spericolata e priva di una strategia che dia potere negoziale agli USA preservando la salute dell’economia Usa”. Un altro Repubblicano eccellente, Il Presidente del Helath Subcommittee alla Camera Brady, ha dichiarato che Trump e il Presidente Xi dovrebbero incontrarsi e raggiungere un accordo.

RISCHIO ESCALATION COMMERCIALE

Con le ultime mosse di Trump, il rischio di un’escalation nella trade war aumenta. Supportato da un quadro macro quanto mai robusto, e dalla convinzione che il deficit commerciale e la forza relativa dell’economia americana vs quella cinese ed europea gli forniscano parecchia potenza di fuoco in più rispetto agli avversari, il presidente Usa continua a forzare la mano, da un lato cercando una resa incondizionata, e dall’altro perseguendo il consenso elettorale che gli deriva dal farsi alfiere in giro per il mondo degli interessi degli americani. Il primo risultato mi sembra totalmente fuori portata, e secondo me nemmeno Trump crede veramente ad una resa cinese.

LE FRECCE NELL’ARCO DI PECHINO

La Cina non ha nulla da guadagnare a cedere al ricatto. Vero, l’ammontare delle importazioni di merci dagli Usa (circa 150 bln) le impedisce di rispondere specularmente a queste misure, se dovessero entrare in vigore. Ma è evidente che il colosso asiatico ha altre frecce al suo arco. Può intraprendere azioni regolamentari per contenere il deficit sullo scambio di servizi (education, turismo, entertainment, acquisto di brevetti per citarne alcuni).

CHE COSA PUO’ FARE LA CINA

Può ostacolare gli enormi interessi presenti e futuri delle aziende Usa in Cina, visto che secondo alcune stime il valore dei beni prodotti e venduti sul territorio da sussidiarie di aziende US supera i 300 bln. Può utilizzare strategie più opache, disincentivando e boicottando l’acquisto di prodotti Usa, bloccando le merci in dogana, aumentando la regolamentazione, e favorendo l’accesso ai mercati cinesi di altri paesi concorrenti. Può infine ricorrere ad armi non convenzionali come la svalutazione e la liquidazione della sua posizione in treasuries, sebbene queste misure abbiano forti controindicazioni.

LE CONTROMISURE IN CANTIERE

Alcune di queste contromisure stanno già venendo messe in pratica. Naturalmente le autorità continueranno a seguire la strategia di reazione agli attacchi, guardandosi bene dal iniziare per primi azioni ostili.

L’IMPATTO SUL CICLO CINESE

Dovesse questo round di misure entrare in vigore, l’impatto sul ciclo cinese e globale comincerebbe a farsi sentire. Intanto, ciò implicherebbe che nei prossimi 2 mesi, tempo necessario per svolgere l’iter di imposizione dei dazi, non si è compiuto alcun progresso in direzione di un accordo, e quindi le azioni e reazioni minacciate nel frattempo sarebbero cresciute di numero.

NEL MERITO DELLA TENZIONE

Entrando nel merito, se la Cina ha certamente da perdere in termini di export, i vantaggi per gli USA da una riduzione del deficit verrebbero facilmente annullati dall’impatto sul reddito disponibile dei rialzi dei prezzi per i beni non sostituibili (senza contare che magari alcune aziende locali approfitterebbero per alzare a loro volta i prezzi). Vi sarebbe poi l’effetto delle rappresaglie cinesi su alcuni settori (agricoltura, industria pesante).

LO SCENARIO

Infine ci sarebbe l’impatto sulla confidence e sugli investimenti dell’aumento della probabilità di una trade war a tutto campo, un fattore che andrebbe a deprimere l’intera economia globale, a prescindere da chi ci guadagna dallo spostamento della domanda di beni US e cinese. Alcune stime collocano il costo in termini di GDP per l’economia USA e globale tra 1% e 1.25%.

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