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Tutti gli interessi della Turchia in Africa

Non solo Russia, Cina e Stati Uniti: anche la Turchia ha grandi interessi economici, politici e militari in Africa. Ankara ha aperto molte ambasciate nel continente e sta concentrando le sue attenzioni sul Sahel. Tutti i dettagli.

L’Africa non è solo campo di gioco in cui le superpotenze rivali Cina, Russia e Usa operano per ritagliarsi una propria zona di influenza. Il Continente è anche oggetto degli interessi e degli appetiti di una media potenza come la Turchia, che da almeno vent’anni ha preso a forgiare rapporti politici, relazioni commerciali e vere e proprie alleanze in materia di sicurezza. Ecco cosa scrive il Financial Times in un approfondimento che mette a fuoco la crescente penetrazione turca in Africa.

Ambizioni della Turchia in Africa

Non è una sola la ragione che spiega gli incessanti movimenti della Turchia e del suo attuale presidente Erdogan in Africa.

Come spiega al Ft Elem Eyrice-Tepeciklioğlu dell’Ankara’s Social Sciences University, a motivare Ankara sono da un lato le smisurate ambizioni geopolitiche di una leadership che lavora indefessamente per svolgere un ruolo primario negli affari globali e regionali e dall’altro l’esigenza di diversificare le proprie opzioni di politica estera in un’era di instabilità sul piano internazionale.

Superpotenza diplomatica

Un indicatore della crescente influenza turca in Africa è il numero delle ambasciate aperte nei vari Paesi del Continente.

Se subito dopo la seconda guerra mondiale le ambasciate turche non raggiungevano la decina e tali sono rimaste per mezzo secolo, a partire dal 2003, anno dell’ascesa di Erdogan al rango di premier, si è registrata un’impennata, con il numero di ambasciate arrivate alle attuali 44.

Anche l’aumento esponenziale dei collegamenti aerei per un numero in continua crescita di destinazioni denota questo intreccio, reso più visibile dalla contestuale assenza dei servizi dei principali carrier internazionali.

Obiettivo Sahel

In tempi più recenti l’attenzione di Ankara si è appuntata su quell’angolo particolarmente turbolento del continente che è la regione del Sahel.

Qui, dove si sono succeduti golpe gemelli che hanno portato al potere giunte militari, si è registrato un avvicinamento non solo con l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, ma con la stessa Turchia.

Ad agevolare questi nuovi rapporti, spiega al quotidiano britannico Cameron Hudson, ex agente Cia transitato al Center for Strategic and International Studies, è la volontà dei militari e di parte dell’opinione pubblica di rompere con un passato segnato dall’influenza di potenze come Francia, Gran Bretagna e Usa, con l’effetto di spezzare un monopolio e aprire la regione all’intervento di altri attori di minore stazza ma dotati di grande spirito di iniziativa.

Interessi economici

La tessitura dei legami con i Paesi africani ha consentito ad Ankara di ottenere il ritorno immediato rappresentato da relazioni commerciali che l’anno scorso hanno raggiunto il valore record di 32 miliardi di dollari, quasi il 50% in più rispetto a un decennio fa.

Ma la Turchia fa sentire la propria presenza direttamente attraverso un gran numero di contractor che sono stati o sono ancora attivi in ben 1.800 progetti infrastrutturali. Dai porti agli aeroporti, le imprese turche non disdegnano questi affari nemmeno quando coinvolgono i Paesi golpisti del Sahel su cui le aziende di altri Paesi si fanno qualche scrupolo anche per motivi di sicurezza.

Alla conquista dell’Africa

Come sottolinea il Financial Times, questi risultati sono il frutto diretto dell’impegno diplomatico del governo e della sua volontà di assumersi rischi tessendo legami con Paesi problematici.

L’azione dell’esecutivo in Africa è stata affiancata e rafforzata da impegni in campi come i programmi umanitari o formativi e le questioni religiose con cui la Turchia ha potuto mettere in campo il suo caratteristico soft power.

Si va dalla costruzione di scuole e ospedali, ai programmi di scambio studentesco che consentono a molti giovani africani di trascorrere un periodo formativo in Turchia, all’edificazione di moschee come quella monumentale di Accra realizzata nello stile della moschea blu di Istanbul.

Molto indicativo anche il lancio di un servizio africano dell’emittente di stato turca TRT, che ora trasmette anche in inglese, francese, swahili e hausa.

Per consolidare i rapporti Ankara ha anche rivisto il regime dei visti di ingresso rendendoli più agevoli per i cittadini di molti Paesi africani.

E poi le armi

La ciliegina sulla torta di questa strategia di penetrazione sono gli armamenti che vedono Ankara mettere a disposizione di Paesi come il Niger, il Mali, la Somalia e l’Etiopia i famosi droni d’attacco Bayraktar TB2.

Ma come spiega al Ft Eyrice-Tepeciklioğlu, a questi Paesi la Turchia fornisce anche fucili, veicoli corazzati ed elicotteri. Tutto questo, sottolinea Hudson, col tacito assenso di Washington che, malgrado la preoccupazione generale per lo status di queste realtà, si consola col fatto che il fornitore è pur sempre un alleato Nato.

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