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Tunisia: come si muovono le potenze e che cosa rischia l’Italia

Che cosa sta succedendo in Tunisia. I fatti, i numeri e l'analisi geopolitica di Dario Fabbri (Limes)

La Tunisia sta affrontando una gravissima crisi istituzionale. Il presidente Kais Saied il 25 luglio ha annunciato la sospensione del Parlamento per 30 giorni, la revoca dell’immunità ai deputati e il licenziamento del premier Hichem Mechichi. In un discorso alla nazione in cui ha spiegato i motivi del gesto, Saied ha parlato di “situazione insostenibile” e annunciato che assumerà il potere esecutivo con l’aiuto di un governo guidato da un nuovo primo ministro che lui stesso provvederà a nominare. La decisione è arrivata dopo una giornata di proteste diffuse in tutto il paese, contro i fallimenti del governo, il sistema politico e la cattiva gestione della pandemia.

La Tunisia deve ritrovare rapidamente la “via della democrazia”, ha detto ieri sera un alto funzionario della Casa Bianca a Kais Saied pochi giorni dopo che il presidente tunisino ha preso il potere esecutivo e sospeso per un mese l’attività del Parlamento. In una telefonata di un’ora con Saied, il consigliere per la Sicurezza nazionale del presidente americano Joe Biden, Jake Sullivan, ha espresso il suo sostegno alla “democrazia tunisina basata sui diritti fondamentali, su istituzioni forti e sull’impegno per lo Stato di diritto”, secondo una dichiarazione della Casa Bianca.

Le origini della crisi politica tunisina

La crisi tunisina ha più di una causa: l’instabilità politica endemica, la gravissima situazione economica e la conseguente incapacità del governo deposto di gestire la pandemia da coronavirus, che in Tunisia è una delle peggiori di tutta l’Africa. A queste si aggiungono ragioni di carattere strutturale che hanno a che fare con lo stato piuttosto fragile in cui la Tunisia è uscita dalla primavera araba.

I risultati delle primavere arabe

La Tunisia è stata l’unico paese coinvolto nella primavera araba, con la rivoluzione dei gelsomini, ad aver mantenuto una forma di governo democratica. Negli ultimi 10 anni la democrazia tunisina si è mostrata molto fragile e instabile. Ennahda, il partito islamista moderato che ha dominato la scena nazionale, non è mai davvero riuscito a imporsi con governi forti e capaci di fare le riforme di cui il paese aveva bisogno, e alla lunga i problemi e l’instabilità non hanno fatto che accumularsi. La politica tunisina è rimasta eccezionalmente frammentata, e dal 2011 a oggi si sono succeduti ben nove primi ministri.

La crisi economica tunisina

Alle fragilità politiche della democrazia tunisina nata dalle primavere arabe si è aggiunta la crisi economica, scoppiata nel 2010, peggiorata nei primi anni della rivolta e che non ha mai permesso al Paese di rilanciarsi sul serio. Come scrive il Sole 24 ore la disoccupazione, quella ufficiale, sta sfiorando il 20%. I dati reali sarebbero ben peggiori. La pandemia ha provocato una contrazione del Pil di quasi il 9% e sta facendo lievitare il rapporto debito/Pil al 91 per cento. Tunisi avrebbe bisogno di un prestito da di circa quattro miliardi di dollari. Il Fondo monetario internazionale potrebbe anche accordarlo alla sola democrazia del mondo arabo ma a patto di condizioni precise: riforme strutturali in grado di cambiare l’economia, tra cui taglio dei salari pubblici e dei sussidi statali. Misure che milioni di tunisini, esasperati per la crisi e senza un lavoro, difficilmente capirebbero.

La partita a scacchi tra Turchia, Arabia Saudita, Emirati Arabi e Qatar

In Tunisia è in corso una partita geopolitica molto intricata. “Negli ultimi mesi, anche anni, la Turchia ha esteso la sua influenza in Tunisia, un po’ quello che capita in Tripolitania – ha detto Dario Fabbri, analista di Limes -. La Turchia domina il paese, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi sono intervenuti per far fuori Ennahda. Il quale è molto vicino alla Fratellanza musulmana e dunque alla Turchia che la controlla. Arabia Saudita ed Emirati Arabi hanno agito proprio per sottrarre ad Ankara l’influenza decisiva sul paese”. Stando al parere degli analisti la Fratellanza Musulmana, alla quale rappresentanti di primo piano di Ennahda sono tradizionalmente vicini, sta giocando un ruolo fondamentale nello spingere la Tunisia verso il caos. La Fratellanza è supportata dalla Turchia di Erdogan, dal Qatar e dai “fratelli” di Hamas che dominano la Striscia di Gaza. La decisione presa dal presidente Kais Saied appare, più che un colpo di Stato, una mossa preventiva per frenare la presa del potere da parte dei fondamentalisti.

Il ruolo geopolitico dell’Italia

L’Italia, benché sia un partner strategico per la Tunisia, non sta giocando un ruolo nei disordini che stanno travolgendo il paese. “Ciò che succede per l’Italia è decisivo – ha aggiunto Fabbri nel corso di un intervento a Omnibus su La7 -. Una volta eravamo noi ad imporre i fatti in Tunisia, l’ultimo dittatore tunisino ce l’avevamo messo noi con un nostro golpe all’epoca. Adesso lo fanno gli altri. Noi contiamo talmente poco nel nostro che sauditi ed emiratini si giocano l’influenza con i turchi, pagati dal Qatar, e noi possiamo fare altro che stare a guardare”. Eppure capire l’evoluzione della situazione per l’Italia è molto importante.

Paradossalmente lo sviluppo non è esattamente negativo per l’Italia, al di là della retorica riguardante la fine della democrazia in Tunisia – conclude Fabbri -. Democrazia sempre molto sbiadita da quelle parti. Se la Turchia si indebolisce in Tunisia per noi non è un dato negativo, tutt’altro. I turchi dominano in Libia soprattutto in Tripolitania dove noi siamo formalmente alleati della Turchia, che sta lì con i soldi del Qatar. Ecco diciamo che se Erdogan subisce un rovescio non tutti piangono a Roma nei palazzi dei nostri apparati”.

Le posizioni di Egitto e Algeria

“E’ una questione interna tunisina ed è necessario rispettare la privacy e la non ingerenza”: lo hanno detto durante una conferenza stampa congiunta tenuta al Cairo i ministri degli Esteri egiziano e algerino – Sameh Shoukry e Ramtane Lamamra – alla luce delle recenti decisioni del presidente tunisino Kais Saied di congelare il parlamento per un mese e licenziare il premier. “Siamo pienamente fiduciosi della saggezza della leadership tunisina sul piano politico e della sua capacità di gestire la situazione, per realizzare le aspirazioni del fraterno popolo tunisino”, ha aggiunto Shoukry: “Speriamo che tutte le misure prese vadano a buon fine”. Da parte sua, Lamamra ha sottolineato che l’Algeria confida nella capacità del popolo tunisino di superare questa crisi.

Le ricadute economiche della crisi tunisina sull’Italia

L’Italia è il secondo partner commerciale della Tunisia, nel 2020 l’Italia è stata il secondo mercato di destinazione dell’export tunisino con una quota del 15,2% e il secondo fornitore della Tunisia con una quota del 14,1%. È inevitabile pensare a una ricaduta sugli investimenti economici italiani. Tuttavia, come riporta il Sole 24 ore, secondo gli analisti i disordini tunisini non dovrebbero mettere a rischio gli investimenti del settore energetico di Ansaldo Energia, Eni, Saipem, Ternienergia. Le aziende italiane si concentrano nell’area della Grande Tunisi e delle regioni costiere dove si contano più di 800 società (miste o a capitale esclusivamente italiano), che impiegano oltre 68 mila lavoratori e rappresentano quasi 1/3 delle imprese a partecipazione straniera. In Tunisia sono presenti, tra gli altri: Colacem, Fs, Astaldi, il Gruppo Marzotto, Telecom Italia Sparkle, Gruppo Maccaferri, Prysmian, Grandi Navi Veloci, Inviaggi, Iccrea e Banca MPS, Ariston Thermo e Benetton.

Paura per una nuova crisi migratoria

La crisi economica potrebbe innescare l’aumento di flussi migratori verso l’Italia. Già da un anno sono ripresi gli sbarchi dalla Tunisia verso l’Italia, causati dall’incapacità del partito di governo, Ennahda, di fronteggiare la crisi economica e la pandemia che nel Paese ha fatto oltre 18.000 morti. L’anno scorso sono stati circa 14.000 contro i 3.600 del 2019. Come se non bastasse, ci sono preoccupazioni nella sponda Nord del Mediterraneo per le questioni di sicurezza e lotta al terrorismo con il dossier tunisino interconnesso fortemente a quello libico, egiziano, marocchino e algerino.

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