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Ecco come Meloni difende Trump anche su Groenlandia e Panama

Secondo Meloni, Trump non ha davvero intenzione di invadere la Groenlandia e Panama: le sue dichiarazioni sarebbero piuttosto "un messaggio" a Russia e Cina. Quali sono gli obiettivi di Trump? E quanto è presente, davvero, Pechino in questi luoghi?

Secondo Giorgia Meloni, le dichiarazioni del presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, sulla Groenlandia e sul canale di Panama “siano più un messaggio ad alcuni altri grandi player globali, piuttosto che rivendicazioni ostili nei confronti di quei paesi”.

Qualche giorno fa Trump ha detto di non escludere l’uso della forza, militare o economica, per prendere il controllo della Groenlandia e del canale di Panama; ha detto anche di voler annettere il Canada agli Stati Uniti e – tra le altre cose – ha promesso che cambierà il nome del golfo del Messico in “golfo d’America”.

Rispondendo ai giornalisti durante la conferenza stampa di oggi, Meloni ha detto di credere che “rientrino nel dibattito a distanza fra grandi potenze. Un modo energico per dire che gli Stati Uniti non rimarranno a guardare di fronte alla previsione che altri grandi player globali muovano in zone di interesse strategiche per gli Stati Uniti e, aggiungo io, per l’Occidente”.

“Mi sento di escludere”, ha ribadito, “che gli Stati Uniti nei prossimi anni si metteranno a tentare di annettere con la forza territori. Noi abbiamo già visto Trump presidente”. Effettivamente, è dal 2019 che Trump ripete di voler comprare la Groenlandia dalla Danimarca.

COSA VUOLE DAVVERO TRUMP?

Secondo la presidente del Consiglio italiana, dunque, dietro alle parole di Trump ci sarebbe un ragionamento geopolitico: per proteggere la sicurezza nazionale ed economica degli Stati Uniti dalle nazioni ostili, ovvero dalla Cina e dalla Russia, gli Stati Uniti hanno bisogno di rafforzare la loro presenza in Groenlandia e nel canale di Panama; la retorica aggressiva sarebbe più una tattica negoziale che una vera dichiarazione di intenti.

È una ricostruzione fondata, benché non si possa escludere che Trump sia mosso innanzitutto da una volontà personalistica: potrebbe cioè voler passare alla storia come il primo presidente ad aver allargato il territorio degli Stati Uniti dal 1959, quando l’Alaska e le Hawaii diventarono il quarantanovesimo e il cinquantesimo stato della federazione (alla Casa Bianca c’era Dwight Eisenhower).

L’IMPORTANZA DELLA GROENLANDIA PER GLI STATI UNITI

Al di là delle motivazioni di Trump, la Groenlandia è davvero un territorio importante per gli Stati Uniti.

Pur appartenendo formalmente alla Danimarca, dal punto di vista geografico rientra nel Nordamerica: la rotta più breve per un ipotetico missile balistico partito dal continente europeo e diretto verso la regione nordamericana passa proprio per la Groenlandia. Gli Stati Uniti hanno una presenza militare permanente – che risale alla Seconda guerra mondiale – nella parte nordoccidentale dell’isola, dove si trovano la base aerospaziale di Pituffik e la stazione radar di Thule.

Per via di questo valore strategico, durante la Guerra fredda l’allora presidente Harry Truman tentò di acquistare la Groenlandia dalla Danimarca per 100 milioni di dollari in oro, ma l’offerta venne rifiutata.

Oltre che per la sua posizione, l’isola è rilevante anche per le sue risorse minerarie, in particolare terre rare, nichel e cobalto, utili alla transizione energetica.

QUAL È LA PRESENZA DELLA CINA IN GROENLANDIA?

La minaccia cinese passante per la Groenlandia, però, è sopravvalutata. Se è vero che Pechino ha un grande interesse per l’Artico, stando a un articolo di Politico del 2022 l’unica presenza diretta del paese in Groenlandia è quella dei lavoratori nel settore della pesca.

I progetti estrattivi della Cina sull’isola, infatti – la miniera di uranio e terre rare di Kuannersuit/Kvanefjeld e quella di ferro di Isua -, sono stati sospesi o annullati. Gli Stati Uniti, poi, hanno bloccato il tentativo cinese di acquisire una vecchia postazione marittima della difesa danese. Nel 2019 la compagnia statale cinese Cccc ha ritirato il progetto per la realizzazione di due aeroporti, uno a Nuuk e uno a Ilulissat.

Pechino, in altre parole, è fuori dai settori e dalle infrastrutture groenlandesi più sensibili. Rimane comunque uno dei principali soci commerciali dell’isola, ma gli scambi consistono perlopiù in frutti di mare, ghiaccio e pelli di foca.

NEL CANALE DI PANAMA, INVECE…

Diversa, invece, è la situazione a Panama. L’omonimo canale – costruito dagli Stati Uniti, che ne hanno ceduto la proprietà alle autorità panamensi nel 1999 – è seconda linea di navigazione artificiale più trafficata al mondo, dopo il canale di Suez, e gestisce ogni anno circa diecimila navi e un flusso commerciale da 270 miliardi di dollari.

Secondo il dipartimento del Commercio americano, più del 70 per cento delle navi che attraversano il canale di Panama provengono dai porti degli Stati Uniti o vi sono dirette.

Negli ultimi anni la Cina ha investito parecchio nel canale di Panama e nella zona circostante: una presenza che ha fatto sollevare delle preoccupazioni sulla neutralità dell’infrastruttura e dell’area. Anche perché nel 2017 Panama ha interrotto le relazioni diplomatiche con Taiwan per avviarle con la Cina (la Cina non riconosce Taiwan come un paese a sé ma come un provincia del suo territorio). Nel 2018, poi, Pechino e Città di Panama hanno avviato le trattative per un accordo di libero scambio, successivamente congelate.

La questione della “neutralità” del canale è rilevante perché il trattato del 1977 sulla cessione dell’infrastruttura dagli Stati Uniti a Panama – lo firmò l’allora presidente Jimmy Carter – prevedeva appunto che la zona venisse mantenuta permanentemente neutrale.

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