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Dazi e caos trumpiano: erano davvero meglio i cinesi?

I dazi di Trump ci fanno dimenticare e quasi rimpiangere la Cina, che dopo tanto avvicinamento sembra di nuovo essere lontanissima. Ma è proprio così? Il corsivo di Battista Falconi

Almeno per le Dogane americane, i dazi al 15% sono entrati in vigore da oggi, alla mezzanotte locale, le nostre ore 06:00. Ma per l’Europa manca ancora il testo con i dettagli delle esenzioni. Si parte insomma tra mille incertezze, la principale è il rischio che, se l’Ue non investe negli Usa, si passi al 35. Questo infatti era il numeretto uscito un paio di giorni fa dal bussolotto di Donald Trump, che intanto ha raddoppiato le tariffe al 50 per India, rea dell’acquisto di petrolio russo, e Brasile, in difesa dell’ex presidente Jair Bolsonaro, il quarto capo di Stato brasiliano finito nelle maglie dei giudici negli ultimi decenni. Come ha detto ieri sera Giorgia Meloni al Tg5, “c’è un disegno politico della magistratura”. Che, evidentemente, è globale.

Trump rovescia quotidianamente, come fossero dadi, cifre e percentuali che determinano e rappresentano assieme la confusione (lucidamente intenzionale, patologica, entrambe?) imposta a gran parte del mondo. Il dominio del caos, almeno apparente. Ma il mondo è davvero peggiorato, col nuovo inquilino della Casa Bianca? Oppure è solo meno netto, nei suoi contorni e confini? Era davvero migliore, il vecchio mondo, con le sue aree di influenza e di scambio come Cindia, Brics, Mercosur? Quando il protagonista principale era Pechino, che colonizzava l’Africa e l’Europa a colpi commerciali e geopolitici più discreti ma non meno poderosi, dalla costruzione delle infrastrutture, all’indebitamento dei paesi più deboli, fino alla creazione di catene e filiere commerciali capaci di sbaragliare la concorrenza?

Forse a quei tempi, alla fin fine non così distanti, eravamo più tranquilli perché non c’era notizia permanente, i titoli di social, giornali e tv non si rincorrevano come ora. I cinesi agivano con la consueta discrezione, con il tradizionale riserbo, con tipica omertà dittatoriale. E poi, forse, non erano nemmeno loro i competitor da temere, considerando gli enormi problemi di consumo interno, le conseguenze nefaste della politica del figlio unico, il parallelo incedere demografico e produttivo dell’India di Modi. Che adesso pare aver rallentato il passo, schiacciato come gli altri dalle mosse trumpiane.

I dazi starebbero cambiando il mondo per contenere il deficit commerciale Usa, per contrastare la delocalizzazione (altro must del più tranquillo, ma non più conveniente, mondo precedente) e per ridurre a più miti consigli le grandi della Rete, dell’hi tech e dei new media. Un Trump raggiante, assieme a Tim Cook di Apple, ha annunciato il “Nuovo programma di produzione americana”, 100 miliardi di dollari di investimenti negli Usa, prodotti realizzati nelle fabbriche di Kentucky, Texas, New York e Arizona e Utah dall’azienda di Cupertino per schivare i dazi al 25% sui dispositivi con componenti giunti da Cina, Vietnam o India. Anzi, altro numeretto: Trump annuncia il 100% sui microchip e semiconduttori importati. Intanto il Cda di Tesla ha approvato un nuovo pacchetto azionario da 30 miliardi di dollari per blindare al timone Elon Musk, tornato nelle grazie del presidente.

Nel vecchio mondo, queste Big Tech finiscono nel mirino delle Authority. Ma non pagano. Tra gli ultimi casi, Meta non ha aderito all’accertamento delle nostre Entrate che le contestano 877 milioni di euro per Iva non versata e non dichiarata nel 2015-21. Dal primo contenzioso Ue-Microsoft di 20 anni fa, le sanzioni dell’Europa per monopolio, concorrenza sleale, violazione privacy, elusione o evasione del fisco sono rimaste spesso inapplicate. Anche per questo Cina e Usa puntano sulle intese preventive.

“Basta con lo strapotere di Big Tech” tuonava il commissario europeo Thierry Breton contro i sei colossi (Alphabet, Amazon, Apple, ByteDance-TikTok, Meta e Microsoft) riferendosi all’ennesimo nuovo regolamento sui mercati digitali. Ma se il caos è mancanza di regole, la sovrabbondanza che ne pregiudica l’applicazione è anche peggio. Siamo “nella nuova era della sottomissione digitale” e l’Europa “fragile e nostalgica” soffre “la propria irrilevanza tecnologica”, scrive un esperto. Pare proprio così, se si pensa alla valanga dei bitcoin sulle borse oppure agli accordi in ambito G7 come la Global minimum tax, che secondo qualcuno è già morta.

Il caos trumpiano ci fa dimenticare e quasi rimpiangere i vecchi cinesi, che dopo tanto avvicinamento sembrano di nuovo essere lontanissimi. Ma è proprio così? Il Pil italiano è arretrato dello 0,07% nel secondo trimestre 2025 rispetto al precedente. C’è chi individua la causa della quasi impercettibile battuta d’arresto, che segue due trimestri di crescita, nel peggioramento del nostro deficit commerciale con la Cina, che nei primi cinque mesi del 2025 ha raggiunto il nuovo record di 20,3 miliardi di euro.

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