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Tutti i perché delle mosse protezionistiche di Trump contro la Cina

Cina e Russia: le rivalità geopolitiche, per gli Usa, sono sempre le stesse. E il ruolo dell’Europa, pure, non cambia: è parte di un’alleanza militare che deve sempre vedere in prima fila la Gran Bretagna: la Brexit non deve alterare questo schema, che va riaffermato a ogni costo. Al di là di ogni differenza, c’è una sorprendente continuità di obiettivi tra la strategia di Donald Trump e quella del suo predecessore Barack Obama. Quest’ultimo aveva delineato l’isolamento contemporaneo sul piano economico della Russia e della Cina, escludendole dai due nuovi trattati paralleli di liberalizzazione nel campo commerciale che aveva sostenuto, il Tpp per l’area del Pacifico e il Ttip per l’Atlantico.

Eliminando le barriere ancora esistenti nel settore dei servizi, compresi quelli finanziari e assicurativi, gli Usa avrebbero potuto riassorbire lo squilibrio strutturale che oggi caratterizza il suo scambio di merci con l’estero. Contemporaneamente, l’eccezionale impulso dato da Obama allo sfruttamento dello shale gas ora garantisce agli Usa l’indipendenza energetica tagliando il peso dell’import, fino ad aprire la prospettiva di rifornire direttamente anche il mercato europeo, riducendo così la dipendenza dalle fonti energetiche russe. L’ostracismo americano verso il South Stream risale già agli albori del progetto, nel 2008.

Trump persegue gli stessi obiettivi di riequilibrio dei conti con l’estero, in particolare con la Cina, ma attraverso una strategia completamente diversa: basata sulla rinegoziazione degli accordi in essere, sui dazi e sulle limitazioni commerciali, e non attraverso ulteriori liberalizzazioni come voleva fare Obama. Già nel corso della sua campagna elettorale, Trump aveva sostenuto che gli Usa sono stati fortemente danneggiati da questo tipo di trattati e che il suo obiettivo prioritario sarebbe stato di ridurre il disavanzo commerciale con l’estero, in particolare con Cina, Giappone, Corea del Sud e Germania. Appena insediato, ha ritirato l’adesione americana al Tpp. Le trattative con l’Europa si erano già arenate da sole.

I NUMERI ALLA BASE DELLO SCONTRO USA-CINA

L’obiettivo americano di riequilibrare i conti commerciali con la Cina presenta un ulteriore elemento di complessità: l’import americano dalla Cina continua ad aumentare, mentre il surplus commerciale di quest’ultima tende a ridursi, essendo passato dal 2,7% del pil nel 2015 all’1,2% di quest’anno: il riassorbimento dell’attivo sull’estero cinese avviene aumentando le importazioni, trainate dalla crescita della domanda interna, con grande soddisfazione per i Paesi produttori di materie prime e di energia. Nel 2016, l’import cinese per merci è cresciuto del 5,5% mentre l’export solo dell’1,7%. L’anno scorso, il primo è cresciuto del 4,5% e il secondo del 4%. Per quest’anno, si prevedono, rispettivamente, un +4,3% e un +3,2%. Per di più, i prezzi dell’export cinese verso gli Usa sono assolutamente stabili, non subendo neppure il ricarico dell’inflazione interna: questo rende più difficile il riequilibrio americano. Il modo stesso con cui l’amministrazione americana ha proceduto nelle scorse settimane all’introduzione dei dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio, per ragioni di sicurezza nazionale, delinea un metodo assai ben congegnato: da subito, sono stati esclusi il Messico e il Canada, per via della rinegoziazione in corso del Nafta; subito dopo, è stata esclusa anche l’Unione europea, a seguito della corale richiesta formulata in nome dei legami di alleanza politica che legano le due sponde dell’Atlantico.

IL VERO OBIETTIVO DEI DAZI

Trump ha diviso il campo degli avversari, concedendo deroghe a sua discrezione. Nel mirino dei dazi, così, è rimasta la Cina. Ora, ci sono in cantiere altre misure, volte a compensare gli impropri trasferimenti di tecnologia, determinati dalla condizione di avere un partner locale per poter produrre in Cina: avrebbero un valore di 60 miliardi di dollari, con un dazio medio del 25% su circa 1.300 tipologie di prodotti, dalle calzature all’elettronica. Inoltre, ci sarebbero restrizioni agli investimenti cinesi negli Usa.

LE PRESSIONI USA CONTRO LA CINA

La pressione americana nei confronti della Cina ha sfruttato nei mesi scorsi anche le sperimentazioni missilistiche e nucleari della Corea del Nord. Pechino ha utilizzato ogni abilità negoziale, pur di evitare un aumento della pressione militare statunitense ai suoi confini, favorendo la distensione: prima con l’accordo volto a fare gareggiare assieme alle Olimpiadi invernali di Seul le due compagini coreane, e questa settimana con la visita a Pechino del leader nordcoreano Kim Jong-un al presidente Xi Jinping, da cui è emersa la volontà di avviare un piano di denuclearizzazione della Corea del Nord. L’incontro di Kim Jong-un con Trump è stato confermato, ma chi ha favorito il processo di pace è stata la Cina.

CHE COSA HA RIACUTIZZATO LE OSTILITA’ CONTRO LA RUSSIA

Per quanto riguarda i rapporti con la Russia, è stata la Brexit, a causa delle dinamiche che ha innescato all’interno dell’Unione europea, ad aver riacutizzato le ostilità di Usa e Gran Bretagna nei confronti di Mosca. La fuoriuscita della Gran Bretagna dall’Ue ha fatto riemergere l’idea di costituire un esercito europeo, cui Londra si era sempre opposta. Per di più, la Francia di Emmanuel Macron ritiene che questa sia un’occasione imperdibile per la Francia: sul terreno della politica estera e della difesa comune, trova un ruolo attraverso cui bilanciare lo strapotere economico di Berlino. La Gran Bretagna ha dunque tutto l’interesse a enfatizzare i tanti motivi latenti di conflitto con la Russia, che originano dal suo continuo tentativo di espandere l’area di influenza, per chiedere la solidarietà Atlantica: così facendo, rimette in fila gli alleati di sempre sul piano geopolitico e militare, evitando fughe in avanti da parte dell’Ue.

LE RAMPOGNE DI TRUMP ALL’EUROPA

Anche Trump segue la medesima logica di allineamento: più di una volta ha rimproverato gli alleati europei di non spendere abbastanza per la difesa nell’ambito della Nato. Se si fa eccezione per la prima presidenza di George Bush Jr., che aveva chiesto solidarietà a tutto il mondo nella guerra condotta in Afghanistan contro il terrorismo, dopo l’attacco dell’11 settembre 2001 alle Torri gemelle, la strategia americana volta al contenimento geopolitico e militare della Russia non è mai cambiata.

DOSSIER MEDIORIENTALE

È nello scacchiere mediorientale che ormai da quarant’anni si giocano gli equilibri con la Russia: Londra e Washington cercano in ogni modo di tener fuori Mosca. D’altra parte, se il dissolvimento dell’Urss nel 1991 ha rappresentato per la Russia una catastrofe geopolitica, già nel 1979, con la caduta dello Scià di Persia, il Guardiano del Golfo, gli Usa avevano subito un danno irreparabile. Sono state crisi simmetriche, ancora irrisolte, che hanno rotto gli equilibri di Yalta. Non è un caso che, fino alla caduta dello Scià, le uniche due guerre americane erano state combattute nelle due penisole collegate alla Cina, quella coreana e quella vietnamita.

Dopo la caduta dello Scià, invece, tutti i conflitti si sono concentrati in Medioriente, a cominciare dall’invasione sovietica dell’Afghanistan per battere il terrorismo dei Talebani. Il pericolo ora è che si saldino le tensioni economiche alimentate nei confronti della Cina con quelle militari e geopolitiche innescate nei confronti della Russia. La miccia del Medioriente è accesa. È appena primavera e già si prevede una calda estate.

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