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Troppe amnesie e ipocrisie sulla Consulta, vero Giuliano Amato?…

Che cosa ha detto e che cosa non hanno detto Giuliano Amato e Ignazio La Russa su Corte costituzionale e dintorni. I Graffi di Damato

Giuliano Amato, che ne ha fatto parte e l’ha presieduta dopo una lunga carriera politica che lo aveva portato due volte a Palazzo Chigi, la prima su designazione del Psi di Bettino Craxi e l’altra del predecessore Massimo D’Alema, più ancora del partito di quest’ultimo, ha appena detto in una intervista a Repubblica che la Corte Costituzionale “non può essere lottizzata”. Come se fosse la Rai, dove al direttore di una importante testata giornalistica, peraltro di fatto ancora operativo, capitò di avvertire pubblicamente come suo “editore di riferimento” non l’azienda dalla quale dipendeva ma il partito che ne aveva sostenuto e determinato la nomina nei suoi organi deliberanti.

A nessuno dei tanti giudici costituzionali di elezione parlamentare, cioè di designazione politica, succedutisi nei quasi 70 anni di vita della Corte è mai scappato di sentirsi praticamente dipendente del partito che lo ha sostenuto, o lo ha sostenuto di più proponendone per esempio la candidatura agli altri e ottenendone l’appoggio. Questo è bastato al presidente emerito per mettere la Corte al riparo dalla rappresentazione lottizzatrice. Ma dubito che il modo di sentire e di esercitare un mandato sia sufficiente ad inserirlo o escluderlo dal fenomeno lottizzatorio, cioè di spartizione delle cariche fra chi ne determina l’assegnazione.

La lottizzazione della componente di designazione parlamentare della Corte Costituzionale, pari a un suo terzo, è insita nel metodo della elezione, con una maggioranza sempre qualificata: dei due terzi nelle prime due votazioni, dei tre quinti dalla terza in poi. Una maggioranza che normalmente comporta un così largo coinvolgimento di parlamentari, e rispettivi partiti, da comportare una trattativa. Che è la premessa di una spartizione, specie quando le parti non a caso ma di proposito accorpano le diverse scadenze ed eleggono più giudici in una sola occasione. Bisognerebbe quanto meno impedire questo accorpamento per cercare -non so se riuscendovi- di allontanare o ridurre la pratica o solo la tentazione lottizzatrice, con tutto quello che di negativo comporta nell’accezione comune la lottizzazione.

Il presidente del Senato Ignazio La Russa ha appena tentato di indorare la pillola lottizzatrice, in una intervista al Corriere della Sera, chiamando “anime” i partiti e rispettivi gruppi parlamentari che trattano, singolarmente o a pacchetti, sui seggi che via via si liberano nel Palazzo della Consulta. E trattano in modo così pesante, direi anche spavaldo, da potere disporre dei loro parlamentari sino ad obbligarli di fatto a non votare, evitando di ritirare la scheda, per non lasciarsi neppure tentare di sottrarsi segretamente ad una certa scelta indicata dalla propria parte politica. Qualcosa di apparentemente democratico e legittimo. Ma apparentemente, appunto. In realtà, per niente democratico. Direi, piuttosto, vessatorio. Per non sconfinare nel dileggio delle istituzioni per il modo in cui esse vengono gestite in questi casi.

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