L’invasione russa dell’Ucraina, iniziata nel febbraio 2022, non rappresenta un conflitto a sé stante, ma una fase della strategia di Mosca per riaffermare il proprio dominio imperiale, come articolato dal presidente Vladimir Putin nel suo discorso del 21 febbraio 2022, in cui ha motivato l’”Operazione Militare Speciale” come una difesa dell’”unità storica della Russia”.
La visione del presidente Putin, delineata nel suo saggio “Sull’unità storica di russi e ucraini” (in russo Об историческом единстве русских и украинцев) pubblicato il 12 luglio 2021 ed incluso nell’elenco delle opere che tutti gli appartenenti alle Forze armate russe devono obbligatoriamente studiare, si concentra sulla reintegrazione di Ucraina e Bielorussia in una sfera dominata dalla Russia, un concetto radicato nell’ideologia del Russkij mir. In quel saggio, il presidente Putin afferma che russi e ucraini, insieme ai bielorussi, sono un unico popolo appartenente a quella che è stata conosciuta storicamente come “nazione trina russa”. Per sostenere questa sua revisione storica e geopolitica, il capo del Cremlino arriva alla conclusione che russi ed ucraini condividono un’eredità e un destino comuni e nega l’esistenza dell’Ucraina come nazione indipendente. Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti che l’”Operazione Militare Speciale” in corso da tre anni, secondo il presidente Putin non potrà vedere un epilogo definitivo con la mera conquista di territori nella regione ucraina del Donbass, che ad oggi conta oltre 7 milioni di sfollati, ma con una chiara e dichiarata annessione e sottomissione dell’intera Ucraina. Obiettivo strategico esplicitato con il discorso pronunciato dal presidente Putin alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco del 2007, in cui respinse l’architettura di sicurezza europea del dopo Guerra fredda. Una interpretazione della storia e l’enunciazione di una postura della Federazione Russa che i leader occidentali hanno sottovalutato, non riuscendo a comprendere che quell’intervento trasmesso in mondovisione equivaleva ad una vera e propria dichiarazione di guerra all’Occidente. Una posizione ribadita nel febbraio 2022, quando ha intimato alla Nato di ritirarsi all’interno dei confini precedenti al 1997.
La diplomazia dell’Amministrazione Trump per la pace (appeasement)
La ricerca da parte dell’Amministrazione Trump di una “pace in 24 ore” che celava una inaccettabile capitolazione dell’Ucraina, diventata poi un cessate il fuoco temporaneo tra Russia e Ucraina, sta sempre più assumendo una forma di consenso e legittimazione delle ambizioni imperialistiche di Mosca. Gli sforzi diplomatici statunitensi che si sono susseguiti a partire dall’insediamento del presidente Trump alla Casa Bianca, si sono avviati a seguito della “prima” telefonata ufficiale tra i due “vecchi amici” che ha rilegittimato il presidente russo come interlocutore affidabile degli Stati Uniti. Oggi siamo allo stallo dei colloqui di Istanbul, che hanno offerto una ulteriore conferma che il presidente Putin temporeggia e manipola i negoziati, perché non vuole la pace.
I colloqui di pace tra Washington e Mosca sono iniziati con le immediate ed unilaterali concessioni fatte dalla Casa Bianca, che possiamo riassumere con alcuni brevi ma dirompenti concetti del piano Usa:
- il ritorno ai confini precedenti al 2014 viene definito un obiettivo irrealistico, pertanto ci deve essere il riconoscimento legale del controllo da parte della Russia sulla Crimea, annessa fin dal 2014;
- Accettazione del controllo de facto delle aree occupate nei quattro oblast di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzha, Kherson;
- gli Stati Uniti non sosterranno l’adesione dell’Ucraina alla Nato come parte di una pace negoziata;
- sospensione immediata delle sanzioni economiche;
- ritiro delle Forze armate Usa dall’Europa ed alleati europei che si assumano la responsabilità della sicurezza convenzionale sul continente.
Tuttavia, nonostante queste concessioni, dichiarate ben prima di qualsiasi negoziato, unitamente all’operazione di delegittimazione e isolamento del presidente Zelensky portata avanti dall’Amministrazione Trump, la risposta del Cremlino non ha mai dato indicazione di alcuna volontà di scendere a compromessi sui suoi obiettivi fondamentali, che devono assicurare priorità alle “garanzie di sicurezza strategica” per la Russia.
Considerando le opportunità che gli si stanno presentando con il ritorno alla Casa Bianca del presidente Trump, dal punto di vista militare la Russia si è adattata a un conflitto prolungato ed una economia di guerra, con il 40% del bilancio federale destinato alla difesa e alla sicurezza. Infatti, la strategia del presidente Putin prevede tecniche di negoziazione dilatorie, aggressive, coercitive, minacciose e ingannevoli, metodo noto come negoziazione di tipo “adversarial approach”.
La Russia reintegra le perdite di veicoli blindati a un ritmo di 1.200 unità all’anno, supportata dalla produzione nazionale e dalle forniture di componenti cinesi, armi e uomini dalla Corea del Nord. Il ruolo della Cina come fornitore di tecnologie a dual-use, inclusi i microchip essenziali per i droni russi, è cresciuto del 30% nel 2024. Inoltre, il Team di monitoraggio sulla Corea del Nord costituito da 11 Paesi all’Onu, ha recentemente presentato il primo rapporto sulla “cooperazione illegale tra Mosca e Pyongyang” in violazione delle sanzioni internazionali. Un patto di mutua assistenza strategica siglato tra i presidenti Putin e Kim nel 2024, che ha portato i nordcoreani a fornire all’Armata russa 20 mila container di attrezzature belliche, compresi 9 milioni di proiettili e razzi per l’artiglieria, 100 missili balistici, 14 mila soldati. La parte più interessante del dossier riguarda la contropartita ricevuta dal regime di Kim: sistemi di difesa contraerea e per la guerra elettronica, dati per migliorare la precisione dei missili, petrolio e denaro. A tutto ciò bisogna aggiungere la fornitura alla Russia di 2.400 droni da parte dell’Iran nel 2024, secondo il rapporto del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti del febbraio 2025. Questo supporto internazionale, unitamente alle esportazioni non energetiche, trainate dagli scambi commerciali con India e Turchia, consente alla Russia di sostenere il suo complesso militare-industriale. Una resilienza logistica, tecnologica e militare che rafforza le capacità di Mosca sul campo di battaglia, mina l’efficacia delle sanzioni occidentali e permette alla Russia di gestire i tempi per un eventuale tregua o accordo di pace.
Di contro, la capacità dell’Ucraina di sostenere la resistenza è messa a dura prova dalla nuova dottrina di politica estera Usa, sia dal punto di vista militare che economico. Nonostante 75 miliardi di dollari di aiuti militari ricevuti dall’inizio dell’invasione del 2022, in queste settimane le linee difensive e le città dell’Ucraina sono sottoposte a una pressione mai raggiunta prima. Il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP), nel suo rapporto di gennaio 2025, ha evidenziato che 14,6 milioni di ucraini, ovvero il 40% della popolazione, necessitano di aiuti umanitari.
Le proposte di cessate il fuoco dell’Amministrazione Trump, tra cui concessioni territoriali e neutralità ucraina, non affrontano un altro obiettivo strategico di Mosca: indebolire e destrutturare la Nato.
La campagna di disinformazione, la guerra ibrida alla coesione dei Membri della Nato sono evidenti negli attacchi informatici, aumentati del 45% nel 2024. L’invasione russa della Georgia nel 2008, condannata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel settembre 2008, e l’annessione della Crimea nel 2014, descritte nel rapporto delle Nazioni Unite del marzo 2014, servono da precedenti per la sua strategia di conflitti ibridi sequenziali per destabilizzare il fianco orientale della Nato. L’Istituto finlandese per gli affari internazionali (FIIA), nel suo rapporto del gennaio 2025, ha sottolineato che Helsinki e le capitali baltiche considerano le azioni della Russia una minaccia diretta, con l’Estonia che ha segnalato un aumento del 20% delle provocazioni al confine con la Russia nel 2024, secondo i dati emanati dal suo Ministero della Difesa.
Comprendere il contesto storico delle ambizioni imperialistiche della Russia è fondamentale. L’analisi storica del 2023 dell’Accademia Russa delle Scienze ha ricondotto l’ideologia del presidente Putin alle politiche espansionistiche della dinastia Romanov, che nel 1914 annesse il 17% del territorio mondiale. Questa continuità è evidente nella Strategia di Sicurezza Nazionale russa del 2022, che dà priorità ai “territori storici” e rifiuta i modelli liberali occidentali. La narrazione del Cremlino, rafforzata dai media statali e rilanciata a livello globale dal suo potente network della propaganda, inquadra il conflitto ucraino come una difesa contro l’accerchiamento occidentale della Madre Russia, di gran lunga lo Stato più esteso al mondo con la sua superficie di 17.098.242 km2.
Le ipotesi avanzate dall’Amministrazione Trump, che prevedono concessioni territoriali e accordi di neutralità ucraine per soddisfare le ambizioni di Mosca, trasformando la Russia in un partner o addirittura un alleato affidabile, trascurano anche lo scenario politico interno russo e le esigenze di mantenimento del potere del presidente Putin. Il sondaggio del Levada Center del marzo 2025 (per quanto possa essere considerato attendibile un sondaggio di una popolazione che rischia anni di carcere se esprime il minimo dissenso) ha indicato che il 68% dei russi sostiene la guerra contro l’Ucraina. Un risultato frutto della repressione, della propaganda di Stato e recentemente anche della stabilità economica, con salari reali e contributi ai familiari dei militari colpiti al fronte in forte aumento nel 2024. Questo consolidamento interno, unito a un aumento del 25% della spesa per la sicurezza interna, protegge e stabilizza il potere del presidente Putin dal dissenso interno, riducendo l’influenza della pressione economica dell’Occidente.
Le implicazioni geopolitiche di un “appeasement”, cioè una pacificazione con la Russia ottenuta a prezzo di gravi concessioni, sono evidenti. Una vittoria politica russa in Ucraina incoraggerebbe ulteriori aggressioni, come temono il Ministero della Difesa Nazionale polacco e tutti i governi dei Paesi baltici ed ex sovietici, che a marzo 2025 hanno segnalato un aumento del 15% delle esercitazioni militari russe vicine ai propri confini. Inoltre, un indebolimento della Nato provocato da una riduzione delle presenza e della capacità militare statunitense dall’Europa, potrebbe ulteriormente destabilizzare la sicurezza europea ed il commercio globale, con il 12% del PIL globale legato alla sicurezza transatlantica.
L’approccio dell’amministrazione Trump, che enfatizza la diplomazia rapida, ignora tutti questi fattori chiave e gli interessi geopolitici dei propri alleati. Le pressioni statunitensi su Kiev affinché accetti un cessate il fuoco, inclusa la proposta di una zona demilitarizzata, rischiano di cedere il 20% del territorio, secondo il Ministero degli Affari Esteri ucraino. Tali concessioni, legittimerebbero e rafforzerebbero la strategia russa, ed il precedente storico degli accordi di Minsk del 2014, che l’Onu ha dichiarato come incapaci di fermare le ostilità, evidenzia la pericolosità di soluzioni di appeasement.
La tipologia di accordo che si stipulerà per fermare la guerra della Russia metterà in discussione l’ordine di sicurezza post-1945, con effetti diretti sull’Europa, con conseguenti ripercussioni economiche globali e sugli investimenti per la difesa del fianco orientale della Nato, oggi per il 65% concentrata nel contrasto alla Russia.
Senza un cambiamento politico e strategico dell’Europa che comprenda la minaccia rappresentata dalle mire imperialiste di Mosca, gli sforzi per un cessate il fuoco rimarranno inefficaci, prolungando un conflitto che è già costato oltre un milione tra vittime e feriti, secondo le stime dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, del febbraio 2025.
Risposte strategiche europee: mobilitazione della coalizione dei volenterosi
Le risposte strategiche di Regno Unito, Germania e Francia al conflitto in corso tra Russia e Ucraina, a seguito della nuova politica estera trumpiana, riflettono uno sforzo concertato per rafforzare l’architettura di sicurezza europea, in un contesto di un ormai sempre più evidente disimpegno statunitense. Il Ministero della Difesa del Regno Unito, nel suo Defence Command Paper del marzo 2025, ha stanziato 87,1 miliardi di sterline per la difesa nel 2025-26, per raggiungere l’obiettivo del 2,5% del PIL per la Nato entro il 2027. Questo bilancio finanzia anche il dispiegamento di 7.500 soldati britannici sul fianco orientale della Nato, come confermato dalla Strategic Defence Review del Regno Unito del gennaio 2025, con 2.000 truppe specificamente destinate al potenziale monitoraggio del cessate il fuoco in Ucraina.
Anche la Germania sta drasticamente potenziando il suo assetto militare. Il bilancio della Bundeswehr per il 2025, approvato dal Bundestag nel dicembre 2024, ammonta a 73,5 miliardi di euro, con un aumento del 9,8% rispetto al 2024. L’aggiornamento della politica Zeitenwende del governo tedesco del marzo 2025, sottolinea l’importanza di trasferire 35.000 soldati in Lituania entro il 2026. Una risposta diretta alle provocazioni russe, tra cui 1.200 violazioni dello spazio aereo registrate ai confini della Nato nel 2024, secondo l’Agenzia dell’Unione Europea per la Cybersecurity (ENISA).
Il contributo della Francia, delineato nella Legge di Programmazione Militare del Ministero delle Forze Armate francese del gennaio 2025, stanzia 47,2 miliardi di Euro per il 2025, di cui 10 miliardi destinati all’ammodernamento dei jet Rafale e al dispiegamento di 1.500 soldati in Romania, nell’ambito della Presenza Avanzata Rafforzata della Nato.
La coesione europea è ulteriormente dimostrata dalla strategia industriale per la difesa della Commissione europea del marzo 2025, che propone 800 miliardi di Euro in appalti congiunti entro il 2030, per ridurre la dipendenza dal supporto militare statunitense. Nell’aprile 2025, la Banca europea per gli investimenti (BEI) ha impegnato 200 miliardi di Euro per finanziare questa iniziativa, dando priorità alle tecnologie a duplice uso come i droni, che secondo l’Agenzia europea per la difesa (AED) rappresentano il 22% della spesa per la difesa dell’UE nel 2024.
Inoltre, Regno Unito, Germania e Francia hanno coordinato l’approvazione del 15° pacchetto di sanzioni dell’UE, adottato nel febbraio 2025, che prende di mira 82 entità russe e 56 persone, congelando ulteriori 45 miliardi di Euro di beni, secondo il Servizio europeo per l’azione esterna (SEAE).
Lo spettro di un’escalation
Il 1° giugno 2025, poche ore prima dei colloqui di pace di Istanbul, l’”Operazione Spider Web” ha distrutto 41 aerei strategici in quattro basi aeree fino a 4.000 km dall’Ucraina, riducendo le capacità strategiche della Russia di proiettare potenza a livello globale, la sua capacità di sferrare attacchi nucleari e la postura militare complessiva in Eurasia. Ora si attende la rappresaglia russa, annunciata anche dal presidente Trump dopo un colloquio telefonico con il suo omologo russo. Nonostante l’attacco dei droni di Kyiv abbiano colpito anche una base di sottomarini nucleari dotati di missili balistici, e la perdita di 22 navi della flotta russa del Mar Nero dall’inizio del conflitto, la Marina militare russa mantiene una elevatissima capacità operativa, che rappresenta una grave minaccia per la sicurezza marittima.
Il presidente Volodymyr Zelensky, che si è attribuito la supervisione dell’attacco, nei giorni scorsi aveva detto che “bisogna portare la guerra lì da dove era arrivata, in Russia”. Tuttavia, il Cremlino non crede che gli ucraini abbiano preparato l’Operazione Spider Web da soli. Parla di un ruolo del Regno Unito e dei paesi baltici.
L’autonomia strategica europea è una priorità
Il German Marshall Fund, nell’aprile 2025, ha evidenziato che la quasi totalità dei pianificatori strategici della difesa polacchi e baltici prevede un’escalation delle provocazioni russe nei prossimi due anni, citando 1.800 attacchi ibridi nel 2024, inclusi sabotaggi di infrastrutture critiche, secondo l’ENISA, un’avanzata che potrebbe innescare l’Articolo 5 della Nato.
Il sondaggio YouGov del Regno Unito di marzo 2025 ha mostrato un sostegno dei cittadini del 62% all’aumento della spesa per la difesa, motivato dai timori di un’aggressione russa. In Germania, il sondaggio dell’Allensbach Institute di aprile 2025 ha indicato un consenso pubblico del 55% per il dispiegamento di truppe sul fianco orientale della Nato, nonostante il 38% abbia espresso preoccupazione per i costi economici. Il sondaggio IFOP francese di febbraio 2025 ha rivelato un sostegno del 59% agli aiuti militari all’Ucraina, sebbene il 47% si sia opposto al coinvolgimento diretto delle truppe, a dimostrazione della cautela riguardo a un’escalation. Il rapporto dell’ECFR di maggio 2025 ha sottolineato che l’unità europea si basa sul bilanciamento di questi sentimenti interni con gli imperativi strategici, rilevando che il 72% dei cittadini dell’UE è favorevole al mantenimento del sostegno all’Ucraina, secondo i dati dell’Eurobarometro di gennaio 2025.
Il dislocamento di 40.000 soldati russi dalla Siria al Nord Africa, a seguito del crollo del regime di Assad nel dicembre 2024, rafforza il fronte russo nel Mediterraneo allargato. Il rapporto del febbraio 2025 dei Servizi segreti norvegesi ha rilevato un aumento del 30% dell’attività dei sommergibili russi nell’Atlantico settentrionale, che rappresentano anche una minaccia ai cavi sottomarini fondamentali per il 95% del traffico internet globale. Gli Stati baltici, secondo i Servizi segreti esteri estoni del marzo 2025, hanno subito 2.300 incidenti di confine, con un aumento del 25% rispetto al 2023, a dimostrazione dell’intenzione russa di mettere alla prova le capacità e la determinazione della Nato. Il rischio di un conflitto più ampio non è ipotetico e gli investimenti per la prontezza europea a fronteggiare una potenziale escalation sono assolutamente necessari.
La Bussola Strategica dell’UE, integrata con il Joint White Paper for European Defence Readiness 2030, firmato dalla Commissione e dall’Alto Rappresentante, pubblicato il 19 marzo 2025, prevede una forza di rapido dispiegamento di 50.000 uomini entro il 2027, con Francia e Germania che contribuiscono rispettivamente con 15.000 e 12.000 soldati, secondo l’European Defence Agency (EDA). Il Programma Global Combat Air del Regno Unito, secondo l’aggiornamento del Ministero della Difesa di aprile 2025, stanzia 5,5 miliardi di sterline per sviluppare caccia di sesta generazione con Giappone e Italia, per rafforzare la superiorità aerea.
L’interazione degli sforzi militari, economici e diplomatici sottolinea la determinazione dell’Europa a contrastare l’aggressione russa, scongiurandone al contempo l’escalation. Il fianco orientale della Nato ospita circa 140.000 soldati, con un aumento del 35% dal 2022, mentre il Ministero della Difesa Nazionale polacco ha aumentato del 20% i sistemi HIMARS, forniti dagli Stati Uniti.
Il ruolo dell’Italia
Dopo la decisione del Presidente Trump di avviare unilateralmente i negoziati con la Russia ed a seguito dello scontro nello Studio ovale con il presidente Zelensky, Francia, Regno Unito e Germania hanno preso l’iniziativa di costituire una coalizione europea per fornire all’Ucraina maggiori garanzie di sicurezza.
La priorità data dal governo Meloni alle relazioni con Washington su quelle europee, ed il particolare modo di collaborare con l’UE, hanno creato tensioni all’interno dai principali partenariati europei. Il governo italiano, pur continuando a mantenere gli attuali ottimi rapporti con Washington, dovrebbe rendere più incisivo il ruolo geopolitico dell’Italia nella coalizione dei volenterosi e conseguentemente in Europa. In tale direzione si colloca il bilaterale tra il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ed il presidente Macron, che ha ratificato il riavvicinamento tra la premier e il presidente francese. Un bilaterale richiesto dalla Francia e dettato anche dalla necessità di fare fronte comune in Europa davanti ai timori di netti smarcamenti del presidente Trump dall’Europa e dall’Alleanza Atlantica, parte di una strategia che la Casa Bianca non ha nascosto negli ultimi mesi e che potrebbe giungere al momento della verità in occasione del summit del 24 e 25 giugno all’Aja. Un summit tra Francia e Italia che speriamo rappresenti l’uscita dall’isolamento politico italiano da alcuni partenariati europei, che sicuramente rafforza il ruolo geopolitico ed economico dell’Italia in questo complicatissimo e pericoloso scenario internazionale.