Era partita male, ma ha rimontato bene e alla fine Kamala Harris è apparsa, nel complesso, più convincente di Donald Trump.
Ma questo è un giudizio che può aver tratto chi, dalla poltrona di casa e con distacco politico, ha seguito in diretta -notte fonda in Italia- il duello televisivo più atteso tra la vicepresidente democratica e l’ex presidente repubblicano in corsa per la Casa Bianca.
Ben diverso è l’esito che il faccia a faccia tra i due grandi protagonisti, divisi su tutto fuorché sull’imprevista stretta di mano su iniziativa di Kamala prima che iniziasse il “combattimento”, può aver prodotto nei rispettivi elettori. Che difficilmente cambieranno opinione, perché in realtà i loro beniamini non hanno commesso errori tali da agevolare la vittoria altrui. Confermando, anzi, ciascuno la propria e opposta posizione su economia e immigrazione, aborto e politica estera, l’America che rischia il declino (Trump) o che è tuttora terra delle opportunità (Harris).
Pur più aggressivo, com’era da aspettarsi, e con concetti disordinati e circostanze talvolta inventate dalla sua pirotecnica fantasia, l’ex presidente ha evitato di scivolare sul terreno degli insulti all’avversaria che detesta.
A sua volta, la vicepresidente ha attenuato quel suo radicalismo di sinistra che, soprattutto negli Stati Uniti, ispira le manifestazioni e fa andare in brodo di giuggiole gli intellettuali progressisti, ma non porta grandi consensi, perché allontana sia gli indecisi, sia i moderati.
Invece è proprio questo il bacino dei consensi che per il 5 novembre -due mesi di tempo-, i contendenti dovranno trovare in fretta, specie negli Stati ancora in bilico, per prendere il posto di Joe Biden.
Già, Biden, l’attuale presidente che Donald ha agitato più volte come un fantasma e dal quale Kamala s’è defilata con abilità, come se non fosse corresponsabile della politica governativa degli ultimi anni che Trump ha attaccato con forza.
Di più, la vicepresidente s’è presentata come il simbolo di un nuovo corso anche generazionale, quasi kennediano, trasformando il settantottenne Trump nell’anziano Biden della situazione. Esortando, inoltre, gli americani a seppellire il passato dei conflitti e del pessimismo attribuiti all’antagonista repubblicano per dar vita all’ottimismo, stavolta di marca obamiana, di un’America che costruisce e unisce.
Trump le ha chiesto, nell’appello finale, perché queste e altre cose, anziché dirle, non le abbia fatte, visto che è la vice di Biden.
E così si è tornati agli opposti nastri di partenza, con il repubblicano che invoca pragmatismo e interesse nazionale (assicurando che lui saprebbe far cessare la guerra di Putin), e la democratica in difesa della scelta pro Ucraina all’estero e della legalità in Patria. Con il volto imbronciato di Donald e quello con il sorriso spesso saccente di Kamala, giusto per accontentare, anche con il linguaggio del corpo, le loro tifoserie.
(Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova)