La politica italiana appare prigioniera di due miti invalidanti contrapposti: il terrorismo, dal centrodestra verso le sinistre, e il fascismo, in “direzione uguale e contraria”. Miti nel senso in cui la storia delle religioni li contrappone al rito: credenza utilizzata per immobilizzare la realtà anziché provare a comprenderla e a intervenire per cambiarla. Semplicemente, si tratta di un’esagerazione per cui un pericolo potenziale, un semplice rischio, viene assunto quale dato fondamentale del proprio comportamento.
La maggioranza ha la fissa del terrorismo. Basta che appaia una scritta siglata Br su un muro contro Giorgia Meloni per paventarlo ostentatamente: “Non ci faremo intimidire” tuonano i portavoce di Fratelli d’Italia nella solita scia di dichiarazioni sul tema del giorno. “A sinistra non prendono le distanze dal terrorismo”, avverte allarmato Daniele Capezzone dal Tempo che è appena andato a dirigere. Al refrain si uniscono anche senzatetto della politica come Tonino Di Pietro, “si comincia con le scritte e non sai come finisce”. D’altronde, basta schiacciare le palle ambigue e inopportune alzate da Francesca Albanese, memorabile il commento dopo l’assalto alla Stampa convertito in “monito ai giornalisti per tornare a fare il proprio lavoro”. A proposito: i media filogovernativi dicono che per la relatrice Onu “spunta l’ipotesi della revoca del mandato” e le manca solo questo, in effetti, per candidarsi alle prossime politiche.
Da sinistra, verso e contro destra, viaggia la longeva sceneggiata fascismo-antifascismo, ultima rappresentazione quella allestita a PLPL al paradossale motto di “meno libri”. Si è scoperto, senza reale sorpresa, che il regista è stato Mattia Tombolini, assistente parlamentare dell’eurodeputata Salis e che il resto delle sinistre si è, come al solito, accodato a un condannato per diffamazione che sui social condivide contenuti violenti e provocatori. Del resto, è la crisi degli intellettuali, non solo progressisti, cui il tema “fascino della dittatura” piace tanto, nei giorni scorsi ci si sono dedicati da Marc Lazar al Censis (tra l’altro sono i 90 anni di Woody Allen, che diresse il “Dittatore dello Stato libero di Bananas”).
Il mito invalidante colpisce un avversario tattico e manca l’obiettivo strategico. Accade su qualunque tema: Russia aggressore, Ucraina corrotta, Israele genocida e Palestina terrorista, per esempio. Basta focalizzare un aspetto negativo di ciascuna parte in causa per ostacolare il fine della fine (della guerra) che dovrebbe accomunare. E comunque, quanto la politica sia prigioniera di miti invalidanti ce lo conferma la nostalgia canaglia da cui è affetta, vedi peana generalizzato per la prima Repubblica, ripetuto ieri per Arnaldo Forlani, o l’incontro con Fini ad Atreju e il rimpianto per il duello con Rutelli, quando “la politica scoprì il bipolarismo”. Ah, bei tempi…



