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Terapie intensive: le pagelle del Sole alle regioni, i ritardi del governo e i commenti degli esperti

Solo Veneto, Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta sono pronte ad affrontare la seconda ondata di Covid, emerge da un'inchiesta del Sole 24 Ore sulle terapie intensive. Situazione e prospettive nelle altre regioni, i ritardi del governo e di Arcuri, il commento degli anestesisti

Solo Veneto, Friuli Venezia Giulia e Valle d’Aosta sono pronte ad affrontare la seconda ondata con una dote di letti in terapia intensiva che supera i 14 posti per 100mila abitanti, una soglia di sicurezza fissata dal Governo a maggio scorso quando stanziò 1,3 miliardi con il dl rilancio per potenziare questi reparti necessari ai malati Covid più gravi.

E’ quanto si evince da un’inchiesta del quotidiano il Sole 24 Ore realizzata dai giornalisti Marzio Bartoloni e Sara Monaci.

Le altre Regioni sono indietro, aggiunge il Sole: “Tra queste, alcune situazioni sono più a rischio, con la Campania che al momento ha la situazione più preoccupante (solo 7,3 letti per 100mila abitanti), seguita da Umbria (7,9) e Marche (8,3). Numeri che sono la metà di Veneto (16,8) Valle d’Aosta (15,9) e Friuli (14,4). Lazio, Emilia o Toscana hanno situazioni migliori (12,7 , 11,5 e 11,1), mentre la Lombardia è comunque avanti nella riorganizzazione delle terapie intensive considerando l’esperienza della scorsa primavera, quando è riuscita in poco tempo ad aprire fino a 1.800 posti letto spinta dall’emergenza”.

Questa dunque è la fotografia nelle rianimazioni in attesa che siano completati i piani regionali a cui si è lavorato l’estate scorsa con il commissario Domenico Arcuri per creare 3.553 posti aggiuntivi.

IL PUNTO DEL SOLE 24 ORE SULLE TERAPIE INTENSIVE

Proprio ieri – ricorda il quotidiano diretto da Fabio Tamburini – si è chiuso il bando della struttura commissariale per le imprese che dovranno iniziare i lavori a fine ottobre: “Nel frattempo le Regioni hanno giù aggiunto complessivamente 1.279 letti stabili ai 5.179 iniziali e così la dote attuale, secondo il Governo, è di 6.458 posti. Ma con differenze regionali significative anche a causa dei ritardi accumulati (si veda il Sole 24 ore dell’8 agosto): i piani regionali erano attesi a fine giugno e invece sono stati bollinati solo a fine luglio. Poi c’è stata l’interlocuzione non facile con il commissario per decidere chi doveva fare i lavori e solo a fine settembre si è deciso: 10 Regioni sfrutteranno le regìa di Arcuri, le altre hanno chiesto di fare da sole ottenendo la delega”.

L’ALLARME DEGLI ANESTESISTI

Il piano di implementazione delle terapie intensive italiane comporterà tempi “molto lunghi” per la sua attuazione. E’ questa l’opinione di Alessandro Vergallo, presidente nazionale di Aaroi-Emac (Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri italiani-emergenza area critica), intervenendo alla trasmissione “L’imprenditore e gli altri” su Cusano Italia Tv. “Avevamo poco più di 5.000 posti in fase pre-pandemica, quelli che sono stati attivati sono stati effettivamente utilizzati nelle regioni più colpite – spiega Vergallo – Ci risulta siano stati implementati anche nel Centro-Sud, ma al Sud in particolare non abbiamo contezza che ci sia stata un’effettiva implementazione proporzionalmente corrispondente alla densità di popolazione. L’obiettivo del Governo era arrivare ad 8.700 posti ai quali dovrebbero essere aggiunti circa 4.000 di sub-intensiva che all’occorrenza possono essere trasformati, però stiamo parlando di un piano sulla carta che comporterà tempi molto lunghi”.

FOCUS MILANO

Che succede nel capoluogo della Lombardia? “Milano, tra le città lombarde, oggi ha i guai maggiori. Sei mesi fa la metropoli è stata risparmiata da quello che è accaduto a Bergamo. Ma quello scenario riportato qui sarebbe un gravissimo problema sanitario perché allora per curare i malati gravi Covid (a Bergamo, Brescia e Lodi) abbiamo usato tutte le terapie intensive regionali”. Così Antonio Pesenti, direttore del dipartimento di rianimazione del Policlinico e coordinatore delle terapie intensive nell’Unità di crisi della Regione Lombardia per l’emergenza coronavirus, sul Corriere della sera. “Al momento non conosciamo il reale numero degli infetti, e questi dati non ce li può dare nessuno, nonostante tracciamenti e tamponi – osserva – si tratta di stime; le uniche armi efficaci sono preventive: distanziamento sociale e mascherina. Se verranno prese le decisioni giuste siamo ancora in grado di contenere la curva dei contagi”.

LE PAROLE DI PESENTI

La priorità del Comitato scientifico lombardo dovrebbe essere di “individuare e trattare il maggior numero possibile di focolai che si concentrano ora nelle famiglie; in più dobbiamo evitare in ogni modo di sovraccaricare gli ospedali. Già oggi i pronto soccorso del milanese sono in affanno: non appena arriva un malato Covid i protocolli bloccano di fatto la normale attività. Sono necessarie scelte tempestive per non ritrovarci in difficoltà molto peggiori nel pieno dell’inverno”. “Parlo da cittadino – dice Pesenti – i giovani dovrebbero rinunciare subito, per due o tre settimane, all’happy hour. Adesso si chiederebbe loro un sacrificio modesto. Se Milano dovesse vivere la situazione di marzo ed aprile la gestione sanitaria sarebbe molto complessa”.

IL CASO LOMBARDIA

Sulla Lombardia, il Sole chiosa: “Adesso conta meno di dieci letti (9,8) per 100mila abitanti, per un totale di 983 posti attualmente disponibili, 120 in più rispetto alla situazione pre-coronavirus. Il target individuato per questo territorio è di 1.446 posti complessivi, ma ad oggi il sistema sanitario regionale dispone già di circa 800 attrezzature aggiuntive (respiratori, monitor ecc) per poter intervenire in rapidità (durante i mesi del lockdown si è arrivati ad un fabbisogno di 1.800 posti). Fatto ovviamente che la Lombardia vorrebbe evitare, perché arrivare a questi numeri significherebbe sacrificare l’attività ordinaria. Al momento il 30% dei posti sono liberi, considerando non solo i malati Covid”.

I RISCHI

Il rischio ora – sottolinea l’inchiesta del quotidiano di Confindustria nell’articolo di Bartoloni e Monaci è che sia soprattutto il Centro-Sud, risparmiato dallo tsunami della primavera scorsa, a scontare un ritardo che potrebbe costare caro rispetto a chi dopo la prima ondata si è già fortificato: “I numeri delle terapie intensive sono infatti in costante crescita. Due mesi fa, ad agosto, erano 53. Dopo 30 giorni, il 12 settembre, sono saliti a 182. Ieri le terapie intensive hanno raggiunto quota 452 (+32 in un giorno) con 39 nuovi morti a fronte di un calo dei contagi (+4.619) dovuto soprattutto a un crollo dei tamponi (solo 85mila contro una media dei giorni scorsi sopra i 110mila). Insomma la pressione sugli ospedali sale anche se i 4mila pazienti in terapia intensiva di fine marzo sono ancora lontani.”

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