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Cosa succede tra Usa, India, Giappone, Cina e Russia. Parla Sisci

Come si sta evolvendo il rapporto tra l'India e gli Stati Uniti e cosa potrebbe cambiare per il Giappone, la Cina e la Russia. Conversazione di Marco Mayer con il sinologo Francesco Sisci.

Il primo ministro indiano Narendra Modi si sarebbe rifiutato ben cinque volte di rispondere alle telefonate di Donald Trump. Perché?

Innanzitutto, non sappiamo se sia vero: i diplomatici indiani negano. Il problema sembra essere stato l’aperta intromissione americana nei rapporti bilaterali India-Pakistan. L’India pensa che nessuno debba apertamente intromettersi in questo rapporto che considera esistenziale. Se Delhi dichiarasse pubblicamente di non sapere risolvere i problemi bilaterali, dimostrerebbe quasi di non essere in grado di badare alla sua indipendenza. Ma al di là di ogni cosa, le voci e gli umori a Delhi e Washington ci dicono che qualcosa è andato molto storto.

Quali sono i motivi degli attriti?

Gli Usa hanno imposto all’India tariffe peggiori che alla Cina. Funzionari indiani mostrano il malumore del loro paese per l’America e l’amministrazione Trump. L’India ha 1,45 miliardi di abitanti; con il Bangladesh, paese a cui è molto legato, ne ha 1,6 miliardi. Si tratta del blocco più popoloso del mondo e uno dei più dinamici. Delhi ha una alleanza con l’America, il Quad, ha firmato accordi di libero scambio con l’Unione europea e con il Regno Unito. New Delhi ritiene di dover essere trattata dagli Usa come paese amico con dazi di livello europeo, intorno al 15%. C’è il problema dell’acquisto e la vendita del petrolio russo, ma l’India non è l’unico paese che lo fa.

Che cosa imputa l’India agli Stati Uniti?

L’India, giusto o sbagliato che sia, si sente umiliata e offesa dalla “prepotenza” americana. Questa sensazione ha riacceso mille meccanismi storici. L’India sente ancora la storia del colonialismo inglese. Nella guerra fredda era rimasta non allineata, ma con un rapporto molto forte con la Russia. Il premier Narendra Modi in due decenni ha progressivamente avvicinato l’India all’America, ma le basi dell’alleanza sono diverse che con altri paesi. L’India si proclama orgogliosamente second to none, seconda a nessuno.

Ma i rapporti fra Modi e Trump non erano buoni?

Modi aveva abbracciato fisicamente e intellettualmente Trump. La storia dei dazi e le trattative andate a vuoto hanno aperto una frattura nel rapporto. L’India a questo punto ha cominciato a guardare verso la Cina per compensare le pressioni americane. L’evento potrebbe risultare geopoliticamente gigantesco. Si configura un blocco Russia-India-Cina che si porta dietro poi altri paesi (Bangladesh, gli Stati dell’ Asia centrale). È una prospettiva non c’era nemmeno durante la guerra fredda, perché l’India era non allineata e la Cina presto, dagli anni ’60, traballava nel suo rapporto con l’Urss e poi si schierò con gli USA dagli anni ‘ 70 in poi. Diversamente da allora, poi, l’area asiatica è quella economicamente più dinamica del mondo.

Perché l’India si lega alla Cina?

L’India evidentemente pensa: “Con la Cina abbiamo fratture, ma Pechino è consistente e coerente, sappiamo come muoverci e come pianificare. L’America cambia troppo e troppo spesso e velocemente, non ci si può fare affidamento”. Cioè: questa crepa con gli Usa non sappiamo a cosa porta, ma si è aperto – temo – un possibile scenario inquietante per gli Usa e anche per tutti gli alleati degli americani. È una fase di grande incertezza. Certo, c’è l’elemento anche geografico. Evidentemente, dopo il breve scontro di confine tra India e Pakistan, l’America ha scelto di migliorare i rapporti con il Pakistan che le dà accesso territoriale verso l’Asia centrale, come era successo durante la guerra fredda. L’ Asia centrale rimane giustamente un punto dolente nello spazio politico anche mentale dell’America. Ma il Pakistan ha dimostrato per decenni di essere uno stato molto meno solido e molto più ambiguo dell’India. Scegliere oggi il Pakistan rispetto all’India aggiunge sale sulle ferite dell’insulto percepito in India dall’America. Di certo, questa crepa nel breve periodo è una sponda inattesa per la Russia che le da uno spazio politico in più nella trattativa sull’Ucraina.

Quali saranno le conseguenze?

La storia delle cinque telefonate di Trump, d’altro canto, dimostra anche che Trump pare si sia reso conto di avere commesso un errore, e quindi si sono messe in movimento dinamiche in America diverse. La storia, riportata oggi dal FT, di un aumento delle collaborazioni tecnologiche e industriali (quindi militari) tra Usa e alleati dimostra che al di là di certi errori, l’America sembra volere raddrizzare la rotta. Non sappiamo se, come e quando avverrà. Ma di certo la storia non è finita o chiusa. Anzi. La storia dell’America è questa: grandi errori e grandi correzioni. Forse queste telefonate ci dicono che Trump sta ripensando tante cose.

Cosa ti aspetti dall’incontro di domani tra Modi a Tokyo con Shigeru Ishiba?

Il ruolo del Giappone in questa nuova complessa dinamica dell’India con gli Stati Uniti è cruciale: il Giappone è caposaldo dell’alleanza americana in Asia, ma è anche il paese nella regione con rapporti più forti con l’India.

Come sono i rapporti fra India e Giappone?

I rapporti con l’India del Giappone vanno indietro di quasi un secolo, quando i nazionalisti anti-colonialisti indiani trovarono una sponda in Giappone nella loro lotta contro il dominio inglese. Allora il sogno imperiale giapponese era “l’Asia agli asiatici”, e quindi si sposava con l’ambizione nazionalista indiana di espellere gli inglesi dal subcontinente. Modi è il figlio diretto di quella storia antica. Quindi il rapporto tra Delhi e Tokyo è speciale. Ci sono poi accordi delicati e importanti di scambio di intelligence tra Giappone, India e Vietnam. Il Giappone poi è estremamente preoccupato della Cina, in generale e in particolare delle mire cinesi su Taiwan.

L’incontro tra Modi e Ishiba diventa quindi un doppio segnale, agli Stati Uniti e alla Cina. Ed è un segnale di entrambi i paesi ad entrambi gli interlocutori. Essi dicono alla Cina che c’è in atto un rapporto comunque forte di contenimento di Pechino, che crepe nelle relazioni fra Stati Uniti e India o anche Giappone non significano poi che India e Giappone si piegheranno supinamente alle pretese cinesi.

E l’America che fa?

C’è un segnale anche all’America che questi grandi paesi asiatici possono trovare uno spazio per vivere politicamente ed economicamente anche fuori dall’abbraccio americano. È un mondo, in altre parole, che non è diviso in due ma che ha sempre più attori, sempre più forti e dinamici, che cercano un loro spazio al di là dei comandi americani. L’America ha vantaggi oggi larghissimi militari e tecnologici, ma se questi non vengono nutriti a 360 gradi, il coordinamento politico di paesi non avversari ma potenzialmente concorrenti, da soli o insieme, può erodere questi vantaggi.

Ciò indica l’America deve recuperare un rapporto forte di fiducia reciproca con gli alleati in Asia, dove le preoccupazioni per la minaccia cinese già da molti anni hanno acceso dinamiche di difesa che invece in Europa non c’erano verso la Russia. Altrimenti Washington rischia di perdere pezzi della sua antica struttura di alleanze. Le sue alleanze diventano strutturalmente più deboli, non solo perché come nella Nato i paesi membri non sanno in che misura contare sull’America, ma anche perché l’America potrebbe non sapere in che misura contare sugli alleati. Il problema delle alleanze americane è vecchio e spinoso sia per l’America che per gli alleati.

Di certo, però oggi il rapporto Usa-India-Giappone sta imprimendo nuove dinamiche alla relazione.

Giappone, Corea del Sud, India e Australia si sono avvicinate per “merito” di Trump?

Si sono avvicinate le une agli altri sia per merito di Trump e perché l’America appare confusa, dal loro punto di vista, nel proprio rapporto con la Cina. Non è chiaro se l’America domani farà un patto con Pechino e svenderà a Pechino i suoi alleati nella regione.

In questo contesto confuso, questi paesi stanno cercando alternative che nominalmente prendono le misure insieme verso la Cina, ma di fatto si allontanano anche dagli Stati Uniti. Questo rischia di creare un orizzonte in cui l’America perde pezzi del suo sistema, base di tutto il mondo, come lo abbiamo conosciuto finora e per gli ultimi quarant’anni. E l’America stessa come paese rischia di pagarne il prezzo. Trump ha ragione a pensare che il sistema di alleanze americano è rotto e non funziona, e che quindi va aggiustato. Ma è come quando i vecchi televisori a transistor non funzionavano. Prenderli a pugni certe volte riportava una immagine per qualche secondo, ma a lungo termine rompeva definitivamente l’apparecchio. Ci vogliono dei tecnici che sappiano bene dove e come mettere le mani e che tipo di immagine riportare: sennò lo schermo si rompe per sempre, e a quel punto bisogna comprare qualcosa di nuovo.

Inoltre, bisogna sempre avere in mente il paradosso del potere: esso è fatto appunto di potenzialità, che si esauriscono progressivamente una volta utilizzate. Il potere, quindi, quando è usato deve essere poi nutrito, altrimenti si resta senza. Cioè meno si esercita potere più se ne ha, e viceversa. Da una parte, però, bisogna usarlo per dimostrare che c’è; dall’altra bisogna accrescerlo e nutrirlo. Quello che vediamo oggi è un uso esteso di potere americano, ma questo rischia di “esaurire le scorte” di potere senza aumentare le “scorte” fuori. E poi che si fa? Che fa l’America?

La Cina a cosa punta in questa fase?

Credo che le mire cinesi oggi, dal suo punto di vista, sono giustamente molto modeste, e per questo estremamente ambiziose. Sono modeste perché puntano semplicemente a inserirsi nelle crepe lasciate aperte dagli Usa. Se la Cina cercherà di inserirsi prepotentemente in queste crepe, per esempio, tra Usa e India, ci potrebbe essere una reazione di rigetto.

La cosa è accaduta con l’Europa. La Cina ha tentato di inserirsi nelle fratture atlantiche, lo ha fatto senza tatto e con una certa brutalità di modi. Il risultato è stato un riavvicinamento repentino tra Europa e Stati Uniti. Oggi con l’India, alla luce del viaggio del ministro degli esteri cinese Wang Yi a Delhi, l’andamento sembra più prudente, anche perché Pechino sa e vede che dietro Delhi non c’è solo Washington, ma c’è anche Tokyo.

Detto questo, il nuovo rapporto tra Cina e India è fragile. Ha già subito due grandi rotture. Nel 1962 c’è stata una guerra di confine, dopo un rapporto di quasi fratellanza nel decennio precedente, e dalla fine degli anni ’90 l’India aveva cercato un rapporto con la Cina per essere invece poi respinta. Quindi, Delhi e Pechino cercano un nuovo rapporto bilaterale ma l’orizzonte della loro relazione è molto confusa. Non è un incontro casuale ma nemmeno un appuntamento per un matrimonio, né oggi e forse nemmeno in un prossimo futuro.

Questo non significa che non potrebbe maturare un divorzio con gli Stati Uniti proprio alla luce di questo incontro. Oppure, alla luce di questo incontro gli Stati Uniti trovano il modo di riaggiustare la relazione con l’India. Naturalmente questo riaggiustamento darebbe più voce all’India ma anche al Giappone e a tutti gli alleati asiatici dell’America.

Senza la Cina, la Russia avrebbe già perso la guerra in Ucraina. Il supporto di Pechino resterà lo stesso per un lungo periodo?

Non è chiaro: la Cina si muove con grande prudenza tattica. Tale prudenza tattica sembra aumentata nell’ultimo anno o due. Quindi, secondo me la Cina guarderà a cosa gli Stati Uniti faranno e anche a cosa farà l’India. In questo caso c’è il Giappone, ugualmente molto preoccupato della nuova aggressività russa. Tokyo non ha mai firmato un trattato di pace con Mosca dopo la fine della Seconda guerra mondiale.

Pensi che Vladimir Putin abbia rotto il suo isolamento?

Per Putin la vicenda indiana è un grande successo, ed è un grande successo arrivato senza uno sforzo o una strategia specifica della Russia verso l’India. Questo potrebbe dimostrare alla Russia che la sua strategia di lungo termine per l’Ucraina dovrebbe essere quella di aspettare gli errori dell’America. Questi errori sono politici e frutto di dinamiche interne americane, non di pressioni specifiche e mirate russe. Ma l’orizzonte di una confusione americana strategica a questo punto potrebbe indurre Putin a non cercare alcuna pace, anzi ad allungare i tempi della guerra, e magari aprire altri fronti sempre puntando sulla confusione americana.

Quello che ad alcuni americani sembra un vantaggio strategico – l’imprevedibilità del presidente Trump -, da altri paesi può essere percepito come una debolezza strategica Usa: confusione che genera confusione soprattutto tra gli alleati americani. Il caso indiano è un esempio, ma in misura minore e sotterranea questo problema si trova con tutti gli alleati americani in Europa o in Asia o in altre parti del mondo. Quindi Putin potrebbe semplicemente cercare di aspettare e sfruttare la confusione generata dalla nuova imprevedibilità strategica di Trump. Anche qui, forse, l’America dovrebbe ripensare un po’ di cose.

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