L’Afghanistan è caduto, i talebani hanno conquistato la capitale Kabul e da lì – dove tengono conferenze stampa con l’obiettivo di rendersi “presentabili” agli occhi del resto del mondo – hanno assunto il comando del paese.
Anche se il tentativo dei talebani di mostrarsi moderati e inclusivi dovesse fallire, la comunità internazionale potrebbe comunque non disporre dei mezzi necessari a esercitare pressione sul regime. Lo ha detto in un’intervista a Repubblica Ahmed Rashid, giornalista e storico pakistano, autore di Caos Asia (2008).
RASHID: I TALEBANI SONO ECONOMICAMENTE INDIPENDENTI
“I talebani”, ha spiegato Rashid, “sono economicamente indipendenti: hanno guadagnato milioni di dollari grazie al commercio di oppio, allo sfruttamento delle miniere di minerali e alle tasse imposte sulla coltivazione di beni alimentari e oppio. Non hanno bisogno di soldi che vengono dal resto del mondo per sopravvivere”.
I RISCHI DI UNA CRISI UMANITARIA E MIGRATORIA
La popolazione afghana, al contrario, “ha bisogno di cibo, strutture, medicinali: tutte cose finora in buona parte fornite dalle grandi organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite e da organizzazioni non governative”, nota lo storico. “Ora queste organizzazioni non potranno né vorranno appoggiarsi ai talebani per la distribuzione di aiuti e smetteranno di operare: chi si fiderebbe dei talebani per far passare aiuti umanitari?”. Per questo motivo, Rashid prevede che l’instabilità e la repressione talebana innescheranno una “gigantesca crisi umanitaria” e migratoria.
LE FINANZE DEI TALEBANI
I talebani, oggi, sono circa centomila. Secondo le stime – avere informazioni ufficiali e precise è ovviamente impossibile – riportate dalla BBC nel 2018, le finanze annuali dei talebani dal 2011 in poi ammontavano a 400 milioni di dollari, ma erano cresciute fino a 1,5 miliardi negli anni vicini alla data di pubblicazione dell’articolo.
IL RUOLO DELL’OPPIO
Una delle principali fonti di finanziamento dei talebani, secondo un rapporto del 2012 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, è la cosiddetta “economia dell’oppio”, cioè tutti quei processi che ruotano attorno a questa droga, dalla coltivazione del papavero alla sua lavorazione al narcotraffico.
L’Afghanistan è il principale fornitore di oppio al mondo: vale circa il 90 per cento della produzione globale. Si stima che nel biennio 2011-2012 i talebani abbiano guadagnano dall’industria dell’oppio circa 100 milioni di dollari. È molto meno, tuttavia, del valore annuo dello stupefacente, stimato in 3,6-4 miliardi di dollari.
Il traffico di oppio, dunque, è probabilmente una fonte di finanziamento importante per i talebani che operano nelle province afghane dove si coltivano i “papaveri sonnifero”, ovvero quelle di Helmand, Kandahar e Uruzgan: qui i coltivatori sono sottoposti a un regime di tassazione del 10 per cento, ma ci sono tasse anche sui laboratori che trasformano l’oppio in eroina e sui trafficanti.
Secondo le forze armate americane, il 60 per cento dei finanziamenti dei talebani arriva dalla droga: è per questo che negli anni scorsi gli Stati Uniti si sono concentrati sulla distruzione, tramite bombardamenti, dei laboratori, che si concentrano nella provincia di Helmand.
L’oppio, comunque, non basta a sostenere i costi complessivi delle attività del gruppo.
LE TASSE
Oltre al narcotraffico, i talebani si finanziano con una più generale riscossione delle tasse nei territori che amministrano. Ai tempi del rapporto delle Nazioni Unite, il gruppo impone una tassa del 10 per cento sui raccolti e una del 2,5 per cento sulle ricchezze della popolazione.
ACQUA, ELETTRICITÀ, RETI TELEFONICHE
In alcune zone i talebani pretendevano dai proprietari di attività commerciali il pagamento di una tassa del 10 per cento. Tassavano i servizi pubblici come l’acqua o l’elettricità, pur non controllandone direttamente le reti di fornitura, e anche le aziende di telecomunicazioni e di telefonia.
Nel 2018 la società elettrica dell’Afghanistan disse alla BBC che i talebani raccoglievano oltre 2 milioni di dollari l’anno solo attraverso le imposte sull’elettricità in varie parti del paese.
L’ESTRAZIONE MINERARIA
Il sottosuolo afghano è ricco di risorse minerarie e fossili, dal carbone al litio al rame, oltre che di metalli e pietre preziose (oro, lapislazzuli) e di marmo. Si stima che l’industria mineraria afghana valga almeno 1 miliardo di dollari, ma è in gran parte sottosviluppata per via dell’instabilità del paese che non permette lo svolgimento delle operazioni di sfruttamento.
I talebani hanno assunto il controllo di siti minerari ed estorcono denaro: un rapporto del 2014 delle Nazioni Unite sosteneva che il gruppo raccogliesse più di 10 milioni all’anno da una ventina di attività minerarie illegali nella provincia di Helmand. Nel 2018 la BBC stimava che i talebani incassassero oltre 50 milioni l’anno dallo sfruttamento minerario in tutte le zone dell’Afghanistan sotto il loro controllo.
I FINANZIAMENTI STRANIERI
I funzionari statunitensi hanno più volte accusato i governi di Pakistan, Iran e Russia – questi negano – di offrire aiuti finanziari ai talebani in ottica anti-americana. Si pensa tuttavia che i singoli maggiori contribuenti del gruppo siano cittadini privati residenti in Pakistan, in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti: tutti questi paesi avevano sostenuto il precedente emirato talebano del mullah Omar, rovesciato nel 2001 dall’intervento militare degli Stati Uniti.
Misurare l’entità esatta di questi flussi di denaro è impossibile. Alcuni studi parlano di 500 milioni all’anno; la CIA nel 2008 li stimò in 106 milioni annui, provenienti soprattutto dai paesi del Golfo.