Le illusioni – temo – che ci stiamo facendo in molti in Occidente sulla possibilità che Putin possa fermarsi con le buone o le cattive, spinto persino dall’interno della stessa Russia, sulla strada predatrice imboccata contro l’Ucraina mi sono parse allarmanti confrontando due testi o due autori, come preferite, di una certa competenza ma di convinzioni opposte.
Uno è l’ex ministro Giulio Tremonti, che ha scritto sul Corriere della Sera: “Ciò che Putin teme non è tanto o solo il modello democratico europeo, quanto piuttosto il nostro modello civile, lo stile di vita europeo, teme il rischio della graduale contaminazione di tutto questo con il suo mondo, Putin non teme l’atomica della Nato, teme la “rete”, teme la diffusione in Russia delle libertà postmoderne, teme costumi e cose che vanno dall’happy hour al metaverso”.
L’uscita del patriarca di Mosca contro l’occidentalizzazione peccaminosa della Russia,, al netto delle divisioni emerse anche all’interno di quel clero, è sembrata confermare l’analisi di Tremonti. E con essa la speranza che quella di Putin possa essere una battaglia perduta prima o poi per l’inevitabilità di un’evoluzione dei costumi, quando davvero essa si è avviata e radicata nella società.
Eppure sullo stesso Corriere della Sera un russo ormai più che d’’adozione come può considerarsi il nipote e omonimo di Antonio Gramsci, insegnante di musica e per niente nostalgico del sovietismo, ha detto a Marco Imarisio, che ha avuto la curiosità di intervistarlo, che “il mondo”, addirittura, sbaglia a “guardare alla Russia attraverso la lente delle sue due grandi città”, presumo Mosca e San Pietroburgo. “E allora -ha detto- si fanno grandi teorie sulla nostra occidentalizzazione. Ma esiste una grande differenza fra il livello di vita delle metropoli russe e le loro periferie”. Che temo Gramsci conosca un po’ meglio di Tremonti e di tutti quelli ai quali è capitato generalmente di andare in Russia anche dopo la caduta del comunismo per turismo o affari.
“Chi vive altrove -ha raccontato Gramsci- considera i cittadini come piccoli borghesi che non producono nulla. E in parte ha ragione. Mosca può sembrare una capitale abitata da persone che si divertono e fanno affari, dedite alla finanza e al terziario, come a Londra o a Milano. Basta spostarsi di cento chilometri appena ed è tutta un’altra storia. La Russia profonda è tutt’altro che omologata all’Occidente. E quindi non ne ha tutto questo desiderio. L’isolamento fa più paura agli “occidentali”, o giovani russi abituati a viaggiare. Gli altri, quelli come me che son cresciuti in epoca sovietica, sono già immunizzati”.
A conferma di quest’analisi o esperienza di vita si è appreso proprio in questi giorni che solo il 17 per cento della popolazione russa dispone di un passaporto per andare all’estero. Questa temo, e ripeto, sia la forza terribile dell’ostinazione di Putin, pur alle prese con tanta solidarietà internazionale per il “topo” Zelensky in trappola nella sua Ucraina. O con una compagna -parlo sempre di Putin- che secondo il gossip internazionale se ne sta comodamente con i quattro figli nella Svizzera ad attendere l’esito della partita.