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Storytelling Guerra

Strategie e differenze nello storytelling della guerra tra Zelensky e Putin

Conversazione con Andrea Fontana, padre italiano dello Storytelling, su manipolazione, infowar e impatto della comunicazione sui processi decisionali

 

Manipolazione, infowar e più in generale impatto della comunicazione sui processi decisionali. Ne parliamo con Andrea Fontana, sociologo della comunicazione, direttore didattico del Master Marketing Utilities & Storytelling Techniques presso l’Università degli Studi di Pavia e presidente di Storyfactory.

La comunicazione è un elemento centrale della Globalizzazione. Con riferimento al recente conflitto in Ucraina, come legge la divaricazione delle modalità comunicative tra i due protagonisti: l’uno (Zelenskij) che parla all’Occidente e l’altro (Putin) al resto del mondo?

La divaricazione è una scelta mirata per rivolgersi a pubblici diversi, visto che esiste ormai una polarizzazione estrema delle opinioni pubbliche nazionalità e mondiali.

Zelenskij sembra recitare la parte dell’“influencer”: usa metodi, strumenti e look molto “social”, fa dei road-show per influenzare le opinioni pubbliche occidentali: è un puro “soggetto culturale” dell’Occidente. Piace al mondo dell’Ovest e si pone come giovane leader in una “narrazione del riscatto” verso l’invasione russa.

Putin appare invece interpretare la parte del classico “opinion maker”: usa tendenzialmente la TV, con video-messaggi molto mirati, si presenta in modo istituzionale: giacca e cravatta, parla a “opinioni pubbliche” russe e in senso lato a Paesi vicini-alleati, in una “narrazione di liberazione” dallo strapotere globalista. Ognuno ha la sua verità che deve vincere sull’altra.

Putin, nel lanciare la sua “Operazione Speciale”, che assume anche i contorni di una vera e propria crociata antiglobalista, sceglie una serie di slogan sintetizzati nell’uso della “Z” che finisce per diventare una modalità espressiva postmoderna. Qual è il suo parere su questa dinamica?

Ogni azione, soprattutto se incide e taglia la Storia ha bisogno di un racconto testuale e visivo che ne giustifichi la portata. Ogni gesto – ancor più se geopolitico e militare – chiama con sé una narrazione simbolica che possa dare un “regime di verità”. Un sistema di senso che sappia rispondere a domande apicali come: “Chi siamo noi che facciamo questo?”, “Perché stiamo facendo questo?”, “Quale destino avremo nel fare questo?”.

Per cui la Z, ma non solo tale lettera, diventa il “set simbolico” di un “regime di verità” in cui riconoscersi in modo emotivo ed immediato. Se andiamo a leggere quello che l’altra parte del mondo dice e racconta, la parte non occidentale, vediamo che al “chi siamo noi” si afferma: la nuova umanità non occidentalizzata; al “perché stiamo facendo questo?” si risponde: per avere un mondo multi-polare con più punti di vista; al “quale destino avremo?” si dichiara: combattere il nuovo ordine mondiale atlantista e vincere. Quasi il contrappunto delle risposte occidentali: ognuno appunto con il suo “regime di verità”.

Così, la guerra cinetica è anche una guerra narrativa: di valori, parole e simboli. E sarebbe il caso di provare ad abbassare il livello dello scontro, iniziando proprio dalle battle of narrative.

A latere della Globalizzazione economica si è sviluppata una Globalizzazione culturale, una sorta di peculiare “stato della mente”. Questa dimensione appare come il culmine di un percorso di emancipazione dell’essere umano. Emancipazione da ogni limitazione o determinazione: identità culturale, geografica e persino etnica o di genere.

È d’accordo con questa visione?

Che la globalizzazione sia un mindset lo sappiamo da anni. Forse di più: è stato un vero e proprio ambiente esistenziale e valoriale in cui siamo cresciuti. Per tornare a quello che dicevamo prima è stato un regime di verità. Dalla caduta del Muro di Berlino, la globalizzazione, guidata dall’Occidente, è stato il mantra delle ultime due generazioni politiche, sociali e imprenditoriali. Essere globalisti voleva dire e vuol dire credere in alcuni valori, come: illiberismo economico, il progressismo sociale, l’autodeterminazione individuale (con l’emancipazione dalle limitazioni), l’interdipendenza logistica delle risorse e dei Sistemi-Nazione, la consapevolezza e l’azione comune verso problemi generalizzati, per esempio: ambiente, energia, demografie, risorse, etc.

Valori e comportamenti condivisibili che però – negli anni – hanno portato con sé ombre importanti: sfruttamento spinto di società, individui e riserve globali, sorveglianza estrema, controllo diffuso, violenza fisica e simbolica. In questo senso è come se l’Occidente spingendo la globalizzazione nel mondo abbia “esportato” anche la sua parte più tenebrosa, dal “cuore più nero” che oggi non può più essere mitigata o nascosta. E sembra di osservare che l’Occidente – soprattutto Europeo e anglo-americano – non voglia vedere questo “doppio oscuro”, mentre il resto del mondo non sia più disposto a tollerare questa sotto-natura prevaricatoria. Da un simile punto di vista, la globalizzazione – come sistema di valori-comportamenti – è sotto scacco a livello planetario. La pandemia, i reali problemi ambientali, le povertà diffuse, le crisi sociali ricorrenti, i sentimenti anti-sistemici, e non ultimo la guerra in Ucraina, che deriva da tensioni geo-politiche irrisolte, sta mettendo in discussione tutto alla ricerca di un nuovo regime di verità. E qui bisognerà vedere le risposte delle “Élite politiche” occidentali: che in questo momento hanno un grande potere di responsabilità. Saranno all’altezza oppure no?

Quale sarà il ruolo del Metaverso nel contesto della (non)globalizzazione e dell’economia della scarsità?

Rispetto alla globalizzazione siamo di fronte a un bivio: affermazione definitiva o fine del sogno. In questo senso, credo che il Metaverso sia una delle questioni all’interno di questa dinamica. Per cui: o il Metaverso diventerà il compimento della globalizzazione, il luogo dove trovare l’emancipazione totale: dal genere, dalle generazioni, dalle nazioni, dal denaro consegnando però le chiavi della propria soggettività al potere, visto che non avremo più “possesso” di nulla all’interno di un capitalismo della scarsità sorvegliante. Oppure il Metaverso sarà il luogo di una molteplicità di approcci e punti di vista, con le sue cripto-monete, i suoi ambienti-identità, le sue dinamiche sociali. La questione è aperta: spetta a noi scegliere a chi dare le chiavi per disegnare il modello finale.

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