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Kosovo

Vi spiego la strategia nucleare degli Stati Uniti

Cosa c'è dietro alla formula di Biden sul "sole purpose" delle armi nucleari e quali implicazioni ci sono sulla sicurezza degli alleati. L'analisi di Carlo Jean

 

Sin da quando era vicepresidente, Joe Biden sosteneva che, nella strategia globale degli USA, dovesse essere diminuito il ruolo centrale sino ad allora ricoperto dalle armi nucleari. Esse erano il pilastro del coupling e della “dissuasione estesa”, basi dell’impegno americano per la sicurezza degli alleati. Con il coupling “nucleare-convenzionale” dissuadevano anche aggressioni solo convenzionali. La dissuasione, fondata sul first use, non aveva limiti nella strategia dichiaratoria degli USA. Il Presidente USA manteneva una completa discrezionalità sul ricorso al nucleare. L’affidabilità di tale sistema permetteva anche di contrastava l’altrimenti inevitabile tendenza di  taluni alleati degli USA di dotarsi di proprie armi nucleari. Washington manteneva cosìun completo monopolio sul nucleare. Non poteva essere messo al fatto compiuto del superamento della “soglia nucleare” per iniziativa di un suo alleato. Per questo si oppose alla creazione di una “bomba” europea. Le recenti proposte del Cremlino di escludere lo schieramento di armi nucleari sul territorio dei loro alleati e di escludere dalla NATO i membri che non ne facessero parte nel 1987 rilancino il dibattito nucleare specie in Europa. Rischiano di dar nuova vita ai dibattiti antinucleari e anti-NATO. Essi potrebbero acquistare una nuova virulenza data la scomparsa della superiorità convenzionale della Russia e l’accresciuta riluttanza dell’opinione pubblica USA di assumere rischi e costi per la sicurezza europea.

Le circostanze in cui il Presidente USA avrebbe deciso di ricorrere al nucleare non furono mai precisate. Taluni dubbi furono sollevati al riguardo. Ma furono lasciati cadere: gli alleati USA non avevano alternative se non quella di costruirsi la “bomba”, rischiando di porre in gioco l’impegno americano in Europa. In particolare, gli europei temevano che, per salvare Amburgo, un Presidente USA non avrebbe rischiato la distruzione di New York. I dubbi sono maggiori oggi in cui si tratterebbe di salvare Tallin (o Taipei). L’adozione di una strategia dichiaratoria alternativa – quella del no first use, cioè di ricorso alle armi nucleari solo dopo un attacco nucleare sovietico, avrebbe distrutto l’Alleanza. Era indispensabile mantenere il coupling transatlantico. Negli anni ’70, lo schieramento di euromissili sovietici fece temere la possibilità di un conflitto con l’URSS limitato all’Europa. Il coupling fu prontamente ristabilito con lo schieramento di Pershing 2 e di Cruise in grado di colpire dall’Europa il territorio sovietico. Essi ridarono credibilità al coupling, rendendo nuovamente inevitabile il coinvolgimento del deterrente nucleare strategico americano.

Per inciso, l’unico dei nove Stati nucleari, che dichiara una strategia di no first use è la Cina. L’ha adottato dal 1964, da quando fece scoppiare la sua prima bomba nucleare. Nessuno degli altri otto Stati nucleari la dichiara, pur insistendo che impiegherebbe le proprie armi nucleari solo in circostanze estreme.

Con la fine della guerra fredda e dell’URSS, la strategia nucleare è divenuta più difficile da “vendere” alle opinioni pubbliche. Finora si è esorcizzata non parlandone. Le idee di Biden di porre limiti al first use adottando il sole purpose e le proposte russe d’accordo con gli USA e la NATO l’hanno rimessa sul tappeto. Se queste ultime sono chiaramente inaccettabili e verranno respinte, nessuno ha capito dove Biden voglia andare a parare. Lo si saprà a febbraio, quando sarà resa nota la nuova Nuclear Posture Review.

In essa la completa incertezza e ambiguità sul ricorso al nucleare verrebbero sostituite dalla formula del “sole purpose”. Come accennato non è chiaro il significato della nuova formula. Essa comunque introdurrebbe delle limitazioni alla discrezionalità del ricorso al nucleare, ma non comporterebbe l’adozione del no first use. E’ probabile che nulla muti nella realtà, ma solo nella strategia dichiaratoria. Di fatto, limitazioni esistevano anche prima, anche se non venivano esplicitate. Le idee di Biden hanno comunque suscitato preoccupazioni in molti alleati degli USA. Verrà dichiarato che gli USA non ricorreranno al nucleare in taluni casi di aggressione, per i quali, quindi, non varrà, almeno teoricamente, l’attuale sistema di dissuasione.

Molti non ne parlano. I motivi possono essere due. Per taluni un dibattito sulle armi nucleari rischia di far esplodere manifestazioni antinucleari, in particolare sul mantenimento in Europa del centinaio di testate sub-strategiche B-61 schierate sul territorio di sei membri della NATO. E’ un argomento sensibile per l’opinione pubblica degli alleati (anche di quelli asiatici) degli USA. Essi temono che venga posta in discussione la validità dell’intero sistema di alleanze strategiche americano e che la NATO perda la sua residua credibilità.  Altri ritengano irrilevante la modifica della strategia nucleare USA. È solo dichiaratoria. Non riguarda la realtà, nella quale la discrezionalità del presidente USA e l’ambiguità della strategia di dissuasione rimarranno inalterate.

Per approfondire l’argomento è necessario riesaminare i fondamenti della teoria strategica, in particolare per la parte modificata dall’avvento delle armi nucleari. Tutte le politiche di sicurezza e conseguenti strategie globali, specie dei nove Stati che possiedono armi nucleari, hanno due aspetti diversi. Da un dato, sono dichiaratorie. Dicono come e in quali circostanze si farebbe ricorso al nucleare. Come sempre, le dichiarazioni sono diverse dalla realtà. Nessuno può dire a priori quando si farà effettivamente ricorso a tali “armi “assolute”, le cui capacità offensive dominano quelle difensive e che producono perdite e danni incompatibili con qualsiasi obiettivo politico ragionevole. La loro semplice presenza ha effetti dissuasivi.

Dall’altro lato, esistono le strategie reali: quelle che seguirebbero in caso di conflitto. Esse sono sempre ambigue e imprevedibili. Dipendono da circostanze peculiari. Sono caratterizzate da quella che Clausewitz chiama “la nebbia della guerra”. L’ambiguità genera nel nemico potenziale l’incertezza. L’esistenza del rischio del ricorso alle armi nucleari costituisce elemento essenziale per la dissuasione. A differenza di quella dichiaratoria, la strategia reale può costituire oggetto solo di ipotesi di larga massima. La “nebbia” è resa fitta anche dal fatto che una guerra nucleare non è mai stata combattuta. Quindi, non se ne conoscono le conseguenze.

Taluni Stati pianificano certamente un first strike (fatto del tutto diverso dal first use nucleare. Cioè un attacco di sorpresa per distruggere le forze nucleari avversarie o, almeno, eliminarne la maggior parte, nella speranza di abbattere quelle sopravvissute con le difese antimissili e antiaerei. Nessuno può però essere ragionevolmente sicuro di poterlo fare, evitando rappresaglie sulle proprie città. Poche bombe nucleari avrebbero effetti disastrosi. Poiché non è possibile una difesa sicura, l’unica strategia possibile verso un potenziale nemico nucleare, a parte la dissuasione, è la minaccia di rappresaglie. Per questo, vengono chiamate “armi di dissuasione” o, al limite, “di pace”, non “di guerra”. Hanno la capacità intrinseca di bilanciare gli squilibri di potenza o di sopperire all’impossibilità geografica d’intervenire con immediatezza, prima che si determini un fatto compiuto.

La dissuasione estesa limita di fatto la sovranità degli Stati protetti dall’“ombrello nucleare” altrui. Essi non hanno però altra scelta. Oggi rimane essenziale direttamente per l’Europa Orientale e gli Stati Baltici, nonché per Taiwan, la Corea del Sud e il Giappone, che non possono essere difesi con forze convenzionali. Sempre più essenziale per rendere credibile dissuasione e coupling è la presenza di forze convenzionali americane sul territorio degli Stati esposti a un’aggressione. Durante la guerra fredda il loro apporto era essenziale per la difesa avanzata europea. Erano però anche “ostaggi” o “agnelli sacrificali”, che garantivano l’impegno totale americano per la sicurezza europea. Oggi, questo secondo compito è predominante. Garantiscono il coupling. Sono “ostaggi” o “agnelli sacrificali” per esso. Fungono da trip wire, come comprese Donald Trump schierando forze USA in Europa orientale con la European Reassurance Initiative. Anche lo schieramento del centinaio di testate B-61 lo è. Testimonia l’adesione europea alla strategia nucleare USA. Semza di esse anche le truppe americane verrebbero ritirate dall’Europa.

Questa situazione conferisce rilevanza alla strategia dichiaratoria americana. Essa non consiste in semplici chiacchiere, come è stato sostenuto. Muterebbe la percezione dell’impegno USA nella NATO e nell’Europa. Sarebbe messa in discussione la possibilità di sopravvivenza della NATO.

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