Il conflitto tra Cina e Stati Uniti nella regione della meridionale marittima della Cina rappresenta una delle sfide geopolitiche più complesse e delicate del panorama globale contemporaneo. Questo scontro di interessi, che coinvolge anche numerosi attori regionali, affonda le radici in una pluralità di questioni economiche, territoriali, storiche e ideologiche, rendendolo un caso emblematico di come il potere mondiale si stia riconfigurando.
Da un lato, la Cina, guidata dal Partito Comunista, sta perseguendo un’agenda nazionalista ambiziosa che mira a ristabilire il proprio ruolo di potenza egemone in Asia e, a lungo termine, a livello globale. Il governo cinese si presenta come il successore legittimo di una lunga tradizione di dominazione su vasti territori marittimi e terrestri, rivendicando diritti su gran parte della regione della Cina meridionale attraverso la controversa “linea dei nove tratti”, che copre quasi il 90% della superficie marina. Questo quadro storico è rafforzato dalla rapida crescita economica del paese, che ha alimentato un’accresciuta assertività militare e diplomatica della Cina sullo scacchiere internazionale.
Dall’altro lato, gli Stati Uniti considerano l’espansione cinese come una minaccia diretta alla propria egemonia nella regione dell’Asia-Pacifico e al sistema economico globale. Sin dalla fine della Seconda guerra mondiale, Washington ha mantenuto una presenza significativa nell’area, cercando di contenere l’influenza cinese e di promuovere la stabilità attraverso alleanze militari e accordi economici con i paesi della regione. L’area, infatti, non solo è cruciale per il commercio marittimo mondiale, con circa un terzo del traffico commerciale globale che transita attraverso queste acque, ma è anche ricca di risorse energetiche e ittiche, essenziali per lo sviluppo delle economie locali.
Le radici storiche del conflitto possono essere fatte risalire all’epoca coloniale, quando le potenze europee e, successivamente, gli Stati Uniti, cominciarono a espandere la propria influenza in Asia. Durante il XIX secolo, la presenza coloniale europea in Asia sudorientale aveva stabilito un precedente di controllo sulle vie marittime, che ha lasciato in eredità rivendicazioni territoriali spesso sovrapposte tra gli stati post-coloniali. Questo retaggio ha continuato ad alimentare tensioni anche durante la Guerra Fredda, quando l’Asia sud-orientale divenne uno dei fronti principali del conflitto tra Stati Uniti e Unione Sovietica, con la Cina che iniziava a emergere come attore indipendente nel panorama internazionale.
Oltre a questi aspetti storici, l’area è particolarmente contesa per le sue immense riserve di risorse naturali. Secondo l’Energy Information Administration degli Stati Uniti, la regione della Cina meridionale contiene circa 11 miliardi di barili di petrolio e 190 trilioni di piedi cubici di gas naturale non sfruttati. Queste risorse rappresentano un’importante fonte di reddito potenziale per i paesi della regione, nonché un elemento cruciale per la sicurezza energetica della Cina, la cui domanda di energia continua a crescere in linea con il suo sviluppo economico. La competizione per l’accesso e il controllo di queste risorse ha contribuito a esacerbare le tensioni territoriali, con la Cina che ha rafforzato la propria presenza militare nella regione, costruendo isole artificiali e militarizzandole per consolidare le proprie rivendicazioni.
La risposta degli Stati Uniti a questa escalation cinese si è articolata su più livelli. Dal punto di vista militare, Washington ha intensificato le cosiddette operazioni di libertà di navigazione (FONOPs), progettate per dimostrare che gli Stati Uniti non riconoscono le rivendicazioni territoriali cinesi in mare aperto. Queste operazioni, che vedono la partecipazione di navi da guerra statunitensi che navigano vicino alle isole contese, sono state affiancate da esercitazioni militari congiunte con gli alleati regionali, come le Filippine, l’Australia e il Giappone. L’obiettivo è quello di garantire che l’area rimanga aperta al traffico commerciale internazionale e di rafforzare le capacità difensive dei paesi alleati, prevenendo un’eventuale aggressione cinese.
Sul fronte diplomatico, gli Stati Uniti hanno cercato di rafforzare le proprie alleanze nella regione attraverso forum multilaterali come l’ASEAN, promuovendo la cooperazione economica e militare tra i paesi del Sud-Est asiatico e cercando di costruire un fronte unito contro le rivendicazioni cinesi. Tuttavia, l’approccio multilaterale degli Stati Uniti è stato in parte minato dalla crescente influenza economica della Cina, che ha sviluppato strette relazioni con alcuni dei paesi dell’ASEAN, come il Laos e la Cambogia, attraverso la Belt and Road Initiative. Questa iniziativa, che prevede ingenti investimenti cinesi in infrastrutture nei paesi della regione, ha contribuito a creare una dipendenza economica da Pechino, rendendo più difficile per gli Stati Uniti costruire una coalizione regionale compatta contro la Cina.
Dal punto di vista della guerra dell’informazione, gli Stati Uniti hanno utilizzato media finanziati dal governo, come Voice of America e Radio Free Asia, per contrastare la propaganda cinese e offrire una visione alternativa degli eventi nella regione. Questi media sono particolarmente attivi nei paesi dell’ASEAN, cercando di sensibilizzare le opinioni pubbliche locali sulle attività della Cina nel Mar Cinese Meridionale e di promuovere i valori democratici e la libertà di navigazione.
Per quanto riguarda la Francia, essa si trova in una posizione di relativo distacco, ma non è del tutto estranea al conflitto. Come ex potenza coloniale con legami storici nella regione, in particolare attraverso i suoi possedimenti nel Pacifico, la Francia ha mantenuto un ruolo attivo nella difesa della libertà di navigazione, partecipando ad alcune esercitazioni navali congiunte nella regione e condannando le rivendicazioni cinesi come una minaccia al diritto internazionale. Inoltre, Parigi è impegnata nella promozione di un ordine mondiale multilaterale basato su regole, e ha cercato di rafforzare la cooperazione con i paesi dell’ASEAN attraverso accordi economici e di sicurezza. Tuttavia, la posizione francese rimane delicata, poiché la Cina è anche uno dei principali partner commerciali di Parigi e un attore chiave nella gestione di questioni globali come il cambiamento climatico.
Nel complesso, il conflitto nel Mar Cinese Meridionale rappresenta una delle sfide più importanti per l’ordine internazionale contemporaneo. Mentre la Cina cerca di riaffermare il proprio ruolo di potenza dominante in Asia, gli Stati Uniti sono determinati a mantenere la propria influenza e a garantire la libertà di navigazione, fondamentale per il commercio globale. La Francia, pur mantenendo un ruolo più marginale, continua a vigilare sulle dinamiche della regione, consapevole dell’importanza strategica che essa riveste. In questo contesto, l’esito del conflitto rimane incerto, e sarà influenzato da una combinazione di fattori economici, militari e diplomatici che continueranno a evolversi nei prossimi anni.