La missione di Trump in Asia sembra aver avuto un certo successo. Dopo l’India, il Giappone, la Corea del Sud, la Thailandia e la Malesia hanno ottenuto consistenti riduzione dei dazi in cambio della promessa di investimenti megli Stati Uniti. Che evoluzione prevedi?
A questo punto, forse, la situazione dovrebbe cominciare a stabilizzarsi a livello commerciale. La questione sulla Cina e la strategia complessiva americana in Asia invece rimane un’altra cosa.
Come valuti l’esito del contenzioso sulle terre rare? Trump ha ottenuto quello che voleva?
Mi sembra che si sia arrivati a una tregua. Comincia una fase abbastanza complicata perché entrambe le parti sottolineano che rimangono molti punti da chiarire e precisare. Il problema principale, forse, è che si tratta di un accordo molto temporaneo: il rinnovo scade fra un anno, poco prima delle elezioni americane di metà mandato, il che mette Trump forse in una posizione complicata per trattare.
D’altro canto, è molto improbabile che in un anno la situazione si trasformi in modo radicale. Almeno per un anno e forse per molto più tempo, la Cina manterrà il suo virtuale monopolio sulle terre rare e quindi la capacità di mettere sotto pressione gli Stati Uniti.
L’incontro tra Xi Jinping e Donald Trump porterà ad una riduzione delle sanzioni americane sul petrolio russo?
Non credo: credo che sulla Russia le posizioni tra America e Cina rimangano molto distanti.
I due hanno parlato di Ucraina. Sei in grado di decrittare il contenuto del colloquio e gli eventuali sbocchi?
C’è un problema di fondo: che la Cina non ha interesse a un’escalation incontrollabile e incontrollata della guerra in Ucraina, ma nemmeno a una pace in Ucraina che inevitabilmente concentrerebbe le attenzioni del mondo sulla Cina stessa. Per il momento, credo che il conflitto continuerà su questi binari.






