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Come siamo arrivati alla caduta di Assad in Siria

La fine del regime di Assad in Siria è il risultato - aggiuntivo e sorprendente - anche della guerra di annientamento scatenata da Israele contro Hezbollah. Il punto di Marco Orioles

Si definisce eterogenesi dei fini quella peculiare situazione in cui, a determinate azioni innescate per perseguire dati interessi, ne scaturiscono eventi del tutto imprevisti se non contrari alla logica che aveva ispirato l’azione iniziale. La caduta del regime di Assad in Siria ne è un perfetto esempio, trattandosi del risultato aggiuntivo e sorprendente della guerra di annientamento scatenata da Israele contro Hezbollah.

I micidiali colpi inferti da Gerusalemme contro comandanti, effettivi e mezzi delle milizie libanesi hanno inesorabilmente indebolito il movimento anche laddove, come in Siria, aveva concentrato le proprie forze per anni, in combutta con la Russia e con Teheran, a puntello di un regime di Assad in estrema difficoltà.

L’AVANZATA TRAVOLGENTE DEI RIBELLI IN SIRIA

La travolgente avanzata dei ribelli filoturchi siriani, passati in appena dieci giorni dalla conquista di Aleppo alla liberazione della capitale Damasco, si spiega anche e soprattutto con il disfacimento di un dispositivo militare siriano di cui Hezbollah era un vitale pilastro, in una caduta libera che ha costretto persino l’alleato Putin a mollare gli ormeggi, concedendo al dittatore la grazia di un salvacondotto umanitario a Mosca.

EPILOGO IMPREVISTO

Che imprevisto epilogo dunque per il lungo e funesto capitolo della guerra civile siriana, scattata nel maggio di tredici anni fa quando alcuni giovani tentarono di rilanciare in patria gli slogan di quel grande movimento politico transnazionale che furono le primavere arabe salvo incontrare la più spietata repressione da parte del presidente Bashar al-Assad.

Per la popolazione civile siriana di lì in poi è stato un vero e proprio bagno di sangue aggravato dalle drammatiche conseguenze di sfollamenti, torture, bombardamenti a tappeto e ogni altro crimine di guerra commesso impunemente dagli sgherri di Assad.

LE ARMI CHIMICHE E LA LINEA ROSSA DI OBAMA

Ci fu spazio, era il 2013, anche per l’orrido impiego di gas nervini sui civili, la famosa “linea rossa” che l’allora presidente Usa Obama aveva chiesto anni prima ad Assad di non varcare se non avesse voluto provocare la reazione americana.

Ma non ci fu alcuna reazione americana, perché il riottoso Obama si accontentò di un accordicchio internazionale mediato dai soliti russi che obbligava l’impunito dittatore siriano a consegnare il suo arsenale di armi illegali.

L’ASCESA DELL’ISIS

Questa intricata situazione, in cui ben presto armi, soldi e complicità internazionali presero ad intrecciarsi spudoratamente, si complicò esattamente un anno dopo quando una delle fazioni che combatteva in Siria contro Assad conquistò in poco tempo un vasto territorio a cavallo col confinante Iraq fondandovi un califfato islamico subito asceso alla ribalta per l’efferatezza delle gesta dei suoi protagonisti.

La prepotente ascesa di quel nuovo “Stato del terrore” che tutti conoscemmo con il nome di chi lo creò, ossia il gruppo jihadista Stato Islamico dell’Iraq e del Levante meglio noto con l’acronimo di Isis, rappresentò una svolta decisiva della guerra civile siriana, che ebbe l’effetto di marginalizzare tutte le altre sigle combattenti e di ridurre la contesa a uno scontro tra i lealisti di Assad e i jihadisti intenzionati a conquistare anche Damasco e, da lì, avviare la conquista dell’intera Mezzaluna islamica.

2014-2015: GLI ANNI FATALI

E fu proprio in quel momento che maturarono altre tre svolte significative: il sempre più robusto soccorso armato fornito ad Assad dagli alleati di Beirut e Teheran, che in Siria hanno combattuto a decine di migliaia; l’avvio nell’agosto 2014 di una operazione militare a guida Usa che fu alla fine decisiva per sconfiggere l’Isis grazie alla preziosa collaborazione delle forze curde e, infine, siamo nell’ottobre 2015, l’intervento di Mosca al fianco di Assad.

Per quanto sembri paradossale, per una breve finestra temporale americani e russi hanno dunque combattuto lo stesso nemico chiamato Isis, sia pur su fronti geograficamente lontani e ciascuno coi propri alleati.

Ma più che per la caparbietà nell’affrontare l’Isis, la coalizione assadista si distinse soprattutto per la criminale pervicacia con cui tentò di annientare – ricordate le bombe su Aleppo? – tutte le altre fazioni ribelli incluso l’antenato di quella che sabato è entrata a Damasco e che allora si chiamava al-Nusra.

IL FINTO CONGELAMENTO

Negli ultimi sei anni di fatto la guerra civile è rimasta congelata, con Assad ritornato in possesso di parte ma non di tutti i suoi territori e l’accozzaglia di ribelli sopravvissuti agli assalti dei loro tanti nemici rimasti intrappolati in una porzione di territorio a Nord il cui cuore era la città di Idlib.

Vi era anche una parvenza di processo diplomatico, chiamato il processo di Astana, in cui Mosca, Ankara e Teheran svolsero pomposamente il ruolo di garanti di un abbozzo di dialogo tra Assad e i suoi oppositori che naturalmente fu perseguito solo per finta.

CHE SUCCEDERÀ IN SIRIA ORA?

Questa è l’ultima fotografia della guerra civile siriana che è andata in frantumi dieci giorni fa con il proditorio attacco di Hayat Tahrir al-Sham, il cui leader Mohammed al-Jolani è ora osannato dai siriani in visibilio malgrado il passato di violento islamista e persecutore delle minoranze che fece i suoi primi passi nel jihad sotto la guida di Osama bin Laden. I prossimi giorni ci diranno se a Damasco è appena nato un nuovo califfato islamico.

Quel che è certo sin d’ora è che a uscirne umiliati sono in parecchi.

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