skip to Main Content

Tutte le ultime mosse del centrodestra sul Quirinale

Che cosa si dice nel centrodestra sul Quirinale. La nota di Paola Sacchi

 

“Al netto di una narrazione mediatica esagerata o strumentalizzata ad arte, e anche con forti inesattezze perché non ha mai parlato di Draghi bis a Palazzo Chigi, e al netto di quello che intende davvero fare, un fatto è certo: Berlusconi si è messo non a capotavola, ma quasi a capotavola del tavolo da ‘gioco’ più difficile per il Quirinale”.

Chi conosce bene l’ex quattro volte premier, fondatore e presidente di Forza Italia e del centrodestra riassume alla cronista in poche frasi quello che è ormai sotto i riflettori. Ovvero, la centralità riacquisita dal Cav nella partita, stavolta senza rete, e cioè senza king maker, senza che nessuno abbia i numeri sufficienti, a cominciare per la prima volta dopo anni dalla sinistra, per la Corsa al Colle.

Al netto di qualche giovane ministro come il pentastellato Luigi Di Maio e del coro scontato di altri, secondo i quali Berlusconi, che non ha avanzato autocandidature, sarebbe uno che si fa illudere o un uomo mosso da senso di “rivalsa” (al contrario, sarebbe, come abbiamo scritto, riportando il pensiero di chi lo conosce bene,”l’attuazione del discorso di riappacificazione di Onna”), comunque la si metta e si pensi, è un fatto che il suo ruolo sia tornato al centro di uno scenario a dir poco complicato. È già un rompicapo solo immaginare le procedure istituzionali che dovrebbero essere messe in atto nel caso Mario Draghi dovesse insediarsi sul Colle, ovvero con un nuovo premier, che dovrebbe avere la fiducia di un parlamento già in forte fibrillazione trasversale per il timore di andare a elezioni anticipate, a causa soprattutto della riduzione del numero degli esponenti stabilita dal referendum.

Ma soprattutto quale maggioranza darebbe la fiducia a un nuovo premier? “La stessa di quasi tutti che l’ha data a Draghi o, come magari vorrebbero a sinistra, una riedizione in versione italiana della maggioranza ‘Ursula’ (von der Leyen ndr) con FI, Pd, Cinque Stelle?”, si chiede un parlamentare di lungo corso. Evidente che in questo secondo caso verrebbe a dir poco affievolito quello spirito di ricostruzione che ha portato al governo Draghi di emergenza nazionale. E la Lega rimessa fuori gioco all’ opposizione.

Non a caso, Berlusconi ha sottolineato la necessità che Draghi resti alla guida di questo esecutivo fino al 2023. E ha parlato delle necessità che questo “lavoro prosegua”, ma, appunto, il lavoro, non la guida di Draghi, il cui prestigio è necessario in “un altro incarico” (così, in una nota quasi contestuale al collegamento di domenica scorsa con i suoi in Sicilia). Un altro incarico che potrebbe significare ancora un ruolo centrale nella UE come presidente della Commissione, alla scadenza non lontana del mandato di von der Leyen. Insomma, con il medesimo spirito, europeista ma al tempo stesso di difesa dell’interesse nazionale, con il quale duellò con Angela Merkel per avere Draghi a capo della Bce.

Nella commedia mediatica mainstream degli equivoci è finita con un Draghi bis, che sarebbe possibile solo con un ritorno al proporzionale. Cosa che non sembra molto alle viste, almeno finora. Se non altro per la legittima aspirazione attribuita al leader Pd, Enrico Letta, da lui stesso non smentita, di tornare a Palazzo Chigi. Ma, al di là di questo, a proposito di legittime aspirazioni, come ha osservato domenica scorsa il numero due del Cav, coordinatore nazionale di FI, Antonio Tajani, “Berlusconi ha tutti i titoli”, per andare al Colle. Evidente che non fosse una candidatura, ma un ragionamento, perché ieri lo stesso Tajani ha ricordato che naturalmente di candidature si parlerà solo da gennaio. Resta il fatto, che, intanto, al netto di retroscena molto conditi con “aiuti di amici”, di una vita o eventuali nuovi sul piano tattico, della sola ipotesi si parli e si continua a parlare.

I più maliziosi dicono: “Più che quella quarantina di voti che gli mancherebbero, il vero problema è se tutto il centrodestra lo voterebbe”. Troppo maliziosi? Certamente. Ma, se lo fossero davvero, un po’ rischiano di essere oggettivamente aiutati da note congiunte, date alla stampa in doppia copia, di Giorgia Meloni, presidente di FdI, e Matteo Salvini (leader della Lega) dopo l’ ncontro dell’altro ieri nell’ufficio alla Camera della stessa Meloni. Non nell’ufficio quindi di Salvini. Anche i luoghi nella simbologia della politica contano. E, comunque, come è stato commentato nel centrodestra, “bene che i leader vadano d’accordo e magari si chiariscano”.

Resta il fatto che, Berlusconi o non Berlusconi al Colle, il centrodestra mai come questa volta, dopo anni, ha in mano una partita da giocare. Ma questo sarà possibile solo se resta unito. Altrimenti, gli appuntamenti della Storia passano anche quelli in un attimo, insieme con i tanti di routine di giornata.

Back To Top