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Emergenza Climatica

Senigallia, un mese di fango

Il reportage di Marco Ferrazzoli da Senigallia

 

A Senigallia, un mese dopo la tragedia, due cinesi con l’idropulitrice continuano a cercare di recuperare qualche oggetto dall’immenso magazzino che avevano rilevato un paio di anni fa. Un capannone dove avevano organizzato un mega-negozio all’ingrosso: apertura 24/7, prezzi economici. Il posto per guardare e chiacchierare, oltre che comprare, come si fa nei posti dove il ritmo della vita è più tranquillo.

Nelle campagne, negli orti e nei giardini della frazione della Cannella, dopo quattro settimane in gran parte soleggiate e con una temperatura che a metà ottobre consente di abbronzarsi e fare il bagno, gli stivali sono ancora d’obbligo. Ma anche così si affonda, lamenta Tito mentre pulisce le sue cose. Lo strato di melma marrone ha ricoperto tutta la vastissima zona colpita, in alcuni casi mescolandosi con olii e sostanze che le danno un colore bluastro, lucido, un odore acre e una consistenza granulosa.

In mezzo al fango si trova ancora di tutto: persino un televisore Mivar, arrivato da chissà dove. Poco lontano si sono sparse falciatrici e macchine agricole provenienti da un magazzino della zona. Marco racconta che nel suo ufficio è entrata una lavatrice. Vendeva automobili usate in un capannone, rilevato da un meccanico che se n’era andato dopo l’alluvione del 2014: quando è scattata l’allerta ha cominciato a portarle più in alto, ma dopo un po’ ha pensato fosse meglio mettersi in salvo. Sicuramente la scelta giusta, visto che tre vittime sono state travolte per essere scese in garage. Proprio le telefonate e i video registrati e diffusi con i cellulari che mostravano le auto trascinate dall’acqua sono stati il primo allarme giunto da Cantiano, il paese nell’entroterra che nel tardo pomeriggio del 15 settembre ha registrato un’intensità della pioggia record per gli ultimi 10 anni, come ha certificato Paola Salvati dell’Istituto di ricerca e protezione idrogeologica CNR.

Da lì – e poi per Barbara, Pianello d’Ostra, Casino, Bettolelle, Trecastelli – è venuto giù di tutto, trascinando cose e 13 persone tra cui il piccolo Mattia, strappato dall’abbraccio della madre. Brunella Chiù è ufficialmente dispersa, ma i soccorritori ammettono a mezza bocca che ormai, probabilmente, non c’è più neppure un corpo intero da cercare. Erina Fabi, 75 anni, è stata uccisa mentre cercava di chiudere le finestre di casa, una tragedia che rende bene la violenza dell’accaduto e l’espressione “bomba d’acqua”. Gli esperti non la amano, dicono che è impropria, ma rende bene l’effetto del cataclisma: un bombardamento in cui, anziché lo spostamento d’aria, a uccidere è una furia incontenibile di acqua, terra, legno, oggetti, capace di sventrare porte, finestre, serrande. Marco racconta di avere subito fissato agli ingressi le paratie montate dopo l’alluvione di otto anni prima, ma hanno funzionato al contrario: quando è finito tutto, le ha tolte e dall’interno sono usciti altri 40 centimetri di melma.

L’espressione “bomba d’acqua” rende bene quanto quella di “temporale autorigenerante” non riesce appare una spiegazione sufficiente, a chi vive qui. Le concause vengono allora elencate tutte, nel tentativo di dare un senso: l’abbandono delle campagne e dei boschi, l’uso di sostanze chimiche che impoveriscono il terreno, impedendogli di drenare; ma anche l’eccezionale siccità estiva che ha “cotto” i campi, per cui l’acqua scivola e non viene più assorbita; e poi le polemiche sulle vasche di espansione. Senza dubbio c’è un problema di sfruttamento e gestione del territorio, che non è di oggi né di otto anni fa. Laura ricorda di avere visto l’alluvione del 1976 e sentito raccontare dal padre quella del 1955, quando la famiglia perse la barbieria che gestiva accanto all’attuale Ponte degli Angeli. Questa volta la violenza è stata tale che un paio di metri del ponte sulla Strada della Chiusa sono stati spezzati e spazzati via, così come la spalletta a monte del Ponte Garibaldi, il primo del centro cittadino.

Il Misa normalmente ha un corso tranquillo, spesso ridotto a rigagnolo. Lo si osserva dall’alto degli argini, molti dei quali sono adesso crollati, esponendo ancor più città e campagne al rischio di altri eventi calamitosi. Nel suo tratto finale però viene costretto nel cemento, diversamente dal parallelo e vicino Cesano che ha modo di sfociare e sfogarsi in una sorta di palude ghiaiosa. Inoltre, i ponti non sono a schiena d’asino: “Anche per questo tutto quello che scendeva ci si incastrava”, racconta Gabriele, che accanto al fiume ha l’ufficio proprio e del padre, mostrando le riprese in cui si vedono elettrodomestici e tronchi. Un “tappo” che ha rapidamente provocato l’esondazione nel centro cittadino, devastando decine di negozi ancora chiusi. Il gestore di una piadineria ha riaperto proprio per il primo mese e passa tra i tavoli felice, anche se ripetendo il conto dei danni. E poi c’è il problema della pulizia del letto: le polemiche dell’estate scorsa, quando per la siccità era emerso un isolotto nel porto canale con il quale il Misa arriva nell’Adriatico, oggi risuonano con ben più drammatica attualità. Da quando il passaggio delle imbarcazioni è stato dirottato nel nuovo canale, l’accusa, quello che porta il fiume in mare è stato dimenticato.

Così, fango e detriti sono arrivati in mare, creando uno strato che è rimasto sulla superficie fino a qualche decina di metri dalla riva, per settimane. E sparando tronchi d’albero del peso di tonnellate tutto intorno, sulla spiaggia e fino a sopra gli scogli frangiflutti. I muretti degli stabilimenti hanno retto, così l’acqua è entrata tutta assieme dai varchi, con una furia tale da creare delle fosse profonde, larghe e lunghe almeno due o tre metri: di nuovo, la scena è quella di un bombardamento. Furio, uno dei bagnini, siede sconsolato a guardare il nulla che resta di ombrelloni e sdraio. Risponde che c’è chi sta peggio, che ci sono stati i morti. Però non ha il suo solito sorriso.

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