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Sea Watch, Carola Rackete e le anime belle. Il pensiero del filosofo Ocone

Perché l’Antigone di Sofocle c’entra davvero poco con Carola Rackete. Ocone's corner”, la rubrica settimanale di Corrado Ocone, filosofo e saggista.

Con buona pace di commentatori improvvisati e radical chic sempre alla ricerca del paragone all’apparenza “colto”, l’Antigone di Sofocle c’entra davvero poco con la vicenda molto prosaica che ha avuto in questi giorni come protagonista Carola Rackete, la capitana della Sea Watch 3, la nave tedesca battente bandiera olandese che ha soccorso in mare e imbarcato 42 migranti e si è poi diretta verso Lampedusa forzando il blocco navale e attraccando in violazione delle leggi italiane.

Nella tragedia, che fu rappresentata per la prima volta ad Atene nel 442 avanti Cristo, Sofocle, con una finezza che oggi è andata quasi perduta, rappresenta i travagli di un animo umano combattuto fra i doveri imposti dalla legge e quelli di natura morale che si hanno verso i propri famigliari. Un vero e proprio “conflitto di valori”, tanto più vero e profondo in quanto Antigone non ha affatto in spregio le leggi di una comunità, né in cuor suo vorrebbe disobbedire al potere costituito, ma di fatto si trova collocata nel preciso punto in cui è necessaria una decisione sofferta fra due principi ugualmente irrinunciabili entrati in contraddizione.

Una tragedia in tutti i sensi, anche in quello etimologico. Antigone la sua, di tragedia, non è andata a cercarsela, né l’ha coscientemente programmata a tavolino, come sembra aver fatto Carola, in questo modo strumentalizzando le vite di quaranta poveri disperati. Più che la morale, nella decisione della capitana si intravede la politica, o meglio quella poco pregevole politica che i sentimenti umanitari e la stessa moralità strumentalizzano per scopi di parte.

La determinatezza e la caparbietà con cui si è mossa, nonché la volontà di cercare l’incidente e di provocare le autorità italiane, in primo luogo la “bestia nera” Matteo Salvini, avvalorano questa ipotesi: nessun tormento nella sua coscienza, ma solo la ricerca del “caso esemplare” che potesse farne l’eroina di una parte ben definita del nostro mondo. Le menti irriflessive, o peggio quelle ipocrite, albergano sempre in ogni società umana: nel nostro tempo forse più che in altri.

Figure come quelle della “cattiva coscienza” hegeliana (e marxiana) o metodi “genealogici” di tipo nietzschiano servirebbero, a mio avviso, a farci capire molte più cose dell’animo umano della protagonista, e di molti di coloro che l’hanno assecondata, che non il riferimento ad Antigone e Sofocle. È vero, c’è pure chi in buona fede crede nel “pensiero semplice” che vuole il bene e il male separabili a colpo d’occhio , fermandosi casomani all’autorappresentazione che certi protagonisti della vita pubblica danno di sé e di fatti di cui siamo protagonisti. In questo caso, il riferimento sarebbe allora alla figura sempre hegeliana dell’“anima bella”, con tutto quel che ne consegue in termini di effetti concreti.

In poche parole, convinti di fare il bene spesso si finisce per servire il diavolo, che, come sempre i classici ci hanno insegnato, è subdolo e sa ben nascondersi.

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