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Redditi e salari: le parole sono pietre, i numeri sono macigni

Il circo mediatico e politico su redditi e salari. La lettera di Michele Magno

Caro direttore,

l’Italia non è un paese povero ma un povero paese, disse una volta con tagliente ironia il generale De Gaulle. Non la pensano così la sinistra e il sindacato maggioritario di casa nostra, con le loro narrazioni dolenti di un paese quasi sull’orlo dell’indigenza. Hanno dato man forte a queste cupe rappresentazioni i dati pubblicati nel mese scorso da Eurostat, secondo cui da noi il nove per cento degli occupati “per almeno la metà dell’anno, sia full time sia part time, è a rischio povertà”.

Ora, che i salari italiani siano bassi è noto e dipende da vari fattori, anzitutto dalla lentezza dei rinnovi contrattuali, dalla scarsa produttività e dai modesti investimenti nelle attività imprenditoriali. Come ha osservato il presidente di Itinerari Previdenziali, Alberto Brambilla, questi ultimi sono maggiori nella manifattura, molto modesti nei servizi, quasi inesistenti nelle attività ad alta partecipazione degli immigrati (Corriere della Sera, 9 giugno). Gli ultimi arrivati, lo più irregolari o attratti da falsi contratti stagionali gestiti in gran parte dalla malavita organizzata, fanno una concorrenza spietata in termini di orari e salario ai penultimi. E, in particolare, all’oltre milione e mezzo di stranieri che nel decennio passato hanno avuto la cittadinanza italiana.

Ma, si chiede Brambilla, sono corretti i dati diffusi da Eurostat? Vediamo. Nel caso delle paghe contrattuali, l’Ufficio statistico dell’Ue non considera il Tfr, che vale il 6,91 per cento della retribuzione, oltre a un ulteriore 0,5 per cento versato all’Inps per la tutela del lavoratore nei casi di fallimento dell’impresa. Inoltre, non considera i contributi sociali a carico del datore di lavoro che, in Italia, sono i più alti dell’area Ocse: in media, tra contributi aziendali per pensioni (23 per cento) e prestazioni temporanee (infortuni, maternità, malattia, disoccupazione, cassa integrazione, per un altro 6-7 per cento) sono più alti di almeno 6-8 punti percentuali.

Nel caso dei redditi dichiarati, Eurostat non tiene conto dell’enorme livello di lavoro sommerso. Poiché considera solo i redditi dichiarati, vede più poveri tra gli autonomi, al Sud e nei servizi legati al turismo e alla persona, dove il “nero” spadroneggia. Ma è credibile un Paese del G7 nel quale il 60 per cento della popolazione dichiara redditi tanto bassi da pagare meno del 9 per cento di tutta l’Irpef, salvo poi spendere (al lordo delle vincite) 160 miliardi nel 2024 per il gioco d’azzardo?

Ovviamente, Eurostat non si inventa i dati. Il suo “informatore unico” è l’Istat, che da tempo offre stime discutibili -come quelle sulla popolazione. Caro direttore, se le parole sono pietre i numeri sono macigni. E, quando non sono verificati, completi e precisi, possono essere utilizzati dai professionisti delle fake news per avvelenare i pozzi del dibattito pubblico.

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