I presidi d’Italia, a tre settimane dalla riapertura delle scuole e con i contagi in rialzo, chiedono che venga rivista (e ridotta) la loro responsabilità penale in caso di contagio da Covid da parte di un insegnante o di altro operatore. Andiamo per gradi.
COVID: INCIDENTE SUL LAVORO
Partiamo dal principio. Come avvenuto con la riapertura delle aziende, anche i presidi (come i datori) hanno il timore di contagi. Covid, infatti, è equiparata ad un incidente sul lavoro, con implicazioni civili e penali.
LE IMPLICAZIONI CIVILI
Sul fronte civile, grazie all’articolo 29-bis del decreto-legge 23/2020 (decreto Liquidità), le responsabilità del datore di lavoro, sancite all’articolo 2087 del Codice Civile, sono state circoscritte: la sola adozione delle prescrizioni contenute nel protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del Covid-19 assolve il datore da ogni responsabilità.
INVARIATI ARTICOLI SU RESPONSABILITA’ PENALE
La responsabilità penale di infortunio sul lavoro, invece, viene delineata negli articoli 589 e 590 del Codice Penale, su cui nessun decreto, in questi mesi, è intervenuto.
TUTTO SCONTATO?
Basta la circoscrizione di colpa civile per assolvere anche penalmente? In effetti, in un articolo per il Sole 24 Ore, Antonello Giannelli, presidente Anp (Associazione nazionale presidi), nota che “l’aver reso più certo il parametro di riferimento civilistico della condotta doverosa della parte datoriale ha indubbi riflessi anche sulla sua responsabilità penale. La giurisprudenza di legittimità del supremo giudice penale, infatti, individua proprio nell’articolo 2087 c.c. la norma “extrapenale” idonea a costituire, in capo al datore, quella posizione di garanzia dell’incolumità che ne fonda la responsabilità ex art. 589 e 590 c.p”.
“Con la conversione in legge del decreto “liquidità” sono dunque diminuite le possibilità che il datore di lavoro sia penalmente responsabile”, sottolinea Giannelli.
COSA CHIEDONO I PRESIDI
Ma la proprietà transitiva non basta ai presidi, che chiedono maggiore chiarezza sul fronte penale:
“È proprio la rilevanza dell’art. 2087 ad aver spinto l’Anp a chiedere che i protocolli di sicurezza da noi sottoscritti fossero il più circostanziato possibile”, scrive Giannelli.
“Se il datore violasse le norme prevenzionistiche, opererebbero comunque le aggravanti prima ricordate (aggravanti in caso di violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, ndr) ed egli continuerebbe, in ogni caso, a rispondere anche per colpa lieve”.
IMPERIZIE (LIEVI) PREVEDIBILI?
“Questo appare – precisa Giannelli – eccessivamente penalizzante nel caso in cui la colpa sia riconducibile a sola imperizia per una duplice ragione: 1) la quantità di competenze necessarie a gestire la sempre crescente complessità degli ambienti di lavoro – e delle scuole in particolare – è in continuo aumento e 2) il livello di competenza necessario è sempre più elevato. Una tale “perizia” non può essere posseduta nemmeno con il supporto del Responsabile del servizio di prevenzione e protezione e del Medico competente”.
“Per rendersene conto – aggiunge Giannelli -si pensi all’applicazione di indicazioni, apparentemente ragionevoli e motivate, proposte da quest’ultimo che però si rivelino insufficienti a garantire la tutela dell’integrità dei lavoratori fragili: dovrebbe forse risponderne penalmente il datore di lavoro?”
PRESIDI: SI RISPONDA SOLO PER COLPA GRAVE
Ed è per questo che Giannelli chiede che, senza parlare di “scudo penale”, i Presidi “rispondano solo per colpa grave nel caso di infortunio derivante da imperizia, in analogia con quanto previsto per le professioni sanitarie”.