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Scanzi, Anni 20 e i leader leggerini

A forza di parlare con leggerezza i leader si privano di ogni credibilità e non se ne rendono conto perché si abbeverano alla fonte dell’informazione mainstream alla quale sono legati, che restituisce ai leader la stessa immagine pubblica confezionata dai loro uffici. Il corsivo di Dalavecuras

 

Sarà la primavera, ma in queste settimane è una scelta imbarazzante quella tra le tempeste in un bicchier d’acqua che percorrono la piazza mediatica (stavo per scrivere l’agorà mediatica, mi ha fermato il timore di una rivendicazione del copyright da parte del guru Pd Goffredo Bettini: non si sa mai).

Il più assiduo habitué del salotto di Lilli Gruber ha sentenziato (lo dico con parole mie, scusandomene con Andrea Scanzi e con i suoi fan), davanti all’imponente audience della trasmissione, che la storia degli ultimi trecento anni non registra nessun intellettuale di destra, ciò che tra l’altro sottintende che l’autore di tale clamorosa rivelazione si considera, e assai probabilmente è considerato da alcuni milioni di follower, intellettuale di sinistra. A malapena si è trovato qualche commento nemmeno sarcastico ma solo lievemente ironico alla stupidaggine ora riferita su quotidiani dichiaratamente di destra.

Sbaglierò, ma anche il tentativo dell’Espresso di rinverdire passate glorie sparando in copertina l’immagine disegnata di un uomo il cui sesso (maschile) è attestato dalla barba e la condizione (di gestante) dalla pancia gonfia su cui campeggia la scritta “la diversità è ricchezza”, non mi pare abbia dato una grandissima scossa all’opinione pubblica.

Ma il caso più interessante, che è anche il più recente, lo dobbiamo a Michele Anzaldi, parlamentare di Italia Viva e segretario della Commissione Vigilanza Rai. Confesso di ignorare quali siano le attribuzioni di tale segretario ma suppongo che non siano estranee al tema della comunicazione che – anche se sempre meno – ha ancora a che fare con il linguaggio. Pietra dello scandalo un programma di Rai 2 (Anni 20) che, partendo da Nutri-Score, uno schema di etichettatura dei prodotti alimentari elaborato dall’Unione europea, a suo tempo osteggiato dall’Italia, faceva un po’ di satira sulla regolamentazione dei prodotti destinati all’alimentazione umana. Lascio la parola a Anzaldi (che nella foga deve essersi dimenticato che quello italiano, nel 1957, quando Mario Draghi portava ancora i pantaloni corti, fu uno dei sei parlamenti fondatori di quella Cee che sarebbe poi diventata l’Unione europea): “Disinformazione, falsità, attacco infondato all’Europa proprio mentre ai vertici ci sono alte personalità italiane e l’europeismo grazie al governo Draghi è ormai condiviso da tutti in Parlamento. Chiederò alla comm. di Vigilanza di occuparsi del servizio trasmesso da Anni 20”. Arriva infine il segretario del Pd a puntualizzare autorevolmente: “…una propaganda così becera, bieca e falsa contro l’Europa, è intollerabile”. Alle parole, come ovvio, non ha fatto seguito alcun fatto per la semplice ragione che non ce n’era motivo e anche perché in Italia trovi quasi sempre, in una posizione defilata, chi tiene i piedi per terra e risparmia le peggiori gaffes: quasi sempre, purtroppo, non sempre.

Questo di Rai Due resta, però, il caso più interessante per due motivi. Della genesi macchinosa, dello slalom tra le mille lobby che condiziona la regolamentazione dei beni di largo consumo e in particolare dei prodotti alimentari, a essere totalmente consapevoli sono anzitutto gli eurocrati di Bruxelles, i primi a fare dell’autoironia sulle astruse elaborazioni che la messa a punto di una normativa, soprattutto su questioni banali, richiede; la più autorevole stampa anglosassone poi, quella che Anzaldi probabilmente definirebbe “europeista”, si diverte a descrivere Bruxelles come il posto dove non riescono a accordarsi nemmeno sul diametro dei piselli. In questa situazione, le “reazioni” sopra riferite hanno più il profumo del giardino d’infanzia che l’odore aspro dell’arena dove si dibattono i destini della nazione. Ma qui siamo ancora nel campo della leggerezza, dove i nostri possono invocare il precedente dell’attuale “padrone del mondo” Joe Biden, che sia pure con qualche contorcimento (lo ha fatto dire all’intervistatore e si è dichiarato d’accordo) ha dato del killer a Putin come potrebbe fare qualsiasi manifestante pro o contro qualcosa in qualsiasi capitale dell’Occidente.

Il secondo aspetto, più grave, è che a forza di parlare con leggerezza i leader (quelli che possiamo permetterci, certo, ma questi sono) si privano di ogni credibilità e, peggio ancora, non se ne rendono conto perché si abbeverano alla fonte dell’informazione mainstream alla quale sono indissolubilmente legati, che restituisce ai leader la stessa immagine pubblica confezionata dai loro uffici.

Questo circolo vizioso produce una retorica faziosa che vuole “mobilitare” più con i toni che con i contenuti. Il modello fazioso però ha un senso, può creare interesse, se c’è un minimo di dibattito pubblico sui dilemmi veri, ma quando, come sta accadendo in Italia, tutto quel che non rientra nel paradigma progressista del politicamente corretto (esempio: l’Europa non si discute, si ringrazia; Erdogan il bieco maschilista ha negato la sedia alla presidente della Commissione Ue perché è femmina; chi non sostiene il Ddl Zan è omofobo oppure, se non si può dire, si evita di intervistarlo) e quando qualsiasi deviazione dall’ortodossia progressista viene cestinata in quanto espressione del male assoluto che si chiama sovranismo (parola sicuramente eufonica sovranismo, ma al confronto populismo ha la precisione di una formula chimica), l’interesse del dibattito pubblico tende inevitabilmente a smorzarsi, quale che sia il grado di eccitazione che i protagonisti si sforzano di conferire alle loro parole, sempre drammaticamente prevedibili.

Il risultato di questa dinamica autoalimentata è che per suscitare non dico l’agognata mobilitazione ma almeno un minimo di reazione, è necessario incrementare di continuo il livello di assurdità o di offensività attesa delle parole che si usano. Se la settimana scorsa la trasmissione di Rai Due è stata “bieca” e “becera”, addirittura “un attacco infondato all’Europa”, mi domando a quali aggettivi, avverbi e termini di riferimento dovranno ricorrere i leader di turno la prossima volta. Non è un clima rassicurante.

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