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Saviano, Lagioia e i sinistri doppiopesismi contro Eugenia Roccella

Dal Salone del libro al transumanesimo. Che cosa è successo a Torino contro il ministro Eugenia Roccella e come intellettuali progressisti e firme giornalistiche hanno commentato il fattaccio. Il corsivo di Battista Falconi

La parola narrativa è senz’altro abusata ma rende bene un meccanismo importante delle nostre società, che si caratterizzano per flussi informativi e comunicativi confondenti, nei quali saper affermare con chiarezza una notizia e una posizione diventa importante quanto il fatto di averne. Non esistono più pacchetti informativi più o meno confezionati e lo stesso concetto di mainstream sta venendo meno, data la proliferazione di messaggi di correttezza dubbia nei quali fonti e destinatari tendono a omologarsi.

In questo marasma, definito “infodemia”, la comunicazione politica non fa certo eccezione, soprattutto perché connotata da un tasso ideologico molto forte, che tende a deformare la rappresentazione dei fatti in modo sistematico. Una tendenza che viene ancora giustificata con il principio della libertà di opinione ma che, in realtà, contribuisce a generare nei cittadini uno sconcerto che rappresenta un danno democratico ben superiore al beneficio della possibilità di esprimere sempre, comunque e dovunque il proprio pensiero (che finisce così per diventare un mero sfogo verbale, consentendo a chi detiene un potere di conservarlo senza soverchie preoccupazioni).

Scendendo nel concreto, partiamo da una citazione di Maurizio Gasparri, esponente di Forza Italia prodigo di dichiarazioni che in questo caso – le contestatrici che hanno impedito al Ministro Roccella di parlare al Salone del Libro – purtroppo non esagera quando richiama un lugubre precedente: quello di Alvaro Lojacono che, afferma Gasparri, cominciò impedendo a parlare a chi non era di sinistra, continuò uccidendo in piazza Risorgimento a Roma lo studente di destra Mikis Mantakas e finì nelle Brigate Rosse. Naturalmente non c’è alcun automatismo per il quale le contestatrici del Salone torinese debbano finire nella lotta armata, siamo anzi sicuri che non accadrà. Ma il contesto giustificativo e doppiopesista, il profluvio di dichiarazioni di propaganda che ha accompagnato l’episodio, questo sì che richiama gli anni di piombo con la loro filiera tra la violenza verbale di alcuni che esagitati, l’atteggiamento complice dei salotti buoni e degli intellettuali che commentavano senza sporcarsi le mani in prima persona e poi la deriva delirante di chi picchiava e sparava.

Come è noto, il ministro Eugenia Roccella aveva gestito molto bene il tentativo di contestarla, permettendo la lettura del comunicato e chiedendo poi di commentarlo assieme. Ma questo non è bastato a impedire che gli strepiti costringessero lei e l’avvocato Bernardini ad abbandonare il Salone, mentre il direttore uscente Nicola Lagioia non solo non faceva nulla per ripristinare il diritto leso ma si smarcava, dicendo che non è sua competenza il servizio d’ordine. Accusato a quel punto dalla deputata di Fratelli d’Italia Augusta Montaruli, che ha espresso sollievo per la sua già prevista sostituzione, ha anzi cercato di equiparare i due fatti, in un modo davvero inammissibile che ha trovato un ampio consenso progressista. Così che oggi – se si legge il quotidiano La Stampa, che essendo di Torino dato ampio spazio alla vicenda – si ha l’impressione che le responsabilità siano all’opposto: con Saviano che parla di “destra di provocatori”, Lagioia di “violenza contro di me” e Andrea Malaguti che, in un commento, cammina per un po’ sulle uova ma si capisce che è molto più indispettito dalla deputata Fdi che grida al direttore uscente “le peggio cose” (testuale).

Sì, c’è francamente qualcosa di sinistro in questo modo di rappresentare le cose.

Il tema del libro di Roccella, peraltro, è già condizionato da una rappresentazione deformata nella quale – per citare il nome della contestata fiera che si tiene a Milano, “Wish for a baby” – la procreazione di un figlio diviene un desiderio da soddisfare, a dispetto della natura, ricorrendo alle tecnologie disponibili, secondo una logica decisamente materialistica e consumistica. Questo dibattito sulla tendenza generale alla libertà, ma diremmo meglio alla pretesa di avere figli – in cui non trovano posto argomenti molto seri come il calo di desiderio e di attività sessuale che contraddistingue le nuove generazioni, sul quale sono usciti ancora altri studi e saggi di recente – si interseca con quello che Gianluigi Paragone sul Tempo chiama “transumanesimo”, in riferimento alla questione non meno rilevante dell’intelligenza artificiale e della possibile sostituzione, o ridimensionamento, di molte attività umane, tra le quali la scrittura. Un tema sul quale si è diffuso anche monsignor Domenico Pompili, vescovo di Verona molto esperto di comunicazione sociale, invitando su Avvenire a parlare di più con il cuore e meno con i cellulari. C’è insomma, ribadiamo, un’evoluzione di carattere tecnologico che mette in discussione i rapporti tra gli esseri umani così come li abbiamo fin qui concepiti. D’altronde tutti abbiamo fatto l’esperienza scioccante dell’isolamento in pandemia e sappiamo quanto abbia messo in crisi le nostre certezze emotive ed affettive. Ecco, in questo contesto di spersonalizzazione l’unica cosa di cui non abbiamo bisogno né nostalgia sono i “vecchi” arnesi della violenza, dell’aggressività e, quasi peggio ancora, del doppiopesismo che li giustifica.

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