Probabilmente in un Paese, dove un intero ciclo politico, la cosiddetta Seconda Repubblica, non fu, come da noi, forgiato sotto il maglio di “mani pulite”, che salvò solo la sinistra post-pci e post-dc, il “caso Santanchè” non sarebbe neppure approdato in un’aula parlamentare. Un’aula parlamentare trasformata in un’aula di tribunale. Il ministro del Turismo, di FdI, denuncia, in serata, attraverso il suo ufficio stampa, la cosa più grave: “informata” attraverso la stampa di essere “iscritta al registro degli indagati”. Cosa che a lei, la diretta interessata, non risulta, come afferma nell’informativa in Senato.
“È normale che un ministro che sta per riferire ai senatori legga su un giornale che sarebbe indagato? È da Paese normale che un giornalista possa scrivere cose, a suo dire, segretate dalla magistratura e ignote all’interessato e ai suoi avvocati?”, incalza in aula il ministro, osservando: “Sono io che devo avere risposte”.
La vecchia prassi dell’infernale circuito mediatico-giudiziario, per il quale lo sanno prima i giornalisti, e giornalisti di area di sinistra in questo caso, in atto da trent’anni si ripete. Da Silvio Berlusconi “avvisato” a mezzo stampa a un G7 sulla criminalità a Daniela Santanchè. Per non risalire a quanto accadde prima.
A sinistra c’è stata come una gara tra giustizialisti, in cui, secondo il vecchio adagio di Pietro Nenni a fare a gara con i puri c’è sempre uno più puro che ti epura. E così il Pd di Elly Schlein, ma anche l’alleanza tra Verdi e Sinistra, persino un po’ irritata e spiazzata, come si evince da un comunicato, si trovano a inseguire il più “puro”, il capo pentastellato e ex premier Giuseppe Conte che presenta una mozione di sfiducia, scavalcando i compagni del cosiddetto campo largo. Cosa che fa apparire ancora più minoritaria la sinistra e più naturalmente compatta la maggioranza di centrodestra.
Dai ministri ai vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani a governatori come il leghista Luca Zaia. Il centrodestra fa quadrato attorno a Santanchè. Si distingue, nelle opposizioni, solo Iv di Matteo Renzi che si dissocia da quella mozione.
Mentre Carlo Calenda, suo socio (ex?) del terzo polo, dice che se Santanchè non chiarisce si dovrebbe dimettere. Come se il Parlamento fosse un’aula di tribunale. O davvero basta un’inchiesta giornalistica per trasformare il Parlamento in cassa di risonanza di questa?
Quanto alla “campagna di odio”, che Santanchè denuncia contro di lei, pure certi commenti da sinistra media-social, persino con tratti di misoginia e invidia sociale, sembrano darle ragione.