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25 aprile

Vi racconto il 25 aprile della mia famiglia, tra fascisti e antifascisti

Il mio 25 aprile. La testimonianza di Paola Sacchi

Ieri scherzando dicevo a un amico: “A chi mai potrei raccontarlo…?”. Mio nonno, padre di mia madre, Duilio, e le sue sorelle Cesira, Elvira, Felicietta quando uccisero il duce si fecero il segno della croce e restarono per un giorno al letto in segno di lutto.

Con mia cugina ci abbiamo sorriso su sommessamente e laicamente per anni dopo che ci fu raccontato in famiglia. Mio nonno era fascista, un imprenditore edile, detto “il professore” nel suo piccolo borgo umbro vicino a Orvieto, uno dei tre che leggevano il giornale, “Il Popolo” nel suo caso.

Duilio era fascista, ma nulla sapeva dei campi di sterminio, come milioni di italiani. L’ho conosciuto poco. Ho una foto del primo ottobre, quando iniziavano le elementari, con l’aria triste e mio padre, Anselmo, accanto con il bottone nero sulla giacca, come si usava allora in segno di lutto. Ma ebbi il tempo giusto per apprezzare lui, che non parlava mai di politica in famiglia, men che meno con una bambina. Anche lui apprezzò me. Disse a mia madre, Giuseppina, sua figlia, che quando mi aiutava a fare i compiti ero molto curiosa e gli ripetevo spesso: “Nonno, però il fatto è…”.

Duilio era uno dalla vita molto sobria, misurato nelle parole, era fascista, credeva nel duce, ma mai un fanatico. Andò molto d’accordo con mio padre Anselmo, sfollato ragazzino di Anzio-Nettuno, a 19 anni aviere dello Stormo Baltimore della nostra Aviazione Cobelligerante con gli Alleati, poi arrivato in Umbria, a Orvieto, per caso, con la sua famiglia dopo lo Sbarco.

Due storie diametralmente opposte. Che però si unirono in quell’Italia che non aveva molto tempo per dibattere e dividersi, ma doveva sbrigarsi per la ricostruzione dopo la guerra.

Mio padre, poi manager di una ditta privata per l’A1, mi ha cresciuta con il ricordo della sua famiglia sfollata, di simpatizzanti socialisti, ramo Giuseppe Saragat, antifascista ma anche da subito filo-atlantista. Mio padre e la sua famiglia vissero commossi nel ricordo delle migliaia e migliaia di ragazzi Usa sepolti al Cimitero Militare di Nettuno, la loro città.

Mio padre era radicalmente antifascista, ma, poiché uomo si direbbe oggi “del fare”, mai litigò, anzi tutt’altro, con Duilio che lo aveva accolto in casa come un secondo figlio. E poi non credo proprio che loro parlassero del passato, ma del futuro. Non ho praticamente conosciuto l’altro mio nonno, Angelino (il cui nome un po’ ricorda “Angelita di Anzio”, la canzone sullo Sbarco del ’44, di Los Marcello’s Ferial), padre di mio padre e di altri quattro figli.

Era un tranviere di Nettuno, cui i fascisti a morsi quasi staccarono un dito. Ma l’approccio di quella famiglia di sfollati non fu mai ideologico. Il loro radicato antifascismo o sarebbe meglio dire antinazifascismo (mio padre mi ha cresciuta con i ricordi di quando andarono a cercare casa per casa ad Anzio-Nettuno quelli che non riuscirono a fuggire e si interrogava sul perché quello Sbarco, propedeutico al D-Day, si tramutò in carneficina per le truppe angloamericane) non fu mai revanscista.

Viaggiava tra Churchill (che volle “la zampata di gatto selvatico e invece ci ritrovammo una balena arenata sulla spiaggia”), l’antifascista Giuseppe Saragat, che nel ’47 avrebbe fatto il Psdi, scindendosi dal fronte socialcomunista, e la gratitudine per gli Usa, unita alla commozione per il sacrificio decisivo dei ragazzi sepolti a Nettuno.

Sono sempre stata dalla parte di mio padre, senza se e senza ma. Il luogo simbolo del mio 25 aprile è il Cimitero Militare Usa di Nettuno. Ciò non toglie che io ripensi con affetto e rispetto pure a mio nonno Duilio, le sue sorelle Cesira, Elvira, Felicietta, che in segno di lutto per l’uccisione di Mussolini si chiusero in casa. Erano dalla parte sbagliata.

Questa piccola storia italiana, che noi baby boomer abbiamo sfiorato e vissuto attraverso i ricordi di famiglia, è una delle milioni di storie del nostro Paese. Fuori da ogni ipocrisia e strumentalizzazioni da parte di una sinistra che, ormai priva di veri programmi alternativi e baricentro, usa il fantasma del fascismo, morto 80 anni fa, come una clava contro la maggioranza di governo di centrodestra e in particolare contro il premier Giorgia Meloni che per ragioni anagrafiche fece appena in tempo ad aderire praticamente bambina al Msi, che è stato democraticamente eletto per mezzo secolo in parlamento, e ha passato tutta la sua vita politica in An della svolta di Fiuggi che archiviò definitivamente il fascismo con l’aperto riconoscimento che “conculcò le libertà democratiche”.

Poi Luciano Violante, allora presidente della Camera, ex comunista, strinse la mano all’ex “ragazzo di Salò” Mirko Tremaglia. Ma la Riconciliazione già ci fu nei fatti della vita di tutti i giorni con la Ricostruzione del dopoguerra, come anche la mia piccola storia familiare dimostra. Ecco perché forse per la maggioranza degli italiani le strumentalizzazioni di questi giorni del fantasma del fascismo suonano come una musica stantia, lontana e molto sinistra. Neppure rispettosa alla fine dei liberatori, dai martiri della Resistenza ai ragazzi americani di Anzio-Nettuno.

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